Carlo, genovese, 23 anni nel 2001. Simonetta, giovane donna valsusina. Qualche giorno fa lei, praticamente da sola, ha a lungo parlato con i poliziotti che stavano dando la caccia ai tanti manifestanti che protestavano sparpagliati sul monte.
Carlo, genovese, 23 anni nel 2001. Simonetta, giovane donna valsusina. Qualche giorno fa lei, praticamente da sola, ha a lungo parlato con i poliziotti che stavano dando la caccia ai tanti manifestanti che protestavano sparpagliati sul monte. Cercava di trasmettere l’indignazione, l’orgoglio di chi non ha paura delle proprie ragioni. Molti hanno potuto ascoltarla grazie a un video che circola in rete. La stessa indignazione e lo stesso orgoglio di Carlo Giuliani, incapace di sopportare la mole di violenza che si abbatteva sulla città in quel 20 luglio di dieci anni fa. Se avesse potuto, forse anche Carlo avrebbe parlato, invece ha raccolto un estintore vuoto. E per questo è stato ucciso. Quella stessa indignazione si accampa nelle piazze di Barcellona o di Atene. Ha quindi un senso che accanto alle foto di Carlo, nella mostra intitolata “Cassandra”, a Genova, venga trasmesso in continuazione il video in cui Simonetta parla ai poliziotti.
Anche di questo si parla a Genova nella settimana cruciale del decennale del G8. C’è chi dice che Genova 2011 non sarà in grado di raccogliere o riproporre la radicalità e la vitalità del movimento di dieci anni fa. Forse è vero, anche se, a ben guardare, le comunità insorgenti della Val Susa piuttosto che le centinaia di comitati per l’acqua pubblica e contro il nucleare, e perfino l’indagine Demos Coop pubblicata ieri da Repubblica sulle parole del futuro, che mette ai primi posti nella classifica «energia pulita», «solidarietà», «bene comune», «partecipazione» e (udite udite) «decrescita», parlano di un lungo, complesso e a tratti poco visibile sommovimento sociale e culturale che non pare destinato a rientrare nei ranghi. Ecco perché le due auto della polizia e i due blindati che ieri mattina sostavano davanti a Palazzo Ducale, dove stava per tenersi la conferenza stampa per il decennale, apparivano non tanto provocazioni quanto piuttosto icone grottesche di un potere fuori corso legale.
Lo hanno detto, a modo loro, le due giovani “feministes indignates” (in catalano) arrivate da Barcellona, nel corso di un incontro a palazzo Ducale, due giorni fa, dal titolo “Donne e uomini in movimento, liberare i conflitti riconoscere le differenze”: «Esigiamo – hanno detto – che lo stato, la chiesa e il mercato smettano di interferire nelle nostre vite». A pensarci bene, è questo il tema di Genova: far sì che quel poco o tanto delle nuove forme di democrazia che con fatica e scossoni di ogni tipo si stanno affacciando su una politica impermeabile e ostile riescano a prendere la rincorsa. La settimana di eventi genovese potrebbe riservare piacevoli sorprese in questa direzione. Ad esempio l’assemblea nazionale antirazzista di oggi pomeriggio o il seminario di Transform su “Una società dei beni comuni” o l’assemblea che Uniti contro la crisi ha voluto tenere a Genova proprio in questi giorni.
Ad accompagnare questo “ritorno a Genova” non ci sono solo i ricordi né solo le persone più significative – i genitori di Carlo e la loro generosa disponibilità, don Andrea Gallo e la sua straordinaria ospitalità – ma si prevede una nuova ondata di giovani che dieci anni fa erano bambini, o anche di adulti che allora non avevano compreso quale fosse la posta in gioco. Con i referendum, ad aver scelto i beni comuni sono milioni di cittadini. Proprio quel che il movimento di Genova 2001 suggeriva.
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