l Novecento troppo lungo o troppo breve?

La vita è di per sé amorale. La violenza ci sarà  sempre: non credo nel progresso dell’uomo 

La vita è di per sé amorale. La violenza ci sarà  sempre: non credo nel progresso dell’uomo 

Scrittore prolifico e torrenziale, che al chiuso di una stanza preferisce l´esperienza sulla strada senza per questo rinunciare a dottissime ricerche in biblioteca, William T. Vollmann è il rappresentante forse più originale del romanzo enciclopedico contemporaneo. Da decenni attende ad un´opera monumentale, in sette volumi, che anela a riscrivere il mito di formazione degli Stati Uniti, dal primo approdo dei Vichinghi attorno all´anno mille fino agli Ottanta del secolo scorso, guardando i fatti con gli occhi di chi la storia la subisce: «Anche il vincitore – dice – non lo è per sempre. Tutto passa, tutto contribuisce a qualcosa». Il ciclo, solo in parte completato, ha per titolo I sette sogni, e ora ne è uscito il secondo, Venga il tuo regno «una riflessione sull´incontro, avvenuto nel XVII secolo, tra i gesuiti francesi e le popolazioni indigene, a cui è seguita la creazione di un popolo completamente nuovo, i canadesi. Ho semplicemente pulito alcune finestre sporche». Si autodefinisce «un gramsciano moderno», racconta che è stato a Fukushima per «toccare con mano il disastro compiuto dalla Telco», e dopo aver citato Ghandi (era «nel giusto quando sosteneva che dobbiamo resistere ai desideri se vogliamo ottenere dei risultati»), precisa che alla base d´ogni suo romanzo c´è la voglia «di capire in che cosa la gente davvero crede».
Come è nata l´idea di riformulare la storia degli Stati Uniti?
«Quand´ero giovane mi attraeva l´idea della metamorfosi, come l´uomo si trasformi in qualcosa di diverso. La storia stessa non è null´altro che un processo di grande mutamento, in cui gli uomini diventano fonte e origine di altri uomini, di altri popoli. Il cambiamento è molto triste e distruttivo ma inevitabile. Non potremmo vivere all´interno di un museo».
Dove comincia il sogno e dove invece il fatto storico?
«Mi ero ripromesso di terminare entro i quarant´anni. Ne ho cinquantuno e non ho ancora finito. Talvolta mi posso basare su poche fonti, il che mi costringe ad usare l´immaginazione, e a recarmi dove è avvenuta la vicenda che narro. Come giornalista sono attento a descrivere solo ciò che ho visto o sentito direttamente. Come scrittore lascio il giudizio al lettore. Hai presente Grande fiume dai due cuori di Hemingway? Tutto è esperienza, il protagonista entra nella foresta per pescare dei salmoni. Dopo un po´ ci accorgiamo che ha subito un trauma e che forse è alla ricerca di sé stesso».
Visita prima i luoghi storici oppure inizia documentandosi?
«Dipende. Con questo romanzo ho cominciato dalle biblioteche. Per La camicia di ghiaccio sono stato in Islanda, da cui sono partiti i Vichinghi. Per The Rifles ho viaggiato nel Polo Nord durante l´inverno per rivivere le stesse condizioni della spedizione guidata da Sir John Franklin. Sto scrivendo il quinto, sulla guerra tra l´esercito federale e i Nez Perces, il cui capo si chiamava Joseph. Per sfuggire a un massacro già scritto condusse la sua tribù attraverso l´America, una marcia lunga più di duemila chilometri iniziata in Oregon e conclusa in Canada. Ho visitato i posti dove si erano accampati o dove avevano combattuto».
Come mai questi Sette sogni finiscono con il conflitto tra i Navajo e le grandi compagnie petrolifere?
«Iniziai il ciclo negli anni Ottanta. La scelta è figlia di quel tempo. Nel 1986 visitai le Big Mountain, dove si incontrano i confini di quattro stati americani; era la terra dei Navajo, purtroppo molto ricca di carbone. In nome delle necessità della nazione, così disse l´allora presidente Reagan, l´area venne sequestrata e i nativi americani cacciati. Ne ho composto solo una parte, è mia intenzione tornare nell´area dove sorge oggi una grandissima miniera per sapere che fine hanno fatto i Navajo».
Prostitute, alcolizzati, tossicodipendenti, senzatetto, sono spesso i protagonisti dei suoi romanzi.
«Ho sempre pensato che tutti meritano d´essere ricordati dopo la morte. In realtà per chi sta ai margini è già difficile essere notati. Invecchiando ci rendiamo conto che nessuno è esente da tare e che non c´è differenza tra un emarginato e uno come te o me. L´animo è lo stesso per tutti».
Per circoscrivere l´orrore della violenza non le sono bastate 3000 pagine. Come reagisce quando la definiscono uno scrittore amorale?
«Mi piacerebbe avere la forza e il coraggio per esserlo. Come un´onda che sale e che scende (Mondadori) è un calcolo etico. Analizzando la violenza cerco di definire in quali casi è morale e in quali non lo è. La vita è di per sé amorale, e anche se prendiamo posizione rispetto ai suoi diversi aspetti, alla vita non importa granché. Come la morte anche la violenza esisterà sempre. Non credo nel progresso dell´uomo perché stupri, schiavitù o guerra continuano ad esserci. Se però riusciamo a guardare la violenza negli occhi possiamo trovare un modo per affrontarla o per riuscire ad evitarla».

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