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Perù, il colonnello marxista che corteggia gli industriali

Il nazionalista Ollanta Humala ha conquistato la presidenza Il suo slogan: più mercato. Ma la Borsa lo accoglie con un crollo. Dopo il fallimento della campagna del 2006 ha accettato di farsi guidare da uno dei più fidati consiglieri di Lula. Il nuovo “guru” gli ha imposto lo stop al massimalismo. E ora Lima cerca di entrare nell’asse emergente dei paesi sudamericani

Il nazionalista Ollanta Humala ha conquistato la presidenza Il suo slogan: più mercato. Ma la Borsa lo accoglie con un crollo. Dopo il fallimento della campagna del 2006 ha accettato di farsi guidare da uno dei più fidati consiglieri di Lula. Il nuovo “guru” gli ha imposto lo stop al massimalismo. E ora Lima cerca di entrare nell’asse emergente dei paesi sudamericani

Il Perù più povero, quello delle regioni andine e amazzoniche più isolate, la parte meno coinvolta dalla crescita economica, premia un leader nazionalista e si candida a far parte dell´asse emergente in America latina guidato dal Brasile e dalla Colombia. Ollanta Humala, 48 anni, sposato, tre figli, ex tenente colonnello dell´Esercito, raccoglie le ceneri di una sinistra divisa, lacerata dagli spettri di un terrorismo sanguinario e s´impone (51,5 %) sulla rivale Keiko Fujimori (48,5 %), 36 anni, figlia dell´ex presidente-dittatore Alberto, esponente della classe conservatrice e populista.
Dopo aver perso la sfida del 2006 con il più favorito Alan Garcia, il fondatore del Partito nazionalista peruviano, di ispirazione etnocacerista, un´ideologia che esalta il recupero dell´identità incaica sui conquistatori bianchi (lo stesso Ollanta è un nome quechua), è riuscito a convincere anche la scettica classe intellettuale e si prepara così a diventare, il prossimo 28 luglio, il 101° presidente del Perù dall´indipendenza del 1821. Prevale di poco, solo 3 punti di percentuale; ma la sua vittoria tratteggia un futuro che spaventa i grossi investitori stranieri e la buona borghesia del paese timorosi di vedere compromessi i principali settori produttivi della società. Una sorta di economia di mercato nazionale che scalzi quella neoliberale.
Nonostante le sue dichiarate simpatie per il chavismo “bolivariano”, Humala ha evitato di commettere gli errori del passato e ha accettato di farsi guidare da uno dei più quotati consiglieri di Lula, il rappresentante del Partito dei lavoratori (Pt) Luis Favre. È stato proprio questo fine politico, abile stratega, a convincere l´ex militare ad abbandonare il massimalismo di sinistra e ad aprire il suo programma elettorale alla proprietà e all´industria privata senza abbandonare l´idea di estendere a tutti, soprattutto a quel 30 per cento della popolazione sotto le soglie della povertà, i benefici di un progresso economico finora concentrato nelle mani di pochi. Si racconta che fu lo stesso Humala a fare autocritica dopo la sconfitta con Alan Garcia. Chiamò il padre, ideologo dell´etnocacerismo, e ammise di aver commesso una serie di errori, primo tra tutti quello di essersi legato a Chavez e alla sua rivoluzione nazional-popolare. Un errore che ha evitato di commettere in questa sfida: gli è valsa la vittoria, nonostante i dubbi, i timori, le incertezze di una parte dell´elettorato. E nonostante i dubbi del grande capitale: ieri la Borsa di Lima alla riapertura dopo le elezioni ha perso il 12,5%, la caduta più forte della sua storia.
Nei suoi confronti, fino all´ultimo, hanno pesato alcuni episodi oscuri di violazione dei diritti umani di cui il nuovo presidente è stato accusato quando era a capo di una compagnia dell´esercito nella selva di Huànuco durante la guerra sporca a Sendero luminoso nel 1992. Così come la rivolta militare che guidò il primo ottobre del 2000 contro il moribondo governo di Alberto Fujimori nella regione meridionale di Moquegua dalla quale venne poi amnistiato. Ma sono state soprattutto le sue contrastanti dichiarazioni nella campagna elettorale, oltre a voci di cospicui finanziamenti da parte di Chavez, a mantenere un alone di scetticismo sulle sue reali intenzioni. I militari hanno già governato in Perù a cavallo degli anni 70. La figura e le iniziative del generale Juan Velasco Alvarado, a capo di una giunta marxista-leninista, ammirato dallo stesso Humala, hanno lasciato il segno nel paese. Pochi, pochissimi sono disposti a vivere di nuovo un regime che trasformò la riforma agraria in un disastro e soffocò le libertà e i diritti civili.
I tempi sono cambiati, come è cambiata la realtà del Perù. Ollanta Humala ha rettificato la sua strategia, ha garantito la libera iniziativa, la proprietà privata, “corteggia” gli investitori stranieri che hanno contribuito alla sorprendente crescita economica (7,5 per cento) degli ultimi cinque anni. «Il mio obiettivo», ha detto poco dopo essersi assicurato la vittoria, «è consolidare la crescita economica. Sarà il motore dell´inclusione sociale a cui aspirano i peruviani e che rappresenta l´indicazione delle urne». Il nuovo presidente dovrà affrontare i 225 conflitti sociali che punteggiano vaste aree del paese. Si tratta di proteste legate a problemi ambientali e allo sfruttamento di centri minerari che mettono a rischio terre abitate e rivendicate dagli indios.
Humala parte da una posizione di forza. L´economia è solida, la disoccupazione è minima, l´apparato statale è moderno ed efficiente. Il rischio, di fronte a cambi di rotta, sarebbe la fuga dei capitali investiti e la ripresa di una recessione scomparsa da dieci anni. Il nuovo Perù ricalcherà, probabilmente, la strada tracciata da Luiz Inacio Lula da Silva in Brasile che si è rivelata vincente e che ha riscosso l´adesione degli industriali. Non sarà facile: sia “Fuerza 2011” di Keiko Fujimori, sia “Gana Perù” di Ollanta Humala non hanno la maggioranza in parlamento. Di fronte ad una paralisi, si potrebbe affacciare la tentazione di un colpo di mano. Molti lo temono: i militari, fedeli a Humala, contano ancora in Perù.

 

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