Il processo di appello è diventato però il comune dibattimento su quando un rapporto sessuale è consensuale o no Dal fondatore di Facebook Zuckerberg a Steve Jobs, molti di questi "smanettoni" poi si ritrovano sia da una parte che dall'altra della barricata Sono angeli e demoni, manager e ingegneri, terroristi e delinquenti, gole profonde e infiltrati. Come Zatko che oggi lavora per la Casa Bianca
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Hacker, la guerra finale

Ieri l’ultimo attacco: 90mila indirizzi e-mail del Pentagono rubati. I nemici degli Usa ora sono i cyber-pirati. A combatterli i geni informatici “buoni”   

Il processo di appello è diventato però il comune dibattimento su quando un rapporto sessuale è consensuale o no Dal fondatore di Facebook Zuckerberg a Steve Jobs, molti di questi “smanettoni” poi si ritrovano sia da una parte che dall’altra della barricata Sono angeli e demoni, manager e ingegneri, terroristi e delinquenti, gole profonde e infiltrati. Come Zatko che oggi lavora per la Casa Bianca

Ieri l’ultimo attacco: 90mila indirizzi e-mail del Pentagono rubati. I nemici degli Usa ora sono i cyber-pirati. A combatterli i geni informatici “buoni”   

Il processo di appello è diventato però il comune dibattimento su quando un rapporto sessuale è consensuale o no Dal fondatore di Facebook Zuckerberg a Steve Jobs, molti di questi “smanettoni” poi si ritrovano sia da una parte che dall’altra della barricata Sono angeli e demoni, manager e ingegneri, terroristi e delinquenti, gole profonde e infiltrati. Come Zatko che oggi lavora per la Casa Bianca

NEW YORK. Avviso ai naviganti: hacker molto mossi, con tendenza a peggioramento. 12 luglio, il gruppo di Anonymous entra negli archivi di un contractor dell´esercito Usa, svelati indirizzi e password di 90mila esperti militari. 11 luglio, dall´Inghilterra al Medio oriente AnonymousSabe annuncia il primo attacco globale: nel mirino i siti di Rupert Murdoch, la magistratura londinese che processa Julian Assange e i reali di Emirati, Qatar e Bahrein che resistono alla primavera araba. 8 luglio, Anonymous scardina i segreti di un´agenzia che lavora per l´Fbi, a rischio anni di inchieste negli States. 6 luglio, attacco all´Italia che studia, blitz online in 18 università per denunciare la “sicurezza colabrodo”.
Cinque luglio: violata la pagina “Obama 2012”, gli elettori reindirizzati sul sito “i politici mentono”. 4 luglio, Lulz ruba nomi e chiavi di accesso di migliaia di clienti Apple. 1 luglio, AntiSec invade il sito della polizia dell´Arizona, finiscono in rete le comunicazioni riservate dello stato che ha dichiarato guerra agli immigrati. 30 giugno, salta il sistema informatico di Orlando, la città punita per l´arresto degli attivisti che sfidavano il divieto di nutrire i senzatetto…
Può bastare? Dovrebbe bastare: ma non basterà. Il supercapo dell´intelligence di Obama, Dennis Blair, l´aveva giurato davanti al Congresso: dopo Al Qaeda, il più grande pericolo per l´America si chiama cyber-attacco. È passato un anno e mezzo. E adesso che il nemico pubblico numero uno è stato ucciso, il suo corpo in pasto ai pesci del Golfo Persico, gli Stati Uniti si ritrovano a combattere il nemico del computer accanto.
E già. Neppure l´intelligence aveva previsto da dove sarebbe arrivato il pericolo vero. Gli 007 prevedevano, testuale, una “Cyber Pearl Harbour”. L´attacco fine del mondo lanciato dall´Iran Cyber Army, i webcriminali pasciuti dai Pasdaran che avevano già mandato all´aria Twitter, colpito per aver dato voce ai giovani fattisi massacrare per gridare basta agli ayatollah. Oppure dagli hacker di Stato della Cina, che l´anno scorso misero in ginocchio Google, colpevole di trapiantare il libero mercato anche nella terra del Dragone. Timori veri e sacrosanti, che hanno comunque costretto le compagnie Usa a spendere più di 30 miliardi nella cyberdifesa: la cifra più alta di sempre. Ma il mondo è cambiato. Non solo con la morte di Osama Bin Laden. Soprattutto grazie a quel terremoto chiamato WikiLeakes: il sito che ha rivelato i segreti dei potenti. E rinvigorito il mito nato agli albori della rete: macché cyber-criminale, il vero hacker è Robin Hood.
La rivoluzione ha sorpreso perfino Steven Levy. Hackers è un classico del genere con cui l´allora giovane giornalista aveva svelato al mondo la cultura di quella combriccola. A sfogliarlo oggi c´è da non credere leggendo i nomi degli hacker nel “Who´s Who” dell´introduzione. Gates, Bill. Jobs, Steve. Ai tempi, l´editore voleva cambiargli il titolo: chi diavolo sapeva che cosa volesse dire hacker? Nell´edizione del venticinquennale, tra questi smanettoni del web, tra questi maghi del bene e del male del computer, Levy ha inserito un certo Mark Zuckerberg. Il ragazzino che mise su il prototipo di Facebook rubando le schedine degli iscritti all´Università. E che oggi «continua chiaramente a sentirsi un hacker». Uno buono, dice, «può valere qualcosa come venti o trenta ingegneri». E allora dov´era lo scandalo quando, l´altro giorno, il social forum da 700 milioni di iscritti, la macchina da 100 miliardi di dollari, ha annunciato di assumere George Hotz, il ragazzo che aveva mandato in tilt la Playstation della Sony? Del resto sentite che cosa confessa ancora Mark il miliardario: «La mia idea è rimasta quella di allora: si può davvero costruire qualcosa di buono in una sola notte. E questo oggi è parte della personalità di Facebook: muoversi sempre più velocemente, spostare i confini, riconoscere che spaccare tutto è ok».
Chiaro, no? Spaccare tutto è ok. Si scrive hacker, si legge no global. Ma allora com´è che questi stessi ragazzi poi si ritrovano sia da un parte che dall´altra della barricata? Com´è che teorizzando l´assalto a Wall Street poi tanti la scalano? «Gli hacker si sono sempre dipinti come il Satana del Paradiso Perduto di Milton: sono gli arcangeli che si ribellano contro Dio», dice Benjamin Nugent, l´autore di Storia naturale dei nerds. «Sono lacerati dall´eterna contraddizione: far parte del mondo dei computer e combatterlo. Anche i ragazzi che fondarono Google erano nerd come loro: in favore del globalismo, del libero scambio di informazioni, niente confine, modelli aperti. Ma se qualcuno, oggi, facesse trapelare l´algoritmo segreto, Google gli scatenerebbe contro l´inferno». D´accordo: ma l´esplosione, adesso, degli hacker ideologici, gli ideo-hacker da Lulz ad AntiSec, non è la prova di una terza via?
E qui torniamo a WikiLeaks. Proprio la prima, per così dire, “hacker company” ha rilanciato la militanza. Innescando l´inverno scorso la reazione dei gruppuscoli responsabili degli assalti e ritorsioni a Visa, Mastercard, Amazon: tutte le multinazionali accusate di non difendere la causa di Assange. Crimine o protesta? Marco Cova ha insegnato computer science dalla California all´Inghilterra. E dall´università di Birmingham ora cerca di fare chiarezza nel west del cyberattacchi: 290 milioni solo nell´ultimo anno. «Gli hacker criminali non saranno certo contenti di tutta questa vitalità online: che rischia solo di attirare più attenzione sul settore». La cyberguerra ha ormai tre grandi gruppi di protagonisti. Gli Stati criminali, cioè l´asse del male contro cui qualche settimana fa sempre Barack Obama ha presentato al Congresso il suo progetto di legge per la “Cybersecurity”. I criminali potenti come stati, cioè quelli che svuotano le nostre povere carte di credito e colpiscono a tappeto, senza puntare a un obiettivo particolare. E infine gli hacker ideologici, cioè quelli della rinascita di questi giorni: un´attività così intensa che ha dato vita perfino a una guerra intestina, con i duri di Team A che sconfessano quelli di Lulz..
Il fatto è che questi tre grandi gruppi quasi mai si incrociano e sovrappongono, anche se poi magari la armi usate per colpire sono le stesse. «Nel caso dell´ultimo gruppo, c´è perfino chi nega il termine “attacco”», dice Cova: non solo ideologicamente ma anche tecnicamente. «I gruppi criminali agiscono col sistema delle botnet, cioè un insieme di computer precedentemente infettati, con i virus spediti per posta o nascosti in certi siti. È da qui, da questi botnet, che viene bombardato l´obiettivo». Gli ideo-hacker, invece, spesso annunciano i loro attacchi: invitando migliaia di simpatizzanti a colpire. «L´appuntamento è sulla pagina creata ad hoc. E il visitatore sa che, accedendovi, accetta di far partire il bombardamento».
Angeli e demoni, manager e ingegneri, terroristi e criminali, gole profonde e infiltrati: come quel Peiter Zatko, in arte Mudge, ex compagno di Assange che oggi lavora per Obama. Ne usciremo mai? Ben Nugent guarda oltre: «La prima pagina del New York Times è già piena di articoli di WikiLeaks. Per questo credo che presto vedremo sorgere una nuova professione: l´hacker giornalista». Oddio: non c´è il rischio dell´orrore che stiamo provando nel caso Murdoch? Non è giornalismo: è spionaggio. «Certo che ci vorrà un codice etico. Scovare un cable che svela com´è condotta una guerra è di interesse pubblico: rubare i nomi dei privati cittadini che giocano alla playstation no. Ma nella fusione dei due ruoli gli hacker potrebbero portare nuovi mezzi per scoprire i fatti ai giornalisti, e i giornalisti potrebbero portare un nuovo codice di comportamento agli hacker».
Avviso ai naviganti: hacker molto, molto mossi. Con tendenza a miglioramento?

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