Sentenza confermata: Federico ucciso dagli agenti

Sentenza confermata: anche per la Corte d’Appello di Bologna ad ammazzare Federico Aldrovandi all’alba del 25 settembre del 2006 furono i quattro poliziotti che lo fermarono – per ragioni ancora sconosciute – lo presero a botte, e infine gli spezzarono il respiro salendo sul suo torace mentre era ormai a terra. Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri erano stati condannati a tre anni e sei mesi per eccesso colposo nel luglio dell’anno scorso dal tribunale di Ferrara, pena tra l’altro amnistiata.

Sentenza confermata: anche per la Corte d’Appello di Bologna ad ammazzare Federico Aldrovandi all’alba del 25 settembre del 2006 furono i quattro poliziotti che lo fermarono – per ragioni ancora sconosciute – lo presero a botte, e infine gli spezzarono il respiro salendo sul suo torace mentre era ormai a terra. Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri erano stati condannati a tre anni e sei mesi per eccesso colposo nel luglio dell’anno scorso dal tribunale di Ferrara, pena tra l’altro amnistiata.

Ma non si sono mai rassegnati. Anzi, i loro difensori hanno annunciato che ricorreranno in Cassazione.
Non è ancora finita, dunque, questa «via crucis» per i genitori e il fratello di Federico, che hanno rinunciato nei gradi successivi al primo a costituirsi parte civile dopo aver ottenuto il risarcimento, ma che ovviamente hanno seguito con la pena che si può immaginare le udienze, e ieri erano in aula per la sentenza. Insieme a loro c’erano anche Ilaria Cucchi e Lucia Uva, sorelle di Stefano la prima e di Giuseppe la seconda. Altri due casi di ragazzi inermi finiti nelle mani della polizia e poi morti in circostanze tutte da chiarire, ma certamente drammatiche: corpi devastati. E in tutt’e due i casi, come già in quello di Federico, il «copione» si ripete: il tentativo di disegnare un’immagine delle vittime distorta, di persone devianti. Micidiale strumento per insabbiare le responsabilità. Lo ha sottolineato ancora una volta ieri Patrizia Moretti, la mamma di Federico: «È una sentenza giusta e utile, che potrà cambiare qualcosa per impedire, nei processi che si stanno celebrando, il linciaggio delle vittime delle forze dell’ordine imputate. Siamo noi familiari a subire questo linciaggio nei processi dove vengono accusati i nostri cari che vengono sempre presentati e messi sotto accusa».
Federico, appena 18 anni, morì sei anni fa mentre tornava a casa a piedi, alle sei di mattina, dopo una serata passata con gli amici. Le udienze di appello, caso mai ce ne fosse bisogno, hanno dimostrato che l’inchiesta sulla sua morte è solidissima. Tanto che il procuratore generale nella sua requisitoria è andata anche oltre le conclusioni a cui era giunto il pm del tribunale di Ferrara, Nicola Proto: secondo la pg Miranda Bambace, infatti, nel comportamento dei poliziotti sono ravvisabili «elementi di dolo». D’altronde la strategia difensiva dei condannati, come dimostra anche l’Appello, è debolissima, tutta mirata a sostenere che quella mattina furono messe in campo soltanto le normali procedure. Ancora più strabiliante la linea difensiva scelta in questo grado di giudizio da Monica Segatto, che si è fatta rappresentare addirittura dallo studio di Niccolò Ghedini. Questo il ragionamento: se si assume che Federico è stato ucciso dalla pressione esercitata sul suo torace, allora Segatto deve essere giudicata diversamente dagli altri poiché l’unica testimone oculare che ha scelto di parlare, Anne Marie Tsegue, posiziona la poliziotta seduta sulle gambe di Federico. Ma neanche una parola su chi era il collega seduto sul torace di Federico, né maggiori chiarimenti sulla dinamica dei fatti. Condannata, dunque, esattamente come i suoi tre colleghi.
I quattro dunque ricorreranno in Cassazione. «Siamo ancora più sicuri delle nostre ragioni», hanno commentato. Intanto, anche se in sedi diverse da Ferrara, continuano a indossare la divisa. On line una petizione perché siano cacciati.

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