“Il mio documentario viaggio nel razzismo per capire l’Italia di oggi”

Il film parte dalla colonizzazione fascista dell’Etiopia: sei intellettuali confrontano passato e presente. Ha conquistato gli americani, ora approda a Bangkok. Il cinema non deve mai inseguire l’estetica televisiva

Il film parte dalla colonizzazione fascista dell’Etiopia: sei intellettuali confrontano passato e presente. Ha conquistato gli americani, ora approda a Bangkok. Il cinema non deve mai inseguire l’estetica televisiva

Gli americani, mai teneri, per parlare del suo film hanno scomodato Hitchcock e Visconti. Luca Guadagnino con Io sono l´amore, ritratto di famiglia altoborghese in un interno (terzo miglior incasso negli Stati Uniti per un film non in lingua inglese), ha fatto il giro del mondo: sarà presentato alla prima edizione del Moviemov Italian Film Festival che si apre oggi a Bangkok. Quarantenne palermitano cresciuto a Milano, Guadagnino è regista e produttore (realizza con RaiCinema il nuovo film che Edoardo Gabbriellini girerà ad agosto con Elio Germano, Valerio Mastandrea e Gianni Morandi) e documentario Inconscio italiano racconta le radici del razzismo. «Un viaggio dagli anni Trenta a oggi, la notte della Repubblica con l´Italia stretta nella morsa berlusconiana, mi sembrava di estrema attualità. Poi è soffiato il vento delle elezioni e ne sono felicissimo».
Come ha costruito il documentario?
«Grazie all´archivio dell´Istituto Luce: parto dalla guerra di Etiopia per raccontare la colonizzazione fascista. Storici, antropologi e filosofi come Angelo Del Boca, Lucia Ceci, Michela Fusaschi, Iain Chambers, Alberto Burgio spiegano come il passato abbia influito sulla mentalità degli italiani».
Ci sono tracce di fascismo in molti comportamenti.
«Trovo che il rapporto tra passato e presente sia interessante proprio alla luce dei risultati elettorali, l´Italia ha trovato la forza di liberarsi. Spero che la voglia di cambiamento non si fermi, che si raggiunga il quorum ai referendum: voterò sì».
Inconscio italiano fa pensare a un percorso psicanalitico.
«Il titolo me l´ha suggerito Ida Dominijanni, che fa parte del mio cast di intellettuali, e mi sembra che renda bene il senso del lavoro: capire come l´immaginario sia stato colonizzato nel profondo».
La televisione ha avuto un ruolo fondamentale.
«Dal punto di vista dei contenuti e dell´estetica. È quella che io chiamo “televisualità”, una scelta inconsapevole che va verso la semplificazione. Una scena si può girare in mille modi ma tutto si è rimpicciolito, i film vengono fatti dal monitor: non fai più cinema. Forse la mia è una battaglia contro i mulini a vento, ma l´uso del primo piano mette in difficoltà il cinema».
Io sono l´amore ha conquistato gli americani: si è chiesto cosa li abbia colpiti?
«Credo che abbiano apprezzato l´immagine, non si piegava all´estetica televisiva, e poteva contare su attrici sensibili come Tilda Swinton e Alba Rohrwacher. Ha dato al pubblico un´idea di forma astratta del cinema italiano del passato. Tutti, da Coppola in giù, sono debitori di Fellini, Visconti, Bertolucci, Rosi».
Per lei cosa conta al cinema?
«L´alta qualità artigianale. In un film si deve vedere la mano del regista e la sua libertà artistica, li ho ritrovati nei film di Alice Rohrwacher, Michelangelo Frammartino, Stefano Savona e Matteo Garrone».

 

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password