DIARIO MILITANTE Val Susa. Pioggia e avvisi di garanzia sui valsusini che resistono contro l’alta velocità . Ecco cosa è accaduto nell’ultimo mese nel racconto di un protagonista. Che lancia un appello al movimento per i beni comuni: «Venite qui da noi»
DIARIO MILITANTE Val Susa. Pioggia e avvisi di garanzia sui valsusini che resistono contro l’alta velocità . Ecco cosa è accaduto nell’ultimo mese nel racconto di un protagonista. Che lancia un appello al movimento per i beni comuni: «Venite qui da noi»
Piove sulla Valle di Susa, acqua a catinelle e avvisi di garanzia. Quest’anno è così: i prati non sono mai stati così verdi, i No Tav non sono mai stati così fradici di pioggia. Noi eravamo abituati alla neve e al gelo e il caldo afoso e l’umidità dell’ultima stagione un po’ ci disorientano, ma ci stiamo abituando. La Maddalena di Chiomonte sta diventando un luogo di culto. Culti pre-celtici debbono pure essere sepolti in quella che è stata definita la Pompei del nord, o più propriamente del neolitico: piovvero macigni in una notte (o giorno) di qualche migliaio d’anni fa e come la cenere per Pompei la frana scesa dalla costone che sale verso la Val Clarea ha ucciso tante vite ma preservato per i posteri una quantità straordinaria di reperti che – dicono – non ha uguali in Europa. Mal’autostrada vent’anni fa, i canali di drenaggio dell’ultimo bacino idroelettrico da poco terminato e la “galleria geognostica” della Tav Torino-Lione che si vorrebbe avviare in questi giorni non hanno avuto rispetto per i morti… ma soprattutto non ne hanno per i vivi.
In questo fazzoletto di terra, un imbuto creato dalla confluenza del Clarea con la Dora Riparia, tra le viti più ad alta quota d’Europa, dove si riesce con indicibili disagi ma con pari orgoglio a produrre anche il prezioso “vino del ghiaccio”, da quasi un mese è iniziato l’ultimo braccio di ferro tra i fautori della ferrovia più inutile d’Europa (quella che c’è non ospita neanche un terzo dei treni che potrebbe) e i cittadini di una valle che dopo aver detto di sì a tutto, vent’anni fa ha deciso di provare a dire no.
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Si dorme col telefono sotto il cuscino dalla notte del 23 maggio quando, verso le 2 di notte, alcune decine di operai edili protetti da un manipolo di poliziotti e carabinieri salirono da Susa verso l’imbocco della galleria della Maddalena, al termine del viadotto omonimo che sovrasta l’area su cui si è deciso di impiantare il cantiere della galleria finanziabile coi soldi della Ue. Un appalto di poco meno di 200 mila euro (a preventivo) rimborsabili con i 671 milioni che la Commissione Ue ha deciso di assegnare all’Italia nonostante tutte le gravi inadempienze denunciate dai cittadini, dalle associazioni ambientaliste e da un gruppo di eurodeputati particolarmente sensibili al diritto di dissenso.
A distanza di qualche settimana sembra anche che la tecnica studiata per tagliare un varco nel parapetto di protezione che salda la parete della galleria col salto nel vuoto rappresentato dal viadotto sia una via di mezzo tra una genialata e una follia: si è sentito parlare di un taglio da eseguire con un getto d’acqua fino a 7 mila atmosfere, roba da amputare di netto un arto a chiunque si fosse disgraziatamente trovato nei paraggi. Ma, vera o no che sia l’idea, resta la cronaca, sintetizzata dalle immagini col logo della Polizia di Stato che passano e ripassano sugli schermi per certificare una fitta sassaiola che avrebbe causato la rinuncia delle forze dell’ordine: dopo il taglio del parapetto si sarebbero potuti scaricare alcune decine di metri di prefabbricati che con alte reti pre-montate sarebbero serviti a rendere impenetrabile il cantiere, se non dall’autostrada.
La sassaiola c’è stata, le immagini “girate” dalle telecamere di Ps, rivolte verso l’esterno dell’autostrada e montate all’uopo qualche giorno prima lo dimostrano. Ma mostrano anche la carreggiata deserta presso l’imbocco ovest della galleria. Non ci sono immagini che testimonino che qualcosa sia stato lanciato verso i lavoratori o le forze dell’ordine, come non ce ne sono che certifichino il lancio di pesanti coni segnalatici, qualche bullone o pezzo di guard-rail e cartelli di cantiere sulla testa di alcuni manifestanti che si erano radunati sotto il viadotto a circa 20 metri più in basso, da dove era ovviamente impossibile offendere ma facilissimo essere offesi. Ma ci sono i sassi sequestrati, oltre cento chili per più di 700 pezzi: praticamente ghiaia, ma più che sufficiente per sbattere in onda i mostri anarco-insurrezionalisti.
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Si passano così molte notti, accampati alla Maddalena, con le tende inzuppate d’acqua ma con la cucina da campo aperta 24 ore. Chi non può sta a casa, ma tiene il cellulare invece della sveglia sul comodino. Ma non succede più nulla. Non lì, salvo che l’accampamento si struttura, prende forma, e i No Tav, che hanno la fissa della cultura, montano anche tende padiglione per allestire mostre, fare controinformazione, studiare la storia antica. E tante cose succedono attorno alla Maddalena, cellula di democrazia partecipata che viene subito ribattezzata “libera repubblica”: anche la repubblica incatenata sembra volersi finalmente togliere i ferri: e subito dopo che i ballottaggi sanciscono che liberarsi dal tiranno si può, arriva il vento impetuoso dei referendum a sancire che 27 milioni di italiani antepongono la difesa dei beni comuni alla (sempre più scarsa) fede nei partiti.
Pare che gli anticorpi abbiano di colpo e dopo anni di abbandono ricominciato a lavorare febbrilmente. In piazza della Bocca della Verità a Roma ci sono le donne, gli uomini e i giovani che hanno promosso la rivoluzione dei gelsomini anche sulla sponda nord del Mediterraneo. E c’è persino qualcuno che rilancia: «La prossima vittoria dovrà essere contro il Tav in Valle di Susa!» Qualcuno lo scrive anche, in rete, rigorosamente da fuori del nostro piccolo grande territorio: «Il movimento dei beni comuni deve trasferirsi in Valle di Susa».
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Ma tutto questo terrorizza il partito degli affari. Torino, bastione della conservazione partitica, deve intervenire, Così – proprio mentre gli uffici postali sono bloccati dal più colossale ingorgo informatico d.B. (dopo Billgates) – una sola cosa pare funzioni ancora con puntualità svizzera nelle Poste italiane: il recapito di proiettili agli onorevoli Pd Stefano Esposito e Giorgio Merlo, inviati con raccomandata ricevuta di ritorno «dal Movimento No Tav della Valle di Susa» (così decretano con processo senza appello i politici e i loro media). I due deputati hanno da poco sottoscritto la richiesta di intervento dell’esercito per dare al sito della Maddalena le caratteristiche di «zona strategica inviolabile». Ne nasce una polemica giornalistica che il quotidiano sabaudo di Impregilo editore affida alle sue migliori penne, per definire testualmente «paraterroristi» i cittadini della Valle di Susa e conniventi e irresponsabili i loro sindaci, colpevoli di volerne difendere la salute assieme alla vivibilità del territorio loro affidato. Quanto al vecchio neosindaco di Torino, invece di preoccuparsi del fatto che con qualche eccesso di zelo alcuni esponenti del suo partito avrebbero chiesto aiuto alle ‘ndrine della Provincia per spuntarla nelle durissime primarie Pd, lo vediamo teso a vanificare – via holding – l’esito dei referendum sull’acqua.
È in questo clima (mentre una giunta regionale insediata da otto mesi viene amputata dell’assessora Pdl alla sanità perché avrebbe rubato persino sui pannoloni e aveva collaboratori che pare concordassero gli appalti con la mafia) che maturano i 65 avvisi di garanzia nei confronti di Alberto Perino («leader maximo» dei No Tav a furor di cronisti) e di una cinquantina di persone prevalentemente individuate nell’area dei centri sociali di Torino, il più conosciuto dei quali, Askatasuna, viene perquisito dopo che ne è stata sfondata la porta.
Molto diverso l’atteggiamento dei funzionari Digos inviati a casa di Perino, nonostante il “suo” avviso di garanzia, firmato dal procuratore Giancarlo Caselli, contenga l’accusa più grave – istigazione a delinquere – che emana però un fortissimo odore di “reato d’opinione”. I funzionari sono gentili, si direbbe in imbarazzo nel dover cercare in una casetta tipica di Condove, il comune con la più ampia superficie montana della provincia di Torino, corpi di reato quali motoseghe, oggetti contundenti (mattarelli, paletti per tenere su le piante di pomodoro), fionde, segnaletica stradale (quella lanciata dal viadotto sui manifestanti la notte del 24 maggio da chi ci stava “legalmente” sopra?)… Alla fine se ne vanno con una agendina di appunti delle spese di casa e degli appuntamenti… In meno di mezz’ora (nonostante la giornata e l’ora lavorativa) sotto la vecchia casa in un vialetto di abitazioni tinteggiate di fresco, spesso gemelle, che negli anni cinquanta furono edificate per le maestranze delle “Officine Moncenisio”, si sono radunate più di duecento persone.
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Ma leggiamoli, alcuni passi dell'”avviso: «Rilevato che i fondati motivi sono desunti dall’attività di P.G. effettuata e in particolare dall’annotazione di P.G. in data 30 maggio 2011 in cui si evidenziano i seguenti fatti: in data 21 maggio 2011 al termine della marcia Rivalta-Rivoli, Alberto Perino teneva un comizio in una piazza di Rivoli, alla presenza di 4000 persone, nel corso del quale in modo inequivocabile istigava alla commissione di reati quali resistenza aggravata, interruzione di pubblico servizio, violenza privata». Segue la sbobinatura meticolosa dei passi salienti dell’intervento di Alberto, che aveva parlato al microfono di un palco improvvisato per porre termine a una marcia che, convocata neanche due settimane prima, aveva visto la solita grande partecipazione di popolo. E moltissime “facce nuove” visto che la protesta – dopo la pubblicazione dei nuovi progetti – si stava allargando all’Area metropolitana torinese. Un discorso che cominciava così: «Io spero che saremo di più alla Maddalena, perché è li che si gioca, qui mostriamo i muscoli, facciamo un po’ di allenamento, ma là ci sarà il confronto e dovremo vincere noi». Frasi di questo tipo, anzi ben più galvanizzanti per il popolo celtico, a Pontida vanno in scena tutti gli anni. Spesso pronunciate da ministri. Ma nessuno si sogna di perseguirli.
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Mario Virano, il commissario consigliato da Lunardi e Fassino a Berlusconi nel 2005 per “risolvere” la fastidiosa opposizione alla Grande Opera che avrebbe dovuto aprire un passaggio a nordovest (vale a dire sfondare una porta aperta, visto che il passaggio c’è già e avanza) parla molto, persino più di Alberto Perino, e – soprattutto – i suoi “comizi” vengono raccontati e chiosati non da agenti di polizia giudiziaria (nonostante qualche rogna con la giustizia nel passato l’abbia avuta) ma da un esercito di giornalisti-biografi (che si apprestano – tra l’altro – a incassare qualche centinaio di migliaia di euro sottratti alla sanità per la campagna regionale a favore della Torino-Lione). Grazie a questa ampia “letteratura” (non tutto il male viene per nuocere) si può facilmente affermare che tra la tantissime cose che dice, ogni tanto (com’è statisticamente normale) ne dice persino qualcuna giusta.
Qui ne vorrei citare due: la prima, quando affermò che se fossero riusciti ad avviare il cantiere propedeutico della Maddalena non avrebbe voluto dire che la partita era vinta. La seconda, che la nostra passione civile sarebbe stata degna di una miglior causa che non rivolti contro un treno. E infatti è proprio così, architetto, se dopo sei anni di ricche parcelle, oltre a non aver convinto nessuno, non ha neanche capito che noi non ce l’abbiamo con il treno è meglio che – se può – cambi mestiere: ci pensavo nel pomeriggio di venerdì 17 giugno, mentre un battaglione di avvocati si avvicendava al microfono della conferenza stampa convocata tempestivamente alla Maddalena e dopo, durante gli interventi di sacerdoti, amministratori, professori di ingegneria di quel Politecnico che appena il giorno prima aveva ospitato nell’Aula Magna, e su richiesta del collettivo degli studenti, l’ennesimo convegno sul perché le Grandi Opere sono prima di tutto una Grande Truffa…
Dopo oltre vent’anni, migliaia di pagine di osservazioni tecniche di altissimo valore scientifico, centinaia di momenti informativi che hanno fatto diventare la nostra valle – mi si perdoni l’iperbole – una sorta di espansione recente della Scuola di Barbiana dove – con Don Milani – non ci limitiamo a dire che obbedire non è più una virtù, ma che il sapere non deve più essere uno strumento di potere. Mentre tutto questo succede sotto i nostri occhi, e grazie a professori del Laboratorio per la Democrazia come Beppe Sergi e Massimo Zucchetti, la Maddalena è diventata anche un’aula universitaria a cielo aperto…
È vero: la nostra lotta è degna di miglior causa, soprattutto è degna di essere raccontata per quello che è, e non per quello che neanche uno pagato per sei anni per quello – e al di là della mala fede – è riuscito a capire: una interpretazione di dimensione locale della necessità globale, non più rinviabile, di riprendere il futuro nelle nostre mani sottraendolo ai banchieri che a forza di trasformare tutto quel che toccano in oro stavano per trasformare definitivamente l’acqua in merda, l’aria in una miscela di diossine e la ricchezza collettiva in un club-billionaire per quattro vecchi pervertiti. Un clima sempre più surreale, grazie all’inchiesta sulla P4 che, attorno a Bisignani coinvolge attori “Sì Tav” di primissimo piano (dall’intoccabile Gianni Letta al capo di Fs Moretti, a Montezemolo), e mentre la signora Marcegaglia, in trasferta a Torino, definisce i cittadini della Valle di Susa indegni di un paese civile e ne auspica implicitamente la deportazione, condicio sine qua non per il rilancio del Pil. Contro tutto questo è rivolta la nostra lotta, nella nuova consapevolezza che se i media tradizionali continueranno nella loro strada suicida dovranno prima o poi accorgersi a loro spese (come è già stato per molti partiti) che saranno sempre più loro ad aver bisogno di noi e sempre meno noi ad aver bisogno di loro.
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