La pena «utile» e la contro-rivoluzione politica

Prima della riforma della legge Gozzini, in Italia il tasso di detenzione era tra i meno preoccupanti d’Europa

Prima della riforma della legge Gozzini, in Italia il tasso di detenzione era tra i meno preoccupanti d’Europa

Venticinque anni fa grazie a Mario Gozzini fu approvata una legge che rivoluzionò il sistema penitenziario e che porta ancora nobilmente il suo nome. Una legge di grande valore contro cui votarono più o meno solo i missini. In quella legge si prevedeva che chiunque dal primo giorno di esecuzione della pena potesse ottenere un beneficio penitenziario, potesse andare a lavorare all’esterno, potesse usufruire di una misura alternativa alla detenzione. Quella legge determinò il superamento dell’idea che la galera fosse l’unica pena possibile. Si poteva essere puniti ma con una pena utile: studiando, lavorando, stando vicino ai propri cari. Grazie a quella legge l’Italia divenne l’avanguardia riformista penitenziaria. 

I detenuti nel 1990 erano divenuti circa 30 mila. I tassi di detenzione (numero di detenuti per numero di abitanti) e di sovraffollamento (numero di detenuti per numero di posti letto) erano tra i meno preoccupanti di Europa. Poi quella legge è stata contro-riformata. I benefici sono divenuti opportunità tolte progressivamente a insiemi di detenuti. Prima ai mafiosi, poi ai terroristi, poi ai trafficanti di droga, poi ai rapinatori e per ultimi ai recidivi. Ossia a buona parte dei detenuti italiani. La politica, dopo il 1989, ha subito sempre più il ricatto dei grandi media. Una dopo l’altra sono decollate tutte le campagne sicurezza. L’inganno della certezza della pena ha travolto la legge Gozzini. Come se la certezza della pena significasse pena carceraria obbligatoria. È una pena certa anche quella scontata in modo diverso, facendo cose ben più utili dell’ozio forzato in galera, ad esempio lavorando o studiando. 
I pacchetti sicurezza voluti da governi di centrosinistra e di centrodestra hanno fatto il resto. I detenuti tossicodipendenti, immigrati, poveri (si pensi alle campagne bipartisan sui lavavetri), con problemi psichiatrici sono cresciuti esponenzialmente. Oggi i detenuti sono 67 mila. Mentre le campagne sicurezza imperversavano condizionando quasi tutto l’arco parlamentare accadeva che veniva riformata la norma della Costituzione sull’amnistia, prevedendo una maggioranza di due terzi per ciascuno degli articoli approvati. L’ultima amnistia fu approvata nel 1990. Da allora c’è stato un indulto, quello del 2006. Chi l’ha votato ne sta ancora oggi pagando le conseguenze pubbliche, essendo stato incapace di difenderlo. Quella occasione fu parzialmente sprecata. Nonostante i solleciti del Capo dello Stato nessuna riforma fu varata per accompagnare l’indulto. Così i detenuti sono continuati a crescere di numero e a vivere in celle stipate oltre la decenza. Ora Marco Pannella sciopera per l’amnistia. L’amnistia è sempre un rimedio tardivo. A noi piacerebbe che fosse riformato il codice penale, che fossero cestinate le leggi sulle droghe e sulla immigrazione, che fosse rivisto il meccanismo classista della recidiva, che fosse rivitalizzata la legge Gozzini. In attesa di tutto ciò, l’amnistia viene trasformata in un gesto politico pubblico di giustizia sostanziale.

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