Il tumulto che parla ancora al presente

Contro il G8, dalla piazza al tribunale. Un’operazione di polizia per neutralizzare preventivamente un movimento che metteva in discussione il modello neoliberista già  in crisi. Oppure, le prove generali di quella guerra permanente che da lì a pochi mesi avrà  la sua traduzione globale nell’attacco alle Torri Gemelle e il conseguente intervento militare in Afghanistan. Sono due delle letture date delle «giornale genovesi» di dieci anni fa, quando la contestazione all’incontro del G8 si concluse con l’uccisione di Carlo Giuliani, la mattanza messicana alla Diaz e la «notte cilena» a Bolzaneto.

Contro il G8, dalla piazza al tribunale. Un’operazione di polizia per neutralizzare preventivamente un movimento che metteva in discussione il modello neoliberista già  in crisi. Oppure, le prove generali di quella guerra permanente che da lì a pochi mesi avrà  la sua traduzione globale nell’attacco alle Torri Gemelle e il conseguente intervento militare in Afghanistan. Sono due delle letture date delle «giornale genovesi» di dieci anni fa, quando la contestazione all’incontro del G8 si concluse con l’uccisione di Carlo Giuliani, la mattanza messicana alla Diaz e la «notte cilena» a Bolzaneto.

A distanza di dieci anni, i «fatti di Genova» sembrano appartenere a un’altra epoca. Il mondo attuale è irriconoscibile, mentre sono emersi nuovi protagonisti politici e economici a livello globale: la Cina, l’India, il Brasile. Di sicuro è che dell’arcipelago di organizzazioni non governative, reti sociali, sindacati di base e non che veniva qualificato come «movimento dei movimenti» rimangono ben poche tracce. In alcuni continenti è sicuramente riuscito a condizionare profondamente la scena politica, come in America Latina; altrove ha continuato in quella molecolare e spesso ignorata propensione a «fare società» – in Africa -; o è stato travolto dagli effetti collaterali di un vero e proprio tsunani – l’Asia. O si è disperso nei tanti rivoli dove risultavano più evidenti gli elementi distruttivi del modo di produzione neoliberista, come è accaduto in Europa, Stati Uniti e in Italia.
Rimangono, invece, la memoria dolorosa dell’uccisione di Carlo Giuliani e le migliaia di pagine degli atti processuali, che costituiscono una sorta di sfondo a cui hanno attinto gli autori di due volumi recentemente pubblicati dalla stessa casa editrice, Feltrinelli.

La politica silente
Il primo è di Marco Imarisio, giornalista del Corriere della Sera che seguì le giornate del luglio 2001 e i processi che ne sono seguiti. Ha come titolo La ferita. Il sogno infranto dei no global italiani (pp. 190, euro 14). Il secondo contributo è di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci. Portavoce del Genoa social forum il primo, giornalista il secondo, a cui si deve Noi della Diaz, prima testimonianza della mattanza compiuta dalla polizia la notte del 21 luglio scuola, visto che in quella occasione Guadagnucci fu massacrato di botte, rischiando di perdere anche la vita. Sono libri che partono dalla convinzione che la storia non si fa nei tribunali. Una convinzione che relativizzano appena l’hanno declamata, visto che molto del materiale su cui hanno lavorato provengono appunto dai processi sui «fatti di Genova». Agnoletto e Guadagnucci dichiarano la loro tesi: la violazione dello stato di diritto compiuto dalle forze dell’ordine sia nelle strade che alla Diaz che a Bolzaneto è avvenuta con il silenzio e la complicità del sistema politico. Complicità che si è manifestata anche nei reiterati tentativi della polizia di Stato di mettere i bastoni tra le ruote ai magistrati che svolgevano le inchieste. Diversa è invece la tesi di Imarisio. Per il giornalista del «Corriere della Sera», a Genova è andata in scena la solita pièce italiana che vede un’incapacità della politica di essere permeabile alle richieste provenienti dalla società civile. E che vede quel silenzio della politica sovrastato delle ataviche rivalità e talvolta conflitti tra funzioni e istituzioni dello Stato.
La sospensione dello stato di diritto sperimentata a Genova ha però lasciato una ferita purulente nella vita pubblica italiana e che non riguarda la cancellazione dei movimenti sociali. Agnoletto e Guadagnucci sottovalutano, infatti, quello che accadde nell’agosto del 2001, quando si moltiplicarono incontri, assemblee per parlare di Genova, mentre i giornali, le tv e la Rete furono sommersi di materiali video che testimoniavano l’aggressione dei manifestanti da parte delle forze di polizia. Fu un tentativo di elaborazione collettiva del lutto che consentì al movimento di sfuggire al meccanismo «repressione, risposta violenta alla repressione, nuova repressione», evitando così la sua criminalizzazione. Ma fallì invece altri due obiettivi: la critica sulla trasformazione illiberale dello stato che quella sospensione della legge aveva provocato; l’impossibilità di sviluppare pratiche politiche che non fossero legate alla mera contestazione degli appuntamenti dei potenti della Terra. 
Quello che infatti ancora manca è una discussione sull’eredità lasciata dai «fatti di Genova» per quanto riguarda i movimenti sociali. Da questo punto di vista, Agnoletto e Guadagnucci volgono, con molte ragioni, lo sguardo fuori dai confini italiani, per segnalare che in altre latitudini il movimento ha invece avuto la capacità di modificare la realtà. Da questo punto di vista, le pagine in cui i due autori affermano che il movimento ha scavato bene anche in Africa, perché le primavere arabe sono ritenute le figlie di quel «movimento dei movimenti». Pagina che possono creare straniamento, ma che colgono le capacità dei movimenti di operare anche sulla lunga durata. Meno convincente è invece il discorso sulla capacità del movimento di prevedere la crisi economica degli ultimi anni.
Con realismo, si può affermare che il movimento aveva determinato, da Seattle fino a Genova, la messa in discussione del modello neoliberista, registrando la crisi della new economy come perdita della forza propulsiva del capitalismo globale. Le discussioni all’interno del «movimento dei movimenti» mettevano sì in evidenza che il neoliberismo scaricava la sua crisi su paesi politicamente «deboli», ma quella attuale è però una crisi ben più radicale, perché il circolo virtuoso, per il capitale, tra deregolamentazione, finanza e precarietà si è rivelato un incubo. Il movimento dei movimenti, allora, costrinse semmai il capitalismo ad assecondare l’ascesa di Cina, India, Brasile per poter scongiurare il suo bailout.

La difficile eredità
Chi si pone, invece, un discorso sull’eredità del movimento è Marco Imarisio, all’interno però di una griglia analitica che assegna ai movimenti di appendici della politica. Imarisio dedica pagine di empatia verso le generosità degli attivisti quando prospettano forme di vita alternative a quelle dominanti. Ma non lesina sarcasmo e diffidenza verso i militanti di lungo corso (Piero Bernocchi) e chi, i Disobbedienti, vede nel movimento una forma specifica di azione politica che non può essere rappresentata da nessuna, neppure quel Fausto Bertinotti che con lungimiranza aveva stabilito un rapporto tra il suo partito e il movimento. Polemiche del secolo scorso. Il giornalista del «Corriere della Sera», tuttavia, offre una mappa dei rivoli in cui si è disperso il «movimento dei movimenti» – i noTav, i noDalMolin, l’ecologismo sociale, i comitati antirifiuti, gli studenti dell’Onda, la MayDay -, ma per invitarli ad accettare il ruolo di variabili dipendenti della politica, puntando però a far crescere il consenso sulle loro tematiche. Ma questo il «movimento dei movimenti» lo aveva fatto. Anzi i movimenti sociali lo fanno sempre. Il nodo è di non essere relegati nell’angusto ruolo di opinione pubblica. Cioè di diventare forma della politica autonoma dalle forme codificate, cioè statali della politica. È questa la sfida da raccogliere dieci anni dopo Genova. Individuando però le discontinuità intervenute. La crisi economica, la precarietà diventato norma dominante, le istituzioni rappresentative ridotte a simulacro della democrazia. Su questo misurare la capacità di ritrovare il bandolo della matassa.

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