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Paul Auster: “Racconto l’angoscia di chi rinuncia al futuro”

Parla lo scrittore americano, in questi giorni in Italia. La crisi economica, le speranze e le rivolte dei giovani: i temi di “Sunset Park”, il suo nuovo romanzo Negli Stati Uniti e in Europa le nuove generazioni soffrono. Il loro cammino verso la vita adulta comincia con un grande peso sulle spalle. Io spero che questo destino non sia ineluttabile

Parla lo scrittore americano, in questi giorni in Italia. La crisi economica, le speranze e le rivolte dei giovani: i temi di “Sunset Park”, il suo nuovo romanzo Negli Stati Uniti e in Europa le nuove generazioni soffrono. Il loro cammino verso la vita adulta comincia con un grande peso sulle spalle. Io spero che questo destino non sia ineluttabile

«Prima ancora di iniziare il libro, come avviene spesso a noi scrittori, avevo un´immagine precisa, scolpita nella mente. Era l´immagine di persone che venivano gettate per strada a calci, spossessate per sempre di una cosa che pensavano fosse loro. Poi ho alzato gli occhi, e ho visto tutto quello che stava succedendo sul serio negli Stati Uniti. Centinaia di migliaia di persone che venivano letteralmente sbattute fuori dalle loro case, perché non potevano pagare il mutuo. L´idea del libro è nata così: dalla violenza di questa crisi…».
Paul Auster, tra un sigaro e un bicchiere di Arneis, parla di fronte a un panorama che ti toglie il respiro. Ma anche di fronte alla struggente bellezza delle colline assolate di queste Langhe, non fatica a ritrovare la durezza di quella prima immagine americana. L´autore della leggendaria Trilogia di New York è in Italia, per presentare il suo ultimo romanzo, Sunset Park (Einaudi), al festival letterario “Collisioni” organizzato a Novello. Al suo fianco, inseparabile, la moglie Siri Hustvedt. Sono arrivati due settimane fa. Scrivono fino alle cinque del pomeriggio, poi se ne vanno in giro in questo angolo incantato di Piemonte. «Proprio qui, in questi giorni – mi racconta – ho finito di scrivere il mio nuovo libro, che non è un romanzo. Presto vedrete…». Proprio qui, invece, parliamo di Sunset Park, e di molto altro.
Sunset Park mi pare il più bel romanzo che ho letto sulla crisi economica di questi anni, sugli effetti di questa tempesta perfetta nella vita di donne e di uomini in carne ed ossa. Fallimenti bancari e aziendali, famiglie che hanno perso la casa, giovani che hanno perso il lavoro. Cosa è cambiato, in questa deriva del turbo-capitalismo?
«Sono passati trent´anni da quando Reagan è andato al governo degli Stati Uniti. Da allora noi americani abbiamo dimenticato che il compito della nostra società, una comunità di 300 milioni di persone, dovrebbe essere quello di prendersi cura gli uni degli altri. Il capitalismo è tornato alle sue forme primitive. E non solo negli Stati Uniti. Il Big Crash deflagrato tre anni fa ha liberato gli istinti peggiori, ha generato un´avidità spaventosa. L´individuo è stato completamente messo da parte, dimenticato. Quello che mi colpisce, oggi, è che la nostra politica non sembra più in grado di gestire la crisi».
Oltre a essere un grande romanzo della crisi, il suo è anche un grande romanzo sulla sconfitta di un´intera generazione di giovani. Il protagonista, Miles Heller, è il simbolo di una rinuncia collettiva al futuro: «Restare nel presente e non guardare avanti… non nutrire desideri e speranze… volere molto poco». Pensa davvero che questa sia l´unica forma di resistenza o di sopravvivenza?
«Io spero che questo destino non sia ineluttabile. Negli Stati Uniti e in Europa le nuove generazioni soffrono. Vedono il futuro come se fosse ristretto. Già da quando iniziano a studiare all´Università devono pagare tasse altissime che costringono loro, o le loro famiglie, a indebitarsi. Così il loro cammino verso la vita adulta comincia già con questo peso sulle spalle, materiale e morale. I ragazzi che non possono permettersi l´Università si trovano in una situazione ancora più drammatica. Nei “vecchi” Stati Uniti in cui sono cresciuto io, chi non aveva studiato poteva trovarsi un lavoro decente in fabbrica o in agricoltura. Oggi non è più così. Per la prima volta nella storia i genitori guardano al futuro dei figli con preoccupazione: sanno che i loro ragazzi vivranno in una società più povera e più ingiusta. Da qui nasce il declino della nostra società. Che non è solo economico, ma è anche etico».
Proprio in questi giorni le grandi corporation quotate in Borsa denunciano profitti record, mai ottenuti dal 1947 ad oggi, mentre la disoccupazione dilaga. Obama aveva fatto la sua campagna elettorale dicendo «più Main Street, meno Wall Street». Secondo lei ha perso questa sfida?
«La prima cosa che dobbiamo capire è che Obama non è un uomo di sinistra: è un moderato, un politico di centro. Oggi la destra si è impossessata dell´egemonia culturale e mediatica. È destra estrema, il partito repubblicano è pieno di fanatici il cui principale obiettivo è quello di distruggere l´attuale struttura di protezione sociale. Obama è con le spalle al muro. Sta cercando di mantenere le sue posizioni, ma non ci riuscirà senza nuove leggi che lo aiutino a realizzare il suo New Deal».
Insisto sul tema dei giovani disillusi e sconfitti. Nel suo libro l´unica eccezione è Suki, una ragazza che lei descrive come «la quintessenza personificata dell´esuberanza e delle promesse giovanili, singolare esempio di gioventù in fiamme». Eppure questa ragazza, concentrato di volontà e di speranza, si suicida a 23 anni. Perché? Vuol dire che i giovani, i motori del cambiamento, sono comunque condannati a soccombere?
«Suki è un personaggio minore del romanzo, ma non per questo meno importante. Nasce da un fatto accaduto realmente. La storia della figlia di un nostro amico: una ragazza straordinaria, piena di talento, di energia, di vitalità, che si è tolta la vita a 23 anni. Questo è stato uno shock terribile per me, per mia moglie, per tutti noi. Quella parte del libro si basa proprio su un´esperienza vissuta. Anche il funerale che descrivo nel libro è molto simile a quello avvenuto nella realtà. Nel raccontare tutto questo non ho voluto fare generalizzazioni. Ma la crudeltà e la devastazione che questa tragedia ha portato è qualche cosa che ancora mi fa sentire profondamente angosciato. Quello che cerco di fare in questo romanzo è dire che i genitori soffrono per quello che fanno i figli. E viceversa, i figli soffrono per quello che fanno i genitori. È un doppio punto di vista, che io cerco di presentare. Il punto di vista di due generazioni sospese tra amore e conflitto. Anche Morris, il padre di Miles, è un essere umano. E gli esseri umani hanno sempre problemi. Perché la vita non è mai facile. Per nessuno».
Vorrei tornare sul concetto di “gioventù in fiamme”. Parliamo dei ragazzi della primavera araba che hanno invaso le piazze in Tunisia e in Egitto. Secondo lei è lì il focolaio della speranza?
«Non so cosa succederà in quei paesi. Penso che l´ispirazione di quei ragazzi sia pura, perché è venuta proprio dai giovani che si sentivano intrappolati. Mi chiedo: di cosa c´è bisogno perché cose simili comincino a succedere anche nell´Occidente? In Spagna c´è stata una grande ondata di proteste, contro la corruzione, la disintegrazione del sistema economico e la mancanza di futuro per i giovani. Non so che fine farà il movimento degli “Indignados”. Ma è chiaro che certe forme di lotta sono necessarie per favorire un cambiamento. C´è bisogno di lavoro, c´è bisogno di una società che offra protezione e rifugio a chi non ne ha. E c´è bisogno di una pressione che costringa le classi dirigenti a una riorganizzazione enorme della società. Dobbiamo ripensare a come viviamo e a come pensiamo le nostre vite».
Un altro tema forte di Sunset Park è quello delle “ferite”. Miles scrive che «sono una parte essenziale della vita, senza le quali non puoi diventare uomo». Crede che l´uccisione di Bin Laden abbia sanato l´immensa ferita dell´11 settembre?
«Quando abbiamo sentito la notizia della cattura e dell´assassinio di Bin Laden, mia moglie ed io ci trovavamo a Parigi. La prima cosa che abbiamo pensato è che fosse stata opera della mafia, per la brutalità con la quale è stata compiuta: due colpi sparati in faccia… Questo mi ha impressionato. Ma ora non mi importa. Non mi dispiace affatto che Osama sia morto. Non mi interessa che gli Stati Uniti abbiano violato qualsiasi legge nel mondo per scovarlo e ucciderlo, né che non sia stato arrestato e sottoposto a un processo. Resto convinto che il problema sia stato formulato male fin dall´inizio. Quando Bush ha detto “dichiaro guerra al terrorismo” ha fatto un gravissimo errore politico e linguistico. Questa guerra è stata combattuta tra paesi e tra nazioni. Ma per me i terroristi sono prima di tutto “psicopatici”: non si combattono mandando l´esercito a invadere questo o quel paese islamico, ma con azioni mirate di polizia internazionale. Detto questo, non so se la morte di Bin Laden abbia sanato la ferita dell´11 settembre. Ma con un po´ di cinismo dico che sono contento che sia stato ucciso da Obama, e non da Bush: Barack ha guadagnato credibilità e fiducia in politica interna. Ha assunto il profilo da “macho” che gli mancava…».
Mi colpisce che proprio lei dica una cosa del genere…
«Me ne rendo conto. Ma deve capire che per otto anni Bush ha vestito i panni del cowboy, spacciandosi per il nuovo John Wayne, e il pubblico americano se l´è bevuta. Poi è arrivato Obama, l´intellettuale, il pensatore, e la destra ha cominciato ad attaccarlo come un debole e un incapace di prendere decisioni. Lo so che è un ragionamento da realpolitik: ma ora quel che è successo a Abbottabad smentisce la falsa propaganda dei repubblicani. E questo spero possa aiutare Obama a essere rieletto».
Nei suoi romanzi, da L´invenzione della solitudine in poi, mi ha sempre colpito la dimensione della “perdita”. Le persone perdute, le cose perdute, i ricordi da non perdere. Perché questa scintilla è così importante, per lei?
«Io penso che la perdita delle persone che si amano sia l´esperienza più dura che si possa vivere. Tutti noi sappiamo che cos´è una perdita. E quando ci troviamo davanti a una perdita, capiamo finalmente qualcosa in più su noi stessi. Molto di più di quando viviamo nella normalità di ogni giorno. In altre parole, noi scopriamo chi siamo davvero solo quando siamo costretti a fronteggiare un trauma o una crisi. È questa scoperta che mi attrae come scrittore: è l´essere umano messo a nudo davanti alle difficoltà, che mi interessa veramente. Questo voglio raccontare nei miei libri. Il resto, la vita quotidiana con la sua routine e le sue banalità, lo lascio alla televisione».

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