Sarah Shourd ha iniziato da più di una settimana lo sciopero della fame. È convinta che lo stiano facendo anche il suo fidanzato Shane Bauer e l’amico Josh Fattal rinchiusi nel famigerato carcere iraniano di Evin. Era l’unica forma di lotta da loro individuata contro la detenzione, quando anche Sarah si trovava in carcere, perché ormai da mesi non c’è più nessuna comunicazione con loro. Anche se la protesta intanto ha pagato: il 23 maggio Shane a Josh hanno avuto il permesso di telefonare a casa.
Sarah Shourd ha iniziato da più di una settimana lo sciopero della fame. È convinta che lo stiano facendo anche il suo fidanzato Shane Bauer e l’amico Josh Fattal rinchiusi nel famigerato carcere iraniano di Evin. Era l’unica forma di lotta da loro individuata contro la detenzione, quando anche Sarah si trovava in carcere, perché ormai da mesi non c’è più nessuna comunicazione con loro. Anche se la protesta intanto ha pagato: il 23 maggio Shane a Josh hanno avuto il permesso di telefonare a casa.
Quanto alla ripresa del processo, prevista l’11 maggio, – sono accusati di spionaggio – è stata rinviata senza motivazioni. Si tratta della terza udienza, le prime due (nel novembre 2010 e nel febbraio di quest’anno) sono state tenute a porte chiuse. Nemmeno l’avvocato iraniano Masoud Shafiee ha potuto parlare con gli imputati per discutere la linea di difesa. Tutti si dichiarano innocenti.
Sarah, 32 anni, Shane e Josh, ventottenni, sono stati arrestati dalle guardie iraniane mentre stavano facendo una escursione nel Kurdistan iracheno vicino al villaggio di Ahmed Awa («era un sentiero che ci avevano indicato gli abitanti del posto», dice Sarah) e sarebbero sconfinati in Iran. Uno sconfinamento di pochi passi, racconta Sarah, una guardia iraniana ci aveva fatto segno che il sentiero su cui ci trovavamo era iracheno alle nostre spalle e iraniano di fronte a noi «eravamo scioccati non c’era nessuna indicazione di frontiera, volevamo tornare indietro…». Ma sono stati arrestati dai soldati iraniani e rinchiusi nel carcere più tristemente famoso di Tehran. Era il 31 luglio 2009 e da allora i due ragazzi hanno avuto un solo breve colloquio con le loro madri quando si sono recate a Tehran nel maggio del 2010. Sarah invece è stata rilasciata su cauzione per motivi umanitari lo scorso settembre ed è tornata negli Stati uniti dove l’abbiamo raggiunta telefonicamente a Oakland, in California. Le era stato diagnosticato un disordine mentale. La valutazione della sua condizione psicologica era stata inviata alla Corte rivoluzionaria che aveva deciso il suo rilascio dietro il pagamento di una cauzione di 500.000 dollari.
Chi ha pagato? chiediamo a Sarah. «Non lo so», risponde. Ma aggiunge che per la sua liberazione si erano mobilitate diverse diplomazie, in particolare quella di Oman, dove è stata trasferita prima di tornare negli Usa. Ma ci sono altri paesi, come la Turchia e il Brasile impegnati per ottenere la liberazione anche di Shane e Josh. Per loro la situazione è più complicata: la terza seduta del processo sarebbe stata sospesa perché Sarah non è ritornata in Iran. Lei dice che non può tornare perché sta ancora male ed è facile immaginare il suo stress dopo 14 mesi trascorsi isolata in una cella del carcere di Evin. «Sto ancora più male all’idea di quello che potrà accadere a Shane e Josh, loro sono rinchiusi da 21 mesi e non posso nemmeno immaginare quanto sia costato loro».
Sarah ha fatto presente alle autorità iraniane le sue condizioni ma l’unica risposta è stata che se non ritorna a Teheran i 500.000 dollari saranno confiscati.
L’avvocato Shafiee – che Sarah definisce «molto coraggioso» – sostiene che il processo, secondo la legge iraniana, non deve fermarsi per l’assenza di un imputato che può essere condannato in contumacia. Ma le autorità iraniane non si curano di queste obiezioni e violano la legge iraniana e tutti gli standard internazionali previsti per un processo equo, come ha denunciato Hassiba Hadj Sahraoui, di Amnesty international. «Non abbiamo commesso nessun crimine», ripete Sarah. Ma l’impressione è che la liberazione dei due giovani americani non dipenda dall’esito del processo ma da altri negoziati in corso con gli Stati uniti, come era avvenuto per la francese Clotilde Reiss. La studentessa di Lille era stata accusata di spionaggio per aver partecipato alle manifestazioni che si erano svolte a Tehran dopo la rielezione di Ahmadinejad nel giugno del 2009, ma era stata liberata nel maggio scorso pochi giorni dopo il rilascio in Francia di Ali Vakili Rad, condannato per l’assassinio avvenuto nel 1991 nella periferia di Parigi di Shapour Bakhtiar, primo ministro ai tempi dello shah.
I negoziati con gli Usa sono più complicati: la tensione fra i due paesi sulla questione del nucleare non facilita i rapporti con un paese che non ha nemmeno una rappresentanza diplomatica a Tehran e i cui interessi sono rappresentati dall’ambasciata svizzera. Queste tensioni possono ostacolare la liberazione di Shane e Josh? «Penso che sia la mancanza di scambi culturali tra gli Stati uniti e l’Iran per oltre tre decenni a rendere possibile quello che sta succedendo. Siamo sulla strada sbagliata».
Paradossalmente, come spesso succede, sono le persone impegnate nella conoscenza di altre culture e altri mondi le principali vittime delle ostilità tra paesi che giocano la loro supremazia sullo scontro politico e culturale.
Sarah si trovava a Damasco per studiare l’arabo mentre insegnava inglese quando ha deciso di andare a fare una vacanza in Kurdistan con il fidanzato Shane, giornalista free lance, e l’amico Josh che era andato a trovarli in Siria.
Nonostante l’esperienza drammatica – quattordici mesi trascorsi in una cella di 4 metri x 3, senza nozione del tempo, con un unico libro, un vocabolario, senza bagno, per andarci doveva bussare alla porta e quando veniva il guardiano la accompagnava bendata – non rinnega le sue scelte.
Continuerà «a studiare il Medioriente e la soluzione dei conflitti. Voglio essere un ponte. È una convinzione maturata prima di andare in carcere che sento ancora più forte oggi». Una scelta coraggiosa che possiamo capire. Ma ora l’impegno principale è quello per ottenere la liberazione di Shane e Josh con lo sciopero della fame, che lei aveva già fatto quattro volte quando si trovava a Evin, e una raccolta di firme (www.freethehikers.org). Cindy Hickey e Laura Fattel, madri rispettivamente di Shane e Josh, hanno iniziato lo sciopero il 19 maggio, a un anno dalla loro visita a Tehran. L’azione è sostenuta da amici vecchi e nuovi dei due ragazzi.
E noi che cosa possiamo fare? «Abbiamo bisogno dell’Europa, che faccia sentire la sua voce e usi il suo potere per fare pressione affinché Shane e Josh vengano liberati», risponde Sarah con un filo di voce.
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