Direttore dellà «Unità » . Dirigente di primo piano del Pci-Pds negli anni di Achille Occhetto. Senatore. Dal 2005 al 2009 presidente della Rai. È un cursus honorum importante, quello di Claudio Petruccioli. Ma ha una caratteristica molto particolare: comincia con un passo, almeno per l’epoca, peggio che falso.
Direttore dellà «Unità » . Dirigente di primo piano del Pci-Pds negli anni di Achille Occhetto. Senatore. Dal 2005 al 2009 presidente della Rai. È un cursus honorum importante, quello di Claudio Petruccioli. Ma ha una caratteristica molto particolare: comincia con un passo, almeno per l’epoca, peggio che falso.
Per i suoi settant’anni festeggiati da poco ha voluto tornarci su, ricostruendo minuziosamente, in un libro pubblicato da Rubbettino (L’Aquila 1971, anatomia di una sommossa, pp. 252, e 15), la vicenda mai del tutto chiarita, e da un pezzo quasi dimenticata, che lo coinvolse, eccome, in primissima persona. Eccome. Perché quel sabato 27 febbraio del ’ 71, in una città che non aveva mai conosciuto la violenza politica, migliaia di manifestanti, dopo aver assaltato le sedi di vari partiti, individuano nella federazione del Pci il piatto forte della giornata: la assediano e alla fine la conquistano, la devastano e la danno alle fiamme, ma solo quando i dirigenti e i militanti che la presidiano ne sono usciti.
Perché è lui, il non ancora trentenne Petruccioli, già leader dei giovani comunisti, il segretario «straniero» inviato da Botteghe Oscure a guidare i compagni abruzzesi. E pure perché Petruccioli, quel giorno, all’Aquila non c’è: nessuno sembra farsene una ragione, prendono corpo leggende metropolitane. Vari anni dopo, racconta, un compagno milanese gli chiederà addirittura come gli sia saltato in testa, quel giorno, di andarsene «a pescare» .
Ovviamente Petruccioli non è andato «a pescare» . È a Pescara. Nell’odiata (dagli aquilani) Pescara che ha duramente conteso all’Aquila, vincendo ai punti la partita, il rango di capoluogo dell’Abruzzo, l’unica regione, con la Calabria, nella quale la cosa non sia scontata in partenza. A Reggio è scoppiata (e poi è durata a lungo) l’iradiddio, attentati ai treni con morti e feriti, massicce e violente manifestazioni di piazza. E non è certo solo guerra contro Catanzaro. A sinistra, è soprattutto il caso di «Lotta Continua» , c’è chi vede in quella protesta, che pure ha per capo il missino Ciccio Franco, e gode della simpatia di un pezzo importante della Dc locale, un anticipo della rivoluzione imminente. Il Pci, che con i socialisti di Giacomo Mancini ne è il principale bersaglio, la pensa esattamente al contrario: a due anni dal Sessantotto sta prendendo corpo un «movimento reazionario di massa» che rischia di estendersi, per cominciare, a tutto il Mezzogiorno. Per Petruccioli, appena catapultato in Abruzzo, il primo obiettivo è ovviamente cercare di evitare che qualcosa di simile (già ce n’è qualche segnale) capiti anche lì.
Tutte le altre forze politiche, spaccate tra filoaquilani e filopescaresi, guardano sornione al Pci, il partito disciplinato che non si spaccherà in nessun caso, e quindi sarà determinante nella decisione finale. Peccato che in realtà, con tutto il suo centralismo democratico, sia spaccato pure il Pci. E che questa spaccatura c’entri qualcosa anche con la «sommossa» di quel sabato di fine febbraio. Di tutta questa vicenda, dagli esordi alla (pessima) conclusione, Petruccioli offre qualcosa di più di un’analisi puntigliosa.
Con tratti rapidi, ma pure anticonformisti ed efficaci, la iscrive, nell’Abruzzo, nell’Italia e nel Pci dell’epoca, così come li viveva un giovane intellettuale (non certo il solo) che aveva da pochi anni fatto, senza retorica, la sua «scelta di vita» e già si ritrovava sotto accusa: «È dovere dei comunisti difendere le sedi del partito: a ogni costo» scandirà Armando Cossutta dalla tribuna del comitato centrale. E, quanto allo svolgimento dei fatti come alla ricostruzione dei diversi giudizi e dei diversi stati d’animo di chi li visse, Petruccioli fa affidamento, si capisce, sulla sua memoria, ma la sottopone pubblicamente al vaglio delle cronache di allora e delle testimonianze che gli hanno reso i dirigenti comunisti aquilani del tempo.
Quella della «sommossa» dell’Aquila, a riguardarla adesso, può sembrare piccola cosa. Petruccioli, anatomizzandola, ci restituisce però, e dall’interno, i caratteri, le passioni, le miserie e anche il sapore non solo di una microstoria, ma di un passaggio cruciale della nostra storia nazionale. Quando i Sessanta (non solo il Sessantotto) finirono davvero e i Settanta cominciarono in anticipo a presentare il conto.
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