Il presidente Hu: «Il nostro compito è salvaguardare la stabilità »
Il presidente Hu: «Il nostro compito è salvaguardare la stabilità »
SHANGHAI — Ai margini di piazza Shiji, «piazza del Secolo» , seduti lungo un muretto, quattordici agenti della squadra speciale di Shanghai — ragazzi dallo sguardo duro, vestiti di nero e armati fino ai denti — aspettano il loro turno per salire sul palco. Mimeranno una missione sulle note di una musica che sembra tratta da un film d’azione hollywoodiano.
Ti aspetti di veder comparire Bruce Willis. Invece tra capriole, sortite, immaginarie porte sfondate e altrettanto immaginari nemici uccisi, le teste di cuoio trasformano le mosse imparate in addestramento in un balletto che di marziale ha ben poco: è un momento della festa organizzata dalla polizia per celebrare i 90 anni del Partito comunista cinese. Una kermesse che ieri ha coinvolto quasi tutta la megalopoli più moderna della Cina, fiore all’occhiello del «socialismo di mercato», » , proiettata nel futuro da un’Expo, quella del 2010, gestita con lungimiranza e spirito imprenditoriale, caratteristica naturale della capitale economica della Repubblica Popolare. Ieri il Partito è stato festeggiato con un crescendo di retorica che ha riportato l’orologio indietro agli anni della rivoluzione permanente.
A Pechino, il presidente Hu Jintao ha detto, in un raro discorso pubblico, che il Pcc ha «tutte le ragioni per essere orgoglioso» dei risultati raggiunti nei sei decenni nei quali è stato al potere, ma «nessun motivo per essere compiaciuto» . Questo perché la corruzione dilagante potrebbe costare «la fiducia e il sostegno del popolo» . Anche se la leadership nel Paese è fuori discussione: il compito dei comunisti è «salvaguardare la stabilità» , cioè il regime a partito unico. A Shanghai, città concreta e lontana dalla burocrazia della capitale politica, non sono tuttavia mancati cartelli di propaganda a ogni angolo di strada, aiuole fiorite a mo’ di falce e martello e, soprattutto, rievocazioni storiche: la città è sembrata di nuovo conquistata dalla febbre della Rivoluzione culturale per quanto le piazze, per la verità, non siano state prese d’assalto e la coda per entrare nella casa di mattoni rossi che nel luglio 1921 ha ospitato Mao Zedong, gli altri undici delegati e 50 membri del neonato partito, fosse di pochi minuti. A Xintiandi, la Concessione francese oggi trasformata in un quartiere dove è chic passeggiare tra boutique e ristoranti alla moda, c’era molta più gente in attesa del timbro storico capace di raddoppiare il valore di una busta commemorativa.
Dentro il museo, tirato a specchio, si incrociavano comitive di «turisti» giunte da tutta la Cina: soprattutto funzionari di partito (oggi il Pcc è il più grande del mondo, con i suoi 80 milioni di iscritti) in viaggio premio per «rafforzare il legame con le masse» . «E poi — spiega Zhang Cuoqinq, 38 anni, dipendente del ministero degli Affari civili, arrivato in città con 80 colleghi — ero impaziente di respirare l’atmosfera del luogo dove tutto ha avuto inizio» . Non ci sono soltanto zelanti sostenitori del Pcc nel museo che ospita manifesti dell’epoca, fotografie, reperti e persino le armi per la difesa personale dei pionieri del comunismo cinese.
Tuttavia, chi osa avanzare qualche critica abbassa la voce e preferisce non rivelare il nome. Come la studentessa ventunenne di giornalismo che si dice «convinta che i fondatori, a partire da Mao, non avrebbero mai potuto immaginare le trasformazioni di questo nostro Paese. D’altro canto se non si fossero riuniti, forse non ci sarebbe la Cina di oggi: esiste anche la casualità storica» . E la democrazia? I diritti umani? Pausa imbarazzata. Poi la risposta: «Non credo a cambiamenti radicali» .
Il tavolo dei delegati del ’ 21 è conservato al pian terreno, ancora apparecchiato con porcellane d’epoca. Fuori, un giornalista del canale satellitare Cctv-9 ha appena terminato la terza diretta della giornata. «È vero — ammette Xu Zhaoqun — Mao sarebbe molto arrabbiato se fosse vivo oggi. Ma per la corruzione che ci rovina. Tuttavia, noi vogliamo quello che voleva lui: la prosperità comune e una società più giusta» .
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