Sgombero e rilancio, gli «indignados» superano così la prova più difficile

BARCELLONA – La settimana degli indignados di Barcellona è stata densa di avvenimenti e ha visto il movimento confrontarsi e superare due prove molto difficili.

BARCELLONA – La settimana degli indignados di Barcellona è stata densa di avvenimenti e ha visto il movimento confrontarsi e superare due prove molto difficili.

La prima, venerdì scorso, poco prima delle 8 di mattina, quando i mossos d’esquadra (la polizia regionale catalana) si è presentata con 300 agenti (una parte di essi in assetto antisommossa) ufficialmente per «permettere ai mezzi della nettezza urbana di svolgere le regolari operazioni di pulizia», e per ritirare gli oggetti potenzialmente pericolosi in vista delle celebrazioni della Champions conquistata dal FC Barcelona. Per molti – o per tutti quelli che non hanno voluto nascondersi dietro un dito -, la polizia era lì per vedere se questo tentativo di sgombero non dichiarato poteva creare qualche reazione che giustificasse uno sgombero coatto in grande stile. E invece i manifestanti, che son stati caricati brutalmente (più di 100 feriti), hanno dato mostra di saper reagire non solo in maniera assolutamente pacifica, ma anche politicamente intelligente. Le foto degli acampados seduti per terra e con il volto scoperto presi a manganellate, sono non solo un ritratto fedele della cifra di questo movimento, ma anche un potente strumento per suscitare ancora più solidarietà.
E infatti, quest’ultima non si è fatta aspettare: alle sette di venerdì, una gigantesca manifestazione ha riempito la piazza come mai era accaduto.
L’altra prova è stata superata con successo sabato sera, quando il Barcellona ha vinto la Champions e migliaia di tifosi si son dati appuntamento alla fontana di Canaletas, a due passi dalla piazza. Il bilancio delle distruzioni associate alla festa calcistica è stato quello di sempre: lampioni e vetrine rotte, contusi, fermati. Gli acampados, però, hanno difeso la piazza con un cordone e la misura ha funzionato: nessun infiltrato, nessuna violenza. Anzi, molti si sono uniti alla piazza indossando orgogliosi la loro maglietta della squadra di Guardiola.
Prove superate con lode, dunque. Da domenica son ripresi i dibattiti, le assemblee e i lavori delle commissioni. I due punti forti del dibattito in questi giorni sono stati l’approvazione di una piattaforma minima che coniughi i molti e ricchi impulsi che nutrono il movimento (le lotte contro i tagli allo stato sociale – che qui in Catalogna, dopo la vittoria alle regionali dei nazionalisti moderati di Convergència i Unió sono particolarmente duri -, la critica alle politiche economiche, finanziarie, fiscali e del lavoro degli ultimi anni, la riforma della legge elettorale, la critica ai partiti tradizionali, la coscienza ambientale) e gli strumenti utili per dar continuità e far crescere il movimento. Anche il gran dibattito su se, come e quando lasciare la piazza, di fatto è cominciato all’inizio della settimana e non sembra essere stato influenzato dalle indiscrezioni delle ultime ore su possibili sgomberi a Madrid.
Tutti a Barcellona son d’accordo sulla necessità di decentralizzare le mobilitazioni non per ridimensionarle, ma per moltiplicarle. Il dibattito però, sembra essere sul ruolo che in questo processo deve giocare la Piazza: deve rimanere il centro nevralgico della protesta, oppure dev’esserne il centro simbolico e di raccordo delle mobilitazioni nei quartieri, nelle città, nei paesi, nelle università e nei luoghi di lavoro?
L’assemblea di mercoledì, per adesso ha rinviato la decisione a domenica sera. Nel frattempo però, per sabato mattina è stato lanciato un altro grande appuntamento: sono state invitate in piazza Catalunya tutte le 78 realtà locali catalane in cui il movimento si è esteso. Non ci sono previsioni sull’esito dell’assemblea di domenica. La scelta però di allargare la riflessione e coinvolgere tutto il movimento a livello catalano sembra la prova della volontà di crescere e di evitare a tutti i costi le possibili divisioni.

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