Gli autonomi che votano Pisapia

I dati sulla composizione dell’elettorato che ha permesso a Giuliano Pisapia di diventare sindaco di Milano hanno portato una sorpresa: il lavoro autonomo ha voltato le spalle alla destra. Stando ai primissimi sondaggi l’elettorato più giovane e con una laurea in tasca, inserito nel tessuto produttivo della città  come partita Iva o come collaboratore, ha votato Pisapia.

I dati sulla composizione dell’elettorato che ha permesso a Giuliano Pisapia di diventare sindaco di Milano hanno portato una sorpresa: il lavoro autonomo ha voltato le spalle alla destra. Stando ai primissimi sondaggi l’elettorato più giovane e con una laurea in tasca, inserito nel tessuto produttivo della città  come partita Iva o come collaboratore, ha votato Pisapia. Una novità inimmaginabile sino a qualche mese fa che segnala una netta inversione di tendenza. Da «liberista», cultore della vecchia ideologia del «professionalismo» e del mito dell’«imprenditore di se stesso», il lavoro indipendente reagisce al declassamento e alla deprofessionalizzazione. Potrei incassare questa vittoria e prendermi una soddisfazione su quanti, e sono la maggioranza, in questi anni hanno accolto i miei interventi con scetticismo e su quanti, per fortuna pochi, mi hanno considerato un traditore passato al pensiero della Destra. Ma purtroppo non è così, il dato grezzo sul lavoro autonomo non vale niente, bisogna guardarci dentro.
Si è detto che la maggioranza di quegli autonomi è fatta di professionisti, di lavoratori della conoscenza. E questo va bene. Ma il fatto che abbiano votato Pisapia potrebbe voler dire semplicemente che erano stati tagliati fuori da commesse e consulenze. Il mondo delle professioni che in questi ultimi 30 anni è gravitato a sinistra – e l’ambiente accademico con esso collegato – ha mostrato molto maggiore interesse per il pubblico in quanto fonte di commesse che in quanto soggetto di buongoverno. Le associazioni professionali hanno congelato con il loro particolarismo delle energie che avrebbero potuto invece essere messe al servizio del bene pubblico e sono state quindi elemento di conservazione. Il degrado di Milano è stato bipartisan. Perciò da oggi sarà necessario difendere la vittoria di Pisapia e far sì che l’aria nuova che si respira in città e nella società civile, anche o soprattutto nelle nuove professioni, non s’inquini di vecchie atmosfere. Per evitare questo rischio, i giovani e giovanissimi, che non ne possono più di una condizione del lavoro che umilia le loro competenze, che rifiutano la volgarità dei media e della disinformazione prodotta dalla stampa e non vogliono più essere trattati da imbecilli, dovranno imporsi politicamente e farsi rispettare. Sono quasi tutti “nativi digitali”, cioè hanno praticato l’esodo dallo spazio pubblico come lo intendiamo noi e nel quale ancora ci attardiamo. È ormai evidente che loro non sono l’anti-politica, come pensano le mummie della sinistra, ma sono il post-politica. E quindi vogliono un cambiamento radicale, non un passaggio di consegne. Vogliono una democrazia sostanziale, non una democrazia delegata. Non credono che la liberazione da Berlusconi debba essere affare dei magistrati, ma opera della loro iniziativa. Qui a Milano hanno svolto un ruolo innovatore e di mobilitazione le fabbriche di Nichi. Qui l’aria nuova è venuta dal lavoro autonomo di seconda generazione, dalla visione che pian piano Acta comincia a far penetrare nella mentalità dei professionisti e che ha cercato di far capire a Pisapia in un incontro diretto prima delle elezioni. In cosa consiste questa visione? Nel fatto di considerarsi prima di tutto cittadini e poi professionisti, di essere disponibili con l’Amministrazione a progettare insieme il bene pubblico, senza farsi avanti per arraffare qualche commessa.
Infine l’aria nuova è venuta da molti artigiani e microimprese che rischiano il fallimento per i mancati pagamenti oppure sono strangolate dalle banche. L’aria nuova è venuta da chi comincia a non poterne più di questo sistema capitalistico ma parla un linguaggio molto diverso da quello del vecchio comunista. È questo giovane ceto medio colpito dalla crisi più duramente, privo di ammortizzatori sociali, il protagonista della svolta iniziata a Milano. Lo tenga ben presente Pisapia.

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