Interpretò se stesso nella famosa scena della fila al cinema in "Io e Annie" di Allen

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Se l’america si divide sul profeta del web

Interpretò se stesso nella famosa scena della fila al cinema in “Io e Annie” di Allen

Interpretò se stesso nella famosa scena della fila al cinema in “Io e Annie” di Allen

new york – «Il cervello di Marshall» si legge a pagina 19 «era alimentato dal sangue che sgorgava dal cuore attraverso non una ma due arterie alla base del cranio: una caratteristica che nei mammiferi si ritrova principalmente nei gatti e raramente negli esseri umani». «A partire dal 1934» si scopre a pagina 24 «il cervello di Marshall era diventato molto più interconnesso – facendone una persona molto più socievole di quanto era stata in gioventù». «L´operazione al cervello che Marshall dovette affrontare all´età di 56 anni» si apprende a pagina 161 «segnò l´inizio della fine: della sua vitalità e dell´abilità di mettere insieme le informazioni e individuare gli schemi».
Può la storia di uno dei più grandi cervelli dell´umanità essere raccontata proprio attraverso l´evoluzione del suo cervello? Se il mezzo è davvero il messaggio allora Douglas Coupland non poteva trovare mezzo migliore di questa singolare biografia dal titolo (negli Usa) rubato a Woody Allen – Marshall McLuhan: Lei non sa nulla del mio lavoro! – per ri-raccontare al mondo il messaggio di Marshall McLuhan: giusto nel centenario della nascita, 21 luglio 1911. La strana coppia è meno strana di quello che può sembrare. «Che cosa l´ha attratta del soggetto-McLuhan?» ha chiesto a Coupland la Paris Review. «Per la verità nulla. Un amico che stava raccogliendo biografie di canadesi che scrivono di altri canadesi mi ha chiesto se volevo occuparmene». La verità è che il soggetto-McLuhan era l´inevitabile approdo dello scrittore che da Generazione X in poi ha giocato anche nei titoli – Microserfs, JPod – con le icone del nostro tempo. Senza contare appunto che per il canadese Coupland il canadese McLuhan dev´essere sembrato uno di famiglia. Per le duecento e passa pagine del libro viene quasi sempre chiamato semplicemente col nome: “Marshall”. E come a un vecchio nonno si perdonano certe cadute di stile e pensiero: per esempio sull´omosessualità. «In un campus universitario del 2010 sarebbe durato tre minuti» scrive Coupland – un maestro della letteratura gay. «E forse solo il suo silenzio quasi totale, in pubblico, sui quei punti di vista reazionari su politica e società, sessualità e peccato, gli ha impedito di essere marginalizzato anche ai suoi tempi».
Ma allora chi era davvero McLuhan? Già il titolo tende a sfatare il grande equivoco di sapere già di cosa stiamo parlando: dal “villaggio globale” al “mezzo e messaggio”. Ricordate Io e Annie? Woody è lì in fila al cinema e c´è un professorone che dotteggia. Allora lui, spazientito: «Lei non sa nulla di Marshall McLuhan». E il professore: «Si dà il caso che io tenga alla Columbia un corso su Tv, Media e Cultura!». E Woody: «Si dà il caso che McLuhan si trovi proprio qui dietro…». Dalla fila spunta proprio lui: «Ho sentito cosa stava dicendo: ma lei non sa nulla del mio lavoro!».
Coupland parte dalla vendetta di Woody per ridisegnare il suo Marshall: profeta più che studioso. Il mondo interconnesso a immagine e somiglianza del suo particolarissimo cervello è il mondo in cui oggi comanda quell´Internet che McLuhan «ha anticipato di quattro decenni». È un mondo che – come McLuhan, per cui qui si evoca addirittura il fantasma dell´autismo – soffre di una strana malattia: “La malattia del tempo”. La rete ha trasformato la realtà in eterno contemporaneo. «Troppa informazione» diceva già Arthur Koestler (e cantavano i Police). Coupland non dà giudizi. Ma dice che proprio per questo «McLuhan oggi è più importante che mai». Il mezzo è il messaggio «significa che il contenuto visibile di ogni media elettronico è insignificante: è il mezzo stesso che ha l´impatto più importante – un fatto rafforzato dalla verità oggi medicalmente inconfutabile che le tecnologie che usiamo cominciano ad alterare il modo in cui il nostro cervello funziona». Siamo insomma all´iBrain: il cervello interattivo come un iPhone di cui parla il neuroscienziato californiano Gary Small – che Coupland avrà certamente letto. E che ci rimanda «all´altro cliché di Marshall. Il villaggio globale»: anche questo «un modo di parafrasare il fatto che le tecnologie elettroniche sono un´estensione del sistema nervoso dell´uomo».
Le tesi ovviamente possono convincere o meno: ma questo non è un libro di massmediologia. Gli appassionati del genere si rivolgano altrove. Per esempio al nuovissimo A History Of Communications in cui Marshall T. Poe – uno di quei professoroni di Princeton e Columbia che farebbero inorridire Woody – demolisce invece il centenario del più illustre omonimo: la sua teoria, dice, è «scritta in maniera per niente chiara» e per essere interpretata andrebbe «ricostruita pezzo per pezzo come un mostro di Frankenstein». Non è un complimento. Ma a quel cervellone di McLuhan – che venerava, Coupland insegna, l´arguzia di G. K. Chesterton e la prosa enigmistica di James Joyce – forse anche per questo non sarebbe dispiaciuto.

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