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Non aspettare il 25 luglio

Vediamo se non sia andata così. Berlusconi era finito, nel suo credito politico e personale, da un bel po’ di tempo. E’ restato lì a mezz’aria, perché non era pronta la successione, e in molti erano convinti di trarre vantaggi dalla sua dilazione.

Vediamo se non sia andata così. Berlusconi era finito, nel suo credito politico e personale, da un bel po’ di tempo. E’ restato lì a mezz’aria, perché non era pronta la successione, e in molti erano convinti di trarre vantaggi dalla sua dilazione.

Intanto i “suoi”, spaventati di sprofondare con lui, leporelli da strapazzo col don Giovanni da strapazzo. Ma soprattutto la Lega, persuasa che il tempo giocasse a suo favore, e che tutto quello che Berl. e il Pdl perdevano finisse per trasfusione a lei. Berl. non governava. Si occupava degli affari suoi, patrimoniali e giudiziari (coincidono) oltre che di esibizioni estere: col ministro ridotto a controfigura delle bravate da caserma di Berl. coi grandi e i satrapi della terra. Per il resto, Berl. era un ostaggio nelle mani della Lega, che governava con Tremonti e Maroni.

I sondaggi continuavano a rispondere a Berl. come lo specchio alla matrigna, che lui era il più amato del reame, benché Biancaneve fosse già grandicella. Rassegnata a una berlusconizzazione intima degli italiani, buona parte dell´opposizione aveva ripiegato sulle procure, o sulla manovra parlamentare. La seconda si era tradotta in un disastroso passo falso con la mozione di sfiducia, rintuzzata dalla compravendita di deputati con famiglia, così da eclissare la candidatura di Fini. In ognuna di queste occasioni la dilazione sembrava lavorare per il re e la sua corte. Così il rinvio di quindici giorni della discussione della sfiducia a dicembre, prezioso per chiudere con Siliquini e Scilipoti, Dorine e Proci. Così l´impudente separazione fra le date delle amministrative e dei referendum. Avevano capito male. Il rinvio giocava per loro a Montecitorio, al mercato delle mezze calze di cui una metodica selezione alla rovescia e l´apposita porcata elettorale hanno gremito il Parlamento (trionfo di figuri e ballerine quanto al centrodestra, con contagi incresciosi nel centrosinistra, spettacolosi nell´Idv); ma il rinvio giocava contro di loro nella società. Insofferenza e vera e propria ribellione si erano mostrate con la mobilitazione dei giovani, con la bellissima giornata delle donne, e in tante manifestazioni.
Quando poi la società ha avuto l´occasione di rivelarsi nel voto, c´è stato il botto delle amministrative, che ha trascinato a sua volta la valanga dei referendum. Comprensibilmente gli osservatori stranieri (meno comprensibilmente gli italiani) vi hanno letto soprattutto la clamorosa disfatta di Berl.: solo che Berl. sopravviveva già a se stesso, e finalmente una maggioranza di elettori aveva avuto l´occasione per spezzare lo specchio ruffiano dei suoi sondaggi. Ma la notizia delle amministrative e dei referendum stava nella sconfitta della Lega. Le cui furbizie –la mezza dissociazione sulla campagna milanese, tesa a lucrare sull´azzoppamento della Moratti e del Berl. che: “Ci aveva messo la faccia”- le si sono ritorte contro nell´elezione calda di Pisapia, e sono rovinate nel referendum, dopo che anche Bossi aveva dichiarato che non avrebbe votato. Provvidenziale com´è, la sconfitta della Lega era, almeno in queste dimensioni, inaspettata, ma anche largamente piovuta dal cielo. La Lega si è ministerializzata senza perdere la sua volgarità razzista, e ha tirato la corda a far da palo alle porcherie dei processi come delle nipoti di Mubarak, che era la tariffa per tenere sotto tutela il governo e il suo capo imbalsamato. Tutto ciò non era fatto, alla lunga, per piacere al suo elettorato, e nemmeno a una buona parte –una parte buona – dell´elettorato di Berl. Il risultato è comunque una meravigliosa riapertura politica e civile di un´Italia del nord che alla vigilia si dava chiusa e rancorosa per qualche generazione. Vedremo altrove come a questo risultato abbiano dato mano forze e personalità nell´opposizione. Intanto, questa rottura dei ranghi leghisti va in due opposte direzioni. Per una base più calma, e, quanto a stranieri e sicurezza, avvertita dalla tragicommedia maroniana di Lampedusa, verso un ritiro della delega, l´astensione dal voto o, nel referendum, un voto libero e legato al merito.
Per la base militante, quella di Pontida, verso un rincaro di parole d´ordine estremiste – in sostanza: Secessione. Poiché Secessione, a gridarlo oggi, ha qualcosa di comico, pretende di deportare all´estero Pisapia e Fassino, e i sindaci di Novara e Mantova e Arcore e Venezia e Rho e Trieste, e un bastimento carico di arcivescovi, lo slogan esprime soprattutto una frustrazione. Intendiamoci: la frustrazione è il combustibile primo delle avventure scioviniste, la farsa può ripetersi in tragedia, e la Lega resta il partito devoto a Milosevic (e, in un suo esemplare paranazista, a Mladic). Il capo che conta di saziare la sua folla con le parole grosse –”una mano di bianco sopra”– è un apprendista stregone. Però è soprattutto a questa base accanita e frustrata che le attenzioni tattiche dell´opposizione si dedicano, perché è da lei che ci si aspetta la pressione perché la Lega rompa con Berl.: calcolo poco lungimirante, direi.
Elezioni e referendum hanno mutato del tutto lo scenario, per l´eloquenza dei risultati e perché hanno restituito una parte essenziale alle persone, alle loro associazioni, e anche ai partiti d´opposizione. E´ un cambiamento troppo importante per confinarlo a ingrediente di una finale liquidazione di Berl. per mano dei suoi alleati o cortigiani. È qualcosa che ha a che fare, si licet, con la bellezza del Risorgimento o della Resistenza. E con la primavera dei popoli dirimpetto. Col fare da sé –benché niente in politica si compia contando solo sulle proprie forze e serbando intatta la spinta ideale di una ribellione. Abbiamo trascinato – da due anni, in sostanza – una imminenza di 25 luglio continuamente aggiornato, al punto di disabituarci all´idea che il 25 luglio, la notte dei coltelli in casa del padrone, possa finire alle nostre spalle senza bisogno d´esser consumato, e che si possa andare dritti a un 25 aprile del ricominciamento. Ora però aggiungiamo subito che queste date sono suggestive e anche divertenti da maneggiare nella conversazione, ma non hanno nessuna pregnanza storica. Il fascismo –il nazifascismo- era tutt´altra cosa. Si è ceduto, in questa lunghissima parodia di regime, alla tentazione di iperboli come: “Il berlusconismo è peggio del fascismo: almeno quello era una dittatura dichiarata”. Berl., anche in auge, non ha raccolto nemmeno una metà dei consensi di cui godette Mussolini; non è costato una guerra mondiale, e quanto agli oppositori, non è costato né la vita né la galera, e non è differenza da poco. In realtà, ha permesso anche carriere di grido. (Costa bensì un prezzo orrendo a stranieri poveri e giovani tossicodipendenti, ma questa è semmai una differenza cui dovrebbe badare supremamente l´opposizione).
E nelle più losche degradazioni della vita pubblica e istituzionale e dei loro intrecci con le vite private, che hanno costretto a vergognarsi d´essere italiani, questi anni non hanno conosciuto (finora, e così sia) il maneggio di violenze, di stragismo e terrorismo e mafia, cui la vita pubblica italiana fu piegata e fino a poco fa. È il solo riconoscimento da rendere, ora che si chiede, da parte dei suoi meno illusi sostenitori, l´anticipazione di un giudizio “storico” sul berlusconismo: la storia del resto stenterà a trovare una misura per un personaggio sregolato e caricaturale come Berlusconi, dunque, in solido, per tutti noi.

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Non aspettare il 25 luglio

Vediamo se non sia andata così. Berlusconi era finito, nel suo credito politico e personale, da un bel po’ di tempo. E’ restato lì a mezz’aria, perché non era pronta la successione, e in molti erano convinti di trarre vantaggi dalla sua dilazione.

Vediamo se non sia andata così. Berlusconi era finito, nel suo credito politico e personale, da un bel po’ di tempo. E’ restato lì a mezz’aria, perché non era pronta la successione, e in molti erano convinti di trarre vantaggi dalla sua dilazione.

Intanto i “suoi”, spaventati di sprofondare con lui, leporelli da strapazzo col don Giovanni da strapazzo. Ma soprattutto la Lega, persuasa che il tempo giocasse a suo favore, e che tutto quello che Berl. e il Pdl perdevano finisse per trasfusione a lei. Berl. non governava. Si occupava degli affari suoi, patrimoniali e giudiziari (coincidono) oltre che di esibizioni estere: col ministro ridotto a controfigura delle bravate da caserma di Berl. coi grandi e i satrapi della terra. Per il resto, Berl. era un ostaggio nelle mani della Lega, che governava con Tremonti e Maroni.

I sondaggi continuavano a rispondere a Berl. come lo specchio alla matrigna, che lui era il più amato del reame, benché Biancaneve fosse già grandicella. Rassegnata a una berlusconizzazione intima degli italiani, buona parte dell´opposizione aveva ripiegato sulle procure, o sulla manovra parlamentare. La seconda si era tradotta in un disastroso passo falso con la mozione di sfiducia, rintuzzata dalla compravendita di deputati con famiglia, così da eclissare la candidatura di Fini. In ognuna di queste occasioni la dilazione sembrava lavorare per il re e la sua corte. Così il rinvio di quindici giorni della discussione della sfiducia a dicembre, prezioso per chiudere con Siliquini e Scilipoti, Dorine e Proci. Così l´impudente separazione fra le date delle amministrative e dei referendum. Avevano capito male. Il rinvio giocava per loro a Montecitorio, al mercato delle mezze calze di cui una metodica selezione alla rovescia e l´apposita porcata elettorale hanno gremito il Parlamento (trionfo di figuri e ballerine quanto al centrodestra, con contagi incresciosi nel centrosinistra, spettacolosi nell´Idv); ma il rinvio giocava contro di loro nella società. Insofferenza e vera e propria ribellione si erano mostrate con la mobilitazione dei giovani, con la bellissima giornata delle donne, e in tante manifestazioni.
Quando poi la società ha avuto l´occasione di rivelarsi nel voto, c´è stato il botto delle amministrative, che ha trascinato a sua volta la valanga dei referendum. Comprensibilmente gli osservatori stranieri (meno comprensibilmente gli italiani) vi hanno letto soprattutto la clamorosa disfatta di Berl.: solo che Berl. sopravviveva già a se stesso, e finalmente una maggioranza di elettori aveva avuto l´occasione per spezzare lo specchio ruffiano dei suoi sondaggi. Ma la notizia delle amministrative e dei referendum stava nella sconfitta della Lega. Le cui furbizie –la mezza dissociazione sulla campagna milanese, tesa a lucrare sull´azzoppamento della Moratti e del Berl. che: “Ci aveva messo la faccia”- le si sono ritorte contro nell´elezione calda di Pisapia, e sono rovinate nel referendum, dopo che anche Bossi aveva dichiarato che non avrebbe votato. Provvidenziale com´è, la sconfitta della Lega era, almeno in queste dimensioni, inaspettata, ma anche largamente piovuta dal cielo. La Lega si è ministerializzata senza perdere la sua volgarità razzista, e ha tirato la corda a far da palo alle porcherie dei processi come delle nipoti di Mubarak, che era la tariffa per tenere sotto tutela il governo e il suo capo imbalsamato. Tutto ciò non era fatto, alla lunga, per piacere al suo elettorato, e nemmeno a una buona parte –una parte buona – dell´elettorato di Berl. Il risultato è comunque una meravigliosa riapertura politica e civile di un´Italia del nord che alla vigilia si dava chiusa e rancorosa per qualche generazione. Vedremo altrove come a questo risultato abbiano dato mano forze e personalità nell´opposizione. Intanto, questa rottura dei ranghi leghisti va in due opposte direzioni. Per una base più calma, e, quanto a stranieri e sicurezza, avvertita dalla tragicommedia maroniana di Lampedusa, verso un ritiro della delega, l´astensione dal voto o, nel referendum, un voto libero e legato al merito.
Per la base militante, quella di Pontida, verso un rincaro di parole d´ordine estremiste – in sostanza: Secessione. Poiché Secessione, a gridarlo oggi, ha qualcosa di comico, pretende di deportare all´estero Pisapia e Fassino, e i sindaci di Novara e Mantova e Arcore e Venezia e Rho e Trieste, e un bastimento carico di arcivescovi, lo slogan esprime soprattutto una frustrazione. Intendiamoci: la frustrazione è il combustibile primo delle avventure scioviniste, la farsa può ripetersi in tragedia, e la Lega resta il partito devoto a Milosevic (e, in un suo esemplare paranazista, a Mladic). Il capo che conta di saziare la sua folla con le parole grosse –”una mano di bianco sopra”– è un apprendista stregone. Però è soprattutto a questa base accanita e frustrata che le attenzioni tattiche dell´opposizione si dedicano, perché è da lei che ci si aspetta la pressione perché la Lega rompa con Berl.: calcolo poco lungimirante, direi.
Elezioni e referendum hanno mutato del tutto lo scenario, per l´eloquenza dei risultati e perché hanno restituito una parte essenziale alle persone, alle loro associazioni, e anche ai partiti d´opposizione. E´ un cambiamento troppo importante per confinarlo a ingrediente di una finale liquidazione di Berl. per mano dei suoi alleati o cortigiani. È qualcosa che ha a che fare, si licet, con la bellezza del Risorgimento o della Resistenza. E con la primavera dei popoli dirimpetto. Col fare da sé –benché niente in politica si compia contando solo sulle proprie forze e serbando intatta la spinta ideale di una ribellione. Abbiamo trascinato – da due anni, in sostanza – una imminenza di 25 luglio continuamente aggiornato, al punto di disabituarci all´idea che il 25 luglio, la notte dei coltelli in casa del padrone, possa finire alle nostre spalle senza bisogno d´esser consumato, e che si possa andare dritti a un 25 aprile del ricominciamento. Ora però aggiungiamo subito che queste date sono suggestive e anche divertenti da maneggiare nella conversazione, ma non hanno nessuna pregnanza storica. Il fascismo –il nazifascismo- era tutt´altra cosa. Si è ceduto, in questa lunghissima parodia di regime, alla tentazione di iperboli come: “Il berlusconismo è peggio del fascismo: almeno quello era una dittatura dichiarata”. Berl., anche in auge, non ha raccolto nemmeno una metà dei consensi di cui godette Mussolini; non è costato una guerra mondiale, e quanto agli oppositori, non è costato né la vita né la galera, e non è differenza da poco. In realtà, ha permesso anche carriere di grido. (Costa bensì un prezzo orrendo a stranieri poveri e giovani tossicodipendenti, ma questa è semmai una differenza cui dovrebbe badare supremamente l´opposizione).
E nelle più losche degradazioni della vita pubblica e istituzionale e dei loro intrecci con le vite private, che hanno costretto a vergognarsi d´essere italiani, questi anni non hanno conosciuto (finora, e così sia) il maneggio di violenze, di stragismo e terrorismo e mafia, cui la vita pubblica italiana fu piegata e fino a poco fa. È il solo riconoscimento da rendere, ora che si chiede, da parte dei suoi meno illusi sostenitori, l´anticipazione di un giudizio “storico” sul berlusconismo: la storia del resto stenterà a trovare una misura per un personaggio sregolato e caricaturale come Berlusconi, dunque, in solido, per tutti noi.

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