Dalle primavere arabe all’autunno mediterraneo

LIMES
  Puntuale come al solito, LiMes. Il terzo numero-2011 (pp. 304, 14 euro) «(Contro)rivoluzioni in corso», è da poco il libreria e in edicola e torna ad interrogarsi sul destino delle primavere arabe.

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  Puntuale come al solito, LiMes. Il terzo numero-2011 (pp. 304, 14 euro) «(Contro)rivoluzioni in corso», è da poco il libreria e in edicola e torna ad interrogarsi sul destino delle primavere arabe. Ad esso infatti ha dedicato un altro numero e un quaderno speciale sulla Libia che ha fatto scalpore: ha denunciato che anche stavolta la verità è stata la prima vittima della guerra della Nato che si è andata ad aggiungere a quella «civile» in corso.
Per il direttore Lucio Caracciolo siamo al cambio di stagione, le primavere sono finite. Sarà per questo che, dopo lo straordinario stravolgimento dal basso che ha detronizzato i regimi, «siamo repentinamente slittati dalla lirica rivoluzionaria alla stagione di depressione economica, emergenza sociale e insicurezza geopolitica» che, anche con la precipitazione greca, investe tutto il nostro mare. Dalle primavere arabe all’autunno mediterraneo. Non solo metaforico ma reale, anzi gelido, se «le sabbie mobili inghiottissero la monarchia saudita», petrobanca dell’universo islamico e serbatoio energetico mondiale.
«La Libia non esiste più», meglio chiamarla ex Libia. Lì per LiMes si materializza il fantasma della Grande Somalia. Con sullo sfondo – Siria, Yemen, Bahrain – una condizione di guerra civile cronica. E proprio la guerra della Nato in Libia, come l’intervento dei paesi del Consiglio del Golfo in Bahrain, segnano lo «spartiaque fra rivoluzione e controrivoluzione» nei paesi arabi. E sia per la difficoltà ormai di un accordo «tra libici», sia perché pregiudica una possibile soluzione della sanguinosa crisi in Siria, dove per effetto della specificità geopolitica siriana (ai margini di Israele e Iran) appare impensabile un intervento esterno armato come in Libia. Nella rivista, in tal senso, vanno segnalati l’articolo di Giampaolo Cadalanu: «La guerra sceneggiata per i media occidentali» sulla manipolazione e invenzione delle notizie per sostenere i ribelli in lotta contro Gheddafi; e il saggio di Karim Mezrnan: «Ora costringiamo Bengasi a rispettare i tripolitani», per evitare una spaccatura storica del paese.
Fatto nuovo per LiMes, l’unica superpotenza residua, gli Stati uniti, è con Obama in «ritirata strategica» dalla crisi del sud del Mediterraneo: concentra infatti le sue risorse in Asia orientale e nel Golfo, a scapito dell’Europa e del Nordafrica». Così le subpotenze europee, nonostante il neocolonialismo anglofrancese di ritorno, non sono in grado di sostenere l’intera responsabilità. Così l’instabilità si allarga fino ad insidiare i fronti stabili di Germania, Russia e Cina. Centrale per capire il processo, il discorso di Barack Obama del 22 giugno, senza retorica e con un fermo proposito: «America, è tempo di concentrarsi sul national building qui a casa». Una piattaforma elettorale, ma anche la consapevolezza di avviare il «ritiro dalla guerra» per la presa d’atto che «un paese indebitato fino al collo non può sperperare mille miliardi di dollari in dieci anni di “guerra al terrore” per ritrovarsi a fumare il calumet della pace con il mullah Omar». In soldoni vuol dire che la Nato deve coprire la ritirata americana, in costi e rischi. Eccolo il limite di Obama: volere ritirarsi dal globo così com’è ma sperare ancora di dominarlo.
E le primavere arabe? Alcuni autocrati sono stati eliminati, indietro non si può andare. Ma i meccanismi di potere mostrano «capacità adattive» (Tunisia, Egitto) e/o reattive(Libia, Yemen, Bahrain) tali da ridurre la spinta al cambiamento. Inoltre le rivolte e le repressioni, per LiMes, hanno aggravato la crisi economica che aveva contribuito a scatenare le proteste, al punto che è aumentata la sofferenza degli strati più miseri della popolazione, colpendo anche i ceti medi protagonisti delle piazze in rivolta. E ora, nel turbine della crisi mondiale, tutti i leader del Nord tifano, non ufficialmente, per i controrivoluzionari arabi, a partire dai reali sauditi.

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