La lotta di Marco, amnistia per l’Italia

PANNELLA «Uno Stato con le carceri come quelle italiane è illegale. Di più: recidivo». Il vecchio leone Radicale continua il suo sciopero della fame e della sete. Con oltre 10 mila detenuti

PANNELLA «Uno Stato con le carceri come quelle italiane è illegale. Di più: recidivo». Il vecchio leone Radicale continua il suo sciopero della fame e della sete. Con oltre 10 mila detenuti

La mia prima mossa se fossi ministro di Giustizia? «Imporrei alle tv di aprire una grande discussione pubblica su amnistia, indulto, carceri e giustizia». Perché nemmeno Angelino Alfano che ieri mattina è andato a trovarlo nella clinica romana dove è ricoverato da lunedì sembrava, a suo dire, «maneggiare con scioltezza lo strumento dell’amnistia». «Per forza! Sono trent’anni che in Italia non c’è un dibattito vero sulla questione, malgrado da altrettanti anni noi Radicali ci battiamo per una riforma necessaria a tutto il Paese per uscire dall’illegalità». È il Marco Pannella di sempre, sia pur con trenta chili ma nemmeno un grammo di energia di meno, quello che, seduto al bar della clinica romana, spiega le ragioni della sua lotta, polemizza, provoca, si appassiona, ricorda. Il presente non lo stupisce, perché è sempre la partitocrazia il grande flagello italiano. E Berlusconi non si è inventato nulla con tutti quegli escamotage per sabotare i referendum: «Dal ’76 a oggi lo hanno fatto tutte le legislature repubblicane». Per capirlo, basta ripercorrere le tappe della lunga e gloriosa storia Radicale che – dirà un’ora e mezza dopo, salutando – «continuerà a rompere i coglioni a chi di dovere anche quando sarò morto». 

Non assume alimenti solidi da 64 giorni e da quattro nemmeno liquidi, eppure le sue condizioni di salute hanno stupito i medici che lo tengono sotto stretta osservazione perché temono che qualcosa si blocchi all’improvviso. C’è troppa creatina nel sangue e i reni ne risentono, ma lo spirito è forte almeno tanto quanto quella volta, nel lontano 1975, «quando sono arrivato a novanta giorni di sciopero della fame». Smettere di bere, però, a 81 anni compiuti un mese fa, è tutt’altra storia. Ma gli viene in aiuto la scorza dura d’abruzzese: «Quando avevo 16 anni, a Teramo, leggevo sui quotidiani gli avvisi di morte presunta degli emigrati italiani a “broccolino” e in giro per il mondo perché le famiglie che perdevano le tracce dei loro cari avevano bisogno di districarsi nella burocrazia che bloccava le loro vite, e fu così che nacque l’amore per le lotte di classe, sociali e di diritto, che per noi liberali e radicali sono la stessa cosa. Perché stare dalla parte delle classi oppresse significa risolvere i problemi di tutti e di ciascuno, anche delle classi dominanti».
Alfano si è intrattenuto un’ora questa mattina, cosa le ha proposto?
Non era una trattativa, abbiamo parlato a lungo e ci siamo confrontati sulla questione che più sta a cuore ad entrambi, la condizione scandalosa delle carceri italiane e di tutto il sistema giustizia che ha portato l’Italia in uno stato di illegalità costituzionale, nazionale, internazionale ed europea. Lo ringrazio di questa sua visita ma mi rendo conto che perfino lui sembra non aver approfondito lo strumento dell’amnistia. Non c’è da stupirsi, però, visto che in Italia c’è grande disinformazione su questi temi. Non è un caso, infatti, se dal grande “gladiatore” Santoro – giornalista di grande professionalità, comunque – fino ai vari Vespa e Floris nessuno ha mai dato spazio alle nostre battaglie e alle nostre idee. 
E sull’amnistia, che dice Alfano?
Non possono, dicono che non possono. D’altra parte lo diceva anche il governo Prodi, quando aveva Di Pietro come ministro. Ancora stanno tutti lì, a pagare il dazio sull’indulto. Quando basterebbe vedere e spiegare agli italiani le statistiche sui recidivi per capire che solo il 25% di coloro che sono usciti di galera con l’indulto vi sono rientrati, mentre il 65% di quelli che sono arrivati a fine pena nelle carceri italiane delinquono nuovamente e vi ritornano. L’amnistia non è un atto di clemenza ma è un atto necessario per salvare lo Stato e la società. Non dal punto di vista morale, ma sul piano puramente tecnico-giuridico perché l’Italia è in una condizione non di illegalità occasionale ma strutturale e continuativa. È recidiva. 
Si tratta di difendere la democrazia…
Sì, ma rendiamoci conto che parliamo di un fatto antropologico aberrante, perché quando diciamo di voler difendere la democrazia in Italia significa in realtà che la devi creare.
Anche nel centrosinistra c’è chi sostiene che se lei fosse ministro di Giustizia non comincerebbe certo dall’amnistia. Lo farebbe? E visto che il Pdl glielo ha già proposto, perché non accetta il ruolo di Guardasigilli? 
Perché non posso fare il ministro con una maggioranza che non condivide il mio punto di vista sulla giustizia. E siccome nemmeno il centrosinistra lo condivide, se ne riparlerà quando sarà morta la partitocrazia. Cosa farei se fossi Guardasigilli? Comincerei a far parlare le televisioni di aministia, carcere e dei 5 milioni di processi civili e 4 milioni penali arretrati che attendono di essere eseguiti. Noi chiediamo l’amnistia più grande degli ultimi 60 anni quella che elimina una buona parte dei processi da smaltire. In modo che dal giorno dopo si possa ricominciare in piena legalità ad assicurare tre gradi di giudizio agli imputati. Un terzo della popolazione carceraria è in attesa di giudizio e le statistiche ci dicono che circa il 50% di questi, alla fine, saranno giudicati innocenti. Se fossi ministro non avrei dubbi: insieme all’amnistia depenalizzerei i reati introdotti dalle leggi criminogene che riempiono le carceri di tossicodipendenti (la Fini-Giovanardi) e di clandestini (la Bossi-Fini). Ma soprattutto andrei avanti, un millimentro al giorno, verso un sistema di giustizia alla Common Law britannico. Riattiverei le giurie popolari e non escluderei in futuro nemmeno l’elezione diretta dei giudici. Certo, tenendo presente tutte le differenze storiche e sociali, andrei però comunque avanti in quella direzione. 
Durante i suoi tanti digiuni intrapresi come forma di lotta nonviolenta spesso è stato confortato dalla vicinanza di intellettuali e di esponenti della società civile. E adesso, invece?
Oggi nessuno si muove perché il giustizialismo è bipartisan. Ma anche nel ’78, quando c’erano due milioni di processi arretrati e io parlavo di amnistia, Mario Pochetti, l’allora segretario del Pci, mi urlava contro con la bava alla bocca e Nilde Iotti cercava di placarci. Sull’aborto, il divorzio, il diritto di famiglia, la depenalizzazione del consumo di sostanze, c’è sempre stato qualcuno che se la faceva sotto e ci attaccava. È successo per tutte le nostre richieste folli sulle quali noi abbiamo avuto la forza, il coraggio e il gusto di dare voce a cose di cui altri si scandalizzavano. 
Altre 15 mila persone la seguono in questo sciopero della fame, ma 10 mila e più sono detenuti. Molti hanno però subito delle ritorsioni per questo. Come farete per tutelarli?
È successo ma non accadrà più. Abbiamo parlato con i sindacati degli agenti di custodia e con molti direttori, la cui categoria è assolutamente dalla nostra parte. In Toscana ci sono sette direttori di carceri in sciopero (non della fame) per le incredibili condizioni in cui sono costretti a lavorare nei loro penitenziari. 
Dove intende arrivare con questo sciopero della fame e della sete? Smetterà solo con l’amnistia o ha previsto anche un “piano B”?
Non c’è nessun piano B. Vedremo. Se riterremo acquisito un passo importante verso la soluzione di questo problema, allora potrò anche decidere di smettere. Per il momento posso solo registrare che abbiamo strappato un minuto e mezzo in televisione martedì sera, e oggi (ieri per chi legge, ndr) addirittura abbiamo smosso il Tg2 e, udite udite, il Tg1. Da tutti gli altri però, e perfino su internet, zero assoluto. 
Confida nel presidente Napolitano?
Da un presidente di storia comunista non posso pretendere la stessa sensibilità di chi ha una storia liberale e radicale. Però, come ho fatto con Ciampi e altri, io porto avanti il mio dovere di cittadino. E spero così di aiutare il Presidente della Repubblica a fare il suo.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password