La storia ridotta a quadretti di genere

BANCHI DI PROVA
Dopo la «rivoluzione» degli anni ’70, nelle scuole primarie l’insegnamento del passato torna a puntare sugli aneddoti Sotto l’effetto delle riforme Moratti e Gelmini, i libri di testo propongono racconti e «medaglioni» non lontani da quelli delle scuole ottocentesche

BANCHI DI PROVA
Dopo la «rivoluzione» degli anni ’70, nelle scuole primarie l’insegnamento del passato torna a puntare sugli aneddoti Sotto l’effetto delle riforme Moratti e Gelmini, i libri di testo propongono racconti e «medaglioni» non lontani da quelli delle scuole ottocentesche
 Nono mese: Accennato alla guerra del ’66 per la liberazione del Veneto, e a quella del ’70 per fare di Roma la capitale d’Italia; riassumerò poi i fatti storici cercando di colorirli così da eccitare la fantasia, il sentimento, l’amore alla Patria, e ne chiuderò la serie con cenni biografici intorno alla vita di Vittorio Emanuele II, di Garibaldi, di Cavour, d’Umberto I.
Il programma didattico proposto dal «Corriere delle maestre» nel 1909 rispecchiava con grande fedeltà quanto era stato disposto una ventina d’anni prima dai Programmi ministeriali del 1888 (Innanzi tutto il maestro deve essere persuaso che la storia nelle scuole elementari non può consistere che in racconti vivaci e atti a parlare alla fantasia) e predicato dai pedagogisti del tempo: fantasia (eccitata) e aneddotica erano i gangli sui quali incardinare i «fatti» della storia nelle giovani menti.
Allusioni scabrose
Quando l’insegnamento era monopolio della Chiesa che, sola, deteneva il copyright della Bibbia, l’unica storia ammessa nelle scuole del popolo era quella sacra, una saga terrifica e affascinante ricca di stermini impietosi, stragi inaudite, eroismi sovrumani, sacrifici cruenti. Materiale attraente, come poteva constatare l’inchiesta condotta da Carlo Matteucci nel 1864: «I fanciulli amano molto di sentire e approfondire i racconti della storia sacra».
Monsignor Pellegrino Farini, in un testo compendiato nel 1857 dal pedagogista Giovanni Parato, proponeva ai bambini delle scuole primarie sabaude le vicende bibliche in 89 scene per il Vecchio e in 62 per il Nuovo Testamento all’insegna dell’avventuroso e del macabro, dalla eroica Giuditta che avvolge in un sacco la testa sanguinante di Oloferne, all’empio Antioco divorato dai vermini, fino al massacro dei nemici e alle scabrose allusioni erotiche.
Ancora nel 1867 i Programmi per le scuole normali e magistrali del Regno d’Italia imponevano alle future maestre la storia sacra, propedeutica a brevi nozioni di storia patria. E la Storia d’Italia raccontata alla gioventù, dai suoi primi abitatori sino ai nostri giorni (1855) di don Bosco (best seller con 37 edizioni nel 1937 e tiratura complessiva di oltre 85mila copie) era l’estensione onnivora dell’impostazione religiosa: Lo studio della Storia Sacra mostra l’eccellenza sua da se stesso, e non ha bisogno di essere raccomandato, ché la Storia Sacra è la più antica di tutte le storie; è la più sicura, perché ha Dio per autore; è la più pregevole, perché contiene la Divina volontà manifestata agli uomini; è la più utile, perché rende palesi e prova le verità di nostra Santa Religione.
E così gli scolari imparavano che la prima età comincia dalla Creazione del mondo e si estende sino al diluvio avvenuto l’anno del mondo 1656 che il maestro esporrà in forma di racconto.
La storia civile ripeteva il medesimo cliché; quando la stessa coppia d’autori, Farini e Parato, affiancarono a quella sacra i Racconti tratti dalla storia romana misero assieme 106 scene avventurose e grandguignolesche dal pugnale gocciolante di sangue vendicatore dell’oltraggiata Lucrezia, alla testa dei senatori spaccata dai Galli, alla famosa botte chiodata.
Fiumi di lacrime
Su questa traccia si scrissero poi le sofferenze di Pellico e Maroncelli, il massacro della spedizione di Sapri, le fucilazioni nel Vallone di Rovito, le forche di Modena e di Mantova, un pantheon via via affollato dai martiri della Grande Guerra e da quelli reclamati dal fascismo: Ma le belve rosse, a colpi di tacco e di sasso sulle povere mani sanguinanti, fecero sì che il poveretto, privo di forze, accecato dal dolore, precipitasse nell’acqua torbida del fiume invocando il nome dolcissimo della mamma sua!
Che la «fantasia eccitata» fosse efficace lo sapeva del resto benissimo De Amicis: i suoi racconti mensili fecero versare fiumi di lacrime a più di una generazione. Del resto, con i principianti è bene, e forse anche necessario, di ricorrere prima agli aneddoti ed alle biografie, scriveva nel 1886 Compayré, celebrata autorità pedagogica del momento. E i Programmi (1905) ripetevano: La mente del fanciullo della terza classe è ancora immatura per seguire lo svolgimento di una serie di avvenimenti connessi fra loro. Epperò egli di quel periodo che va dal 1848 al 1870 non può apprendere che aneddoti storici.
Era un campo su cui sbizzarrirsi. E gli autori di libri di testo vi si lanciarono con grande entusiasmo, attenti a colorare i personaggi «giusti», innanzi tutto i sovrani cari alla storia sabauda con netta predilezione per Vittorio Emanuele II cui si attribuirono, ricorrendo alla tradizione novellistica, i tratti di un’umanità un po’ contadina: stivali da cacciatore, stradoni di campagna, bonarietà compiacente, generosità spontanea, linguaggio semplice e dialettale, lontananza dalle stanze del potere gli diedero visibilità a spese di figure politiche di ben altro spessore.
La simpatia dell’aneddoto non fu sufficiente a trarre Carlo Alberto da un aristocratico isolamento, e anche per Umberto I non scattò la molla della popolarità nonostante i racconti sulla sua presunta «bontà» cui aveva contribuito anche una scrittrice di vaglia come Ida Baccini quando lo aveva presentato in visita ai colerosi di Napoli con la regina e il figliolo in trepidazione.
Silenzio su Cattaneo
La storia «italiana» fu tutta un susseguirsi di personaggi aneddotizzati, da Capponi a Ferrucci, a Micca, culminante con Garibaldi che – laico, massone, mangiapreti, poco amato dal Risorgimento sabaudo – entrò, aneddoto dopo aneddoto, nel perbenismo storiografico, mentre l’episodio dell’incontro con i fuoriusciti del 1821 non fu sufficiente a ripulire l’odiato Mazzini dalla seriosità e dall’antipatia. Andò comunque anche peggio a Cattaneo e Ferrari i quali, totalmente ignorati dall’aneddotica, scomparvero dalle aule scolastiche.
A inseguire gli effetti emotivi o aneddotici dei racconti si finiva per creare una pericolosa distorsione: oggetto di studio non era più il fatto storicamente rilevante, ma quello capace di suscitare maggiore simpatia. La scelta didattica finiva così per diventare alibi di selezione ideologica. Un meccanismo, questo, che ha funzionato fino a quando, attorno agli anni Settanta, l’attenzione – in sintonia con gli studi storici «alti» – si spostò dai personaggi (i famosi medaglioni) ai fenomeni sociali e ai problemi di lungo periodo. La svolta si può fissare più o meno quando, accanto alla tradizionale storia diplomatico-militare, cominciatono a comparire temi come «Brigantaggio meridionale», «Movimento operaio», «Industrializzazione».
Tra palafitte e piramidi
Si trattò di una rivoluzione travolgente, grazie alla quale emerse un modo diverso di guardare alla storia. Diverso, ma destinato a non durare; sotto i colpi della Riforma Moratti e Gelmini, infatti, la storia è uscita dalla scuola primaria e i libri di testo si ingegnano di nuovo a disegnare ameni quadretti di genere: l’uomo preistorico tra le palafitte, le piramidi degli Egizi, le arene dei gladiatori.
Insomma, quegli argomenti che, come ogni insegnante sa, hanno sempre «eccitato la fantasia» delle scolaresche: trappole della «didattica» rinforzate da scenari di gusto hollywoodiano.

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