Festival, scrittori all’incasso

EX PRESS
 Speriamo che gli scrittori italiani, tutti presi dalle polemiche sulla generazione TQ, non abbiano letto i giornali stranieri degli ultimi giorni (non che il rischio sia grande, come rileva oggi sul manifesto Giuliano Battiston, ma tant’è…).

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 Speriamo che gli scrittori italiani, tutti presi dalle polemiche sulla generazione TQ, non abbiano letto i giornali stranieri degli ultimi giorni (non che il rischio sia grande, come rileva oggi sul manifesto Giuliano Battiston, ma tant’è…). Se infatti per caso a qualcuno di loro è capitato sott’occhio l’articolo di Robert McCrum uscito sull’«Observer» di domenica scorsa, i festival letterari che si sono moltiplicati negli ultimi anni in Italia come nel resto del mondo, corrono un grave pericolo.
Spiega dunque McCrum che gli scrittori britannici, dopo avere visto il giro d’affari delle varie kermesse che si tengono ogni estate nel Regno Unito (tra i nove e i dieci milioni di sterline il festival di Hay, un paio di milioni quello di Edimburgo, un milione e mezzo quello di Cheltenham), hanno deciso che è arrivata l’ora di mettere a frutto i loro talenti anche sotto questo punto di vista. «Sono contati i giorni in cui i festival possono contare sulle esibizioni pubbliche degli scrittori in cambio di qualche bottiglia di cancarone», scrive McCrum, citando la perplessità (per usare una parola assai blanda) di un autore che di recente ha parlato davanti a un pubblico pagante di 1500 persone (dodici sterline il prezzo, tutt’altro che contenuto, del biglietto) senza ricevere in cambio neanche un penny. Un brutto colpo, in tempi di crisi, quando anche gli anticipi sui nuovi libri sono diminuiti parecchio e le vendite latitano.
Prendendo quindi come motto una celebre frase di Samuel Johnson – «Nessun uomo, a parte uno scemo, ha mai scritto, se non per soldi» – romanzieri e saggisti d’oltremanica sono pronti a marciare alla riscossa. E non soltanto loro. Anche gli agenti letterari intendono sfruttare, almeno finché sarà possibile, questa gallinella dalle uova d’oro e hanno cominciato a esplorare le possibilità commerciali di apposite «speaker agencies». E alcuni, come Conville & Walsh, che ha appena varato una sezione intitolata Hire Intelligence, sono già passati ai fatti. «Anche questo – commenta McCrum – è un effetto della crisi». Osservazione inoppugnabile. Il punto è: dati i tempi, quanto a lungo potrà durare anche questo nuovo filone?

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