Una gabbia di acciaio per il laboratorio dell’austerità 

Viaggio in un paese sull’orlo del fallimento, trasformato in un esperimento per un’uscita neoliberista dalla crisi

 

Viaggio in un paese sull’orlo del fallimento, trasformato in un esperimento per un’uscita neoliberista dalla crisi

 

Le immagini e le notizie provenienti dalla Grecia illustrano la stessa situazione. Un paese sull’orlo del baratro, del default come dicono le teste d’uovo dell’Unione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale. Situazione che ha come elemento reattivo la protesta di milioni di greci. La loro rivolta – o quasi insurrezione, come hanno scritto alcuni commentatori – è una rivolta di disperati di chi non sa proporre nessuna alternativa alle politiche di austerità del governo di Atene; e scarica così la sua impotenza contro le forze di polizia e le vetrate delle banche, ritenute responsabili del collasso greco. È questa l’interpretazione dominante sula crisi della Grecia. Interpretazione che non convince Michelangelo Cocco, giornalista noto ai lettori de «il manifesto».

In tempi neppure tanto lontani, è stato inviato da questo giornale in Grecia per raccontare cosa stava accadendo dopo che istituti finanziari, banche più o meno potenti descrivevano un paese sull’orlo del fallimento. Una crisi iniziata quando i virus ti velenosi dei subprime avevano colpito l’economia greca e che aveva cancellato risparmi di una intera nazione. Tutto vero, ma in Grecia erano accadute altre cose, due anni prima prima che la crisi fosse decisa per decreto.
Per quasi un mese, le città greche erano state segnate da una rivolta aspra dei giovani che protestavano per una riforma dell’università dal sapore fortemente liberista. In quelle manifestazioni un giovane sedicenne, “Alexis” Grigoropoulos, era stato ucciso dalla polizia. Michelangelo Cocco inizia il suo lavoro d’inchiesta. Invia le sue corrispondenze, scritte sempre con uno stile sobrio e convincente. Giorno dopo giorno compie un piccolo, ma esemplare lavoro di decostruzione dell’ordine del discorso dominante. La crisi è reale, ma è crisi di sistema, mentre la troika vuole imporre un’uscita neoliberista dalla crisi. Le misure draconiane di austerità colpiscono infatti i lavoratori dipendenti, mentre la precarietà si diffonde a macchia d’olio. Allo stesso tempo, l’austerità è una politica preventiva, affinché il virus non si diffonda in Europa e affinché funzioni come un segnale a quanti, e cominciano ad essere tanti nel vecchio continente e nel nuovo mondo, che non vogliono pagare i costi della crisi, perché già colpiti, nei loro salari, da un ventennio di politiche neoliberiste. Michelangelo Cocco intervista storici, economisti, registi affermati per cercare di tendere un canale di comunicazione tra il lungo e il breve periodo, affinché si comprenda fino in fondo tanto la peculiarità del capitalismo greco che la posizione strategica di quel paese nell’equilibrio geopolitico mediterraneo.
Tornato in Italia, scrive un libro anch’esso prezioso – Il fuoco di Atene, manifestolibri, pp. 133, euro 16 – che ha la struttura agile dell’instant book, ma la giusta distanza teorica dalla cronaca. Un volume che raccoglie anche molte interviste fatte durante la sua permanenza in Grecia. Interviste che restituiscono le vicende di un paese che ha avuto non poche difficoltà nell’uscire dal lungo inverno dei colonnelli. Ma una volta riconquista la democrazia, la Grecia ha oscillato tra una prospettiva riformista e un’opzione liberista, conservatrice. Tra una scelta atlantica (la presenza americana è stata soffocante, al punto che gli Usa sono stati gli ispiratori e i grandi sostenitori della dittatura dei colonnelli) e una tensione mediterranea, in quanto ponte tra Europa e Asia Minore. Per il maggiore partito di sinistra, il Pasok, non c’era un modello da seguire. Simpatie evidenti verso la socialdemocrazia tedesca, ma anche verso il socialismo spagnolo del Psoe. Diverso il caso dei comunisti, oscillanti invece tra fedeltà alla tradizione e un’innovazione teorica e politica spesso dai contorni confusi. Ha prevalso l’opzione neoliberista, che ha portato il paese verso il collasso.
Nel fuoco di Atene sono poco presenti le generazioni postcolonnelli. Non perché l’autore sia disinteressato alla galassia libertaria o radical. La loro marginalità dei gruppi libertari o radical è dovuta al fatto che l’autore ritiene centrale un altro aspetto della situazione in Grecia, che potremmo riassumere nel termine «strutturale»: che paese uscirà dalla crisi, quale capitalismo emergerà dalla rivolta greca?
Domande centrali, ovviamente, ma che potrebbero trovare risposte nel mettere in connessione, e in tensione, la dimensione economica con i punti di vista, le proposte espressi nella rivolta. Perché i rapporti sociali, sono appunto rapporti sociali. Che non significano solo una dimensione legislativa, ma anche comportamenti, processi di costruzione di soggettività politiche che non sono disponibili a diventare un laboratorio per l’uscita neoliberista dalla crisi europea.

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