Sono lavoratori precari, migranti, studenti, disoccupati, pensionati, lontani da partiti e sindacati. Non dalla politica. Dal 19 maggio la «acampada de Lisboa» ha occupato la piazza centrale della città  in forma permanente. Sabato 28 maggio hanno anche organizzato un corteo per chiedere «democracia verdadeira jà¡!» e per gridare la loro rabbia contro le politiche economiche imposte dal Fondo monetario internazionale. Ma chi sono davvero i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne della acampada portoghese? ">

Paula, Joà£o, Oliveira: una notte di acampada portoghese

Sono lavoratori precari, migranti, studenti, disoccupati, pensionati, lontani da partiti e sindacati. Non dalla politica. Dal 19 maggio la «acampada de Lisboa» ha occupato la piazza centrale della città  in forma permanente. Sabato 28 maggio hanno anche organizzato un corteo per chiedere «democracia verdadeira jà¡!» e per gridare la loro rabbia contro le politiche economiche imposte dal Fondo monetario internazionale. Ma chi sono davvero i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne della acampada portoghese?

Sono lavoratori precari, migranti, studenti, disoccupati, pensionati, lontani da partiti e sindacati. Non dalla politica. Dal 19 maggio la «acampada de Lisboa» ha occupato la piazza centrale della città  in forma permanente. Sabato 28 maggio hanno anche organizzato un corteo per chiedere «democracia verdadeira jà¡!» e per gridare la loro rabbia contro le politiche economiche imposte dal Fondo monetario internazionale. Ma chi sono davvero i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne della acampada portoghese?

Paula è tra i partecipanti all’assemblea. Non interviene, ma ascolta attentamente e intanto mi racconta di lei. Erasmus in Italia [parla ancora un ottimo italiano] poi Spagna e infine New York. Lavorava come pubblicitaria quando è scaduto il «visto di ingresso» ed è dovuta tornare in Portogallo. Ora ha ventisei anni ed è disoccupata. «Qui non c’è lavoro», dice. Con lei c’è João, il suo ragazzo, studente di architettura. Nonostante tutto, Paula molto è ottimista: «Questa è la prima volta che vedo un attivismo politico in Portogallo senza l’organizzazione di partiti o sindacati – spiega – In Italia e Spagna è diverso, c’è una lunga tradizione di militanza, centri sociali e tantissimi gruppi di attivisti. In Portogallo no, il paese le sembra molto più addormentato, ma forse, ora, qualcosa si muove».

Una ragazza francese passa ad offrirci della zuppa di verdure preparata nella cucina. È qui in Erasmus e ci parla della situazione in Francia, delle proteste. Ma veniamo presto interrotti. L’assemblea si fa molto accesa, urla, c’è tensione. Maria-Ana studia economia, è qui dal primo giorno, tra le più attive nell’organizzazione, fa parte della banda di percussionisti che accompagna le manifestazioni. A lei il compito ingrato di gestire gli interventi, secondo una scaletta che i partecipanti che volevano parlare hanno compilato in ordine di arrivo. Francisco ha appena finito un intervento piuttosto aggressivo, i due ragazzi che parlano dopo di lui lo criticano duramente e ricevono un lungo applauso, lui vorrebbe ribattere: «Aspetta il tuo turno!», gli dice Maria-Ana, «No questa non è democrazia!» risponde, «Lascia parlare anche gli altri!», aggiungono altri ragazzi. Qualche minuto di pausa, discussioni a quattr’occhi, gli animi si calmano.

Si sta discutendo del dopo. Dopo dodici giorni di acampada in molti sono stanchi. Le assemblee richiamano tantissima gente, ma sempre meno si fermano a dormire. Colpa della pioggia degli ultimi giorni, del vento e del freddo, anomalo per questo periodo dell’anno. La notte si arriva a 10-12 gradi. In molti non sono attrezzati. Qualcuno propone di salvare le energie per una grande manifestazione il prossimo sabato, il giorno prima delle elezioni. Molti sono d’accordo. Ma le assemblee devono continuare. Finalmente un’idea brillante: invece di un’assemblea permanente, «perché non promuoviamo diverse assemblee itineranti, che si spostano nelle piazze della città?». Si, ma come fare? È quasi mezzanotte, comincia un dibattito di cinque ore. Molti non hanno ancora mangiato. Si vota, mani alzate, la conta dura a lungo. Si decide: l’acampamento verrà smantellato domani, ma le assemblee e i gruppi di lavoro continueranno, durante il giorno, sempre nella Praça do Rossio fino a sabato. E sabato un grande evento: manifestazione, assemblea, discussioni, musica? C’è abbastanza tempo per organizzarlo? Se ne riparla domani. Su una cosa sono tutti d’accordo: questa notte non si dorme, sarà una notte di veglia fino all’alba. Le ragazze con le percussioni attaccano a suonare, molti ballano, altri mangiano. Qualche birra, si discute ancora. Qualcuno è deluso, qualcuno commosso, molti ottimisti. Quello che stiamo costruendo da domani cambierà forma, vedremo cosa diventa.

Il senhor Oliveira, nell’acampada non passa inosservato. La maglia un rosso acceso con una «D» per «democrazia» disegnata sopra, due garofani, uno rosso e uno bianco sul cappello a formare la «V» di vittoria. Ha 71 anni, racconta dei suoi viaggi, delle sue battaglie, dei due anni passati a lavorare a Milano. Di suo figlio che si è suicidato. Ha un grande cartello, scritto a mano con una calligrafia elegante, fitto di dati, riferimenti storici e incitamenti al popolo portoghese, ma quasi illeggibile. In mezzo, a lettere più grandi «V=D». Gli chiedo cosa significa. Me lo spiega e mi chiede di usare carta.org per divulgare il suo messaggio. «V=D»: avremo la vittoria solo con una democrazia vera.

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