L’icona dei sessantottini
Umiliato al voto precongressuale del partito: 26% contro il 50,3% della rivale
L’icona dei sessantottini
Umiliato al voto precongressuale del partito: 26% contro il 50,3% della rivale
Non c’è più rispetto per i reduci del Sessantotto. Almeno in Francia. «Schtroumpf grognon», puffo brontolone: così Daniel Cohn-Bendit, 66 anni, è stato liquidato da Cécile Duflot, la segretaria dei Verdi francesi, che l’ha appena umiliato nelle votazioni precongressuali del partito: 50,3% per la mozione della segretaria uscente (e subito rientrante), 26,6 per quella del leader del Maggio. L’ex «Dany il rosso» non l’ha presa bene, facendo subito sapere al mondo, con il tipico egocentrismo dei sessantottini, che non sarebbe andato al congresso del partito, in programma nel fine settimana a La Rochelle: «Ho altre cose da fare. Non capisco perché dovrei sacrificare il mio week-end». Insomma, non mi votate? E io non gioco più.
Come tutte le sinistre, anche i Verdi francesi passano molto più tempo a litigare fra loro che con gli avversari. Le faide interne sono sanguinose e complicate da rivalità personali. Il partito si chiama in realtà Europe Ecologie-Les Verts, riassunto in EE-LV (i francesi adorano le sigle) e ha due candidati alla segreteria e due – per ora – alle presidenziali: non gli stessi, però. I due presidenziabili, che si giocheranno la candidatura alle primarie, sono Eva Joly e Nicolas Hulot, rispettivamente una ex magistrata d’assalto e un ex conduttore di una popolare trasmissione sulla natura: come dire che all’assalto dell’Eliseo andranno Licia Colò o Luigi De Magistris.
Intanto il partito è lacerato fra due anime, in disaccordo praticamente su tutto. Cohn-Bendit, che invecchiando si è moderato, ha scoperto le virtù del mercato e appoggiato perfino qualche intervento militare griffato Nato, perfino l’ultimo di Sarkozy in Libia, vuole un EE-LV sburocratizzato e senza tessere, dove la struttura degli iscritti sia doppiata da una «cooperativa» aperta alla società civile. Duflot è invece l’espressione dei Verdi-verdi, i militanti di lunga data, che peraltro sono 12 mila contro duemila cooperatori. Divisi sull’organizzazione, CohnBendit e Duflot lo sono anche sulla strategia per le presidenziali del prossimo anno. Duflot vuole un candidato di bandiera, Dany invece pensava di rinunciare e appoggiare fin dal primo turno Dominique Strauss-Kahn, in cambio di un buon accordo per le legislative. Poi, con quel che è successo al Sofitel di New York, ha dovuto ammettere che «il treno Dsk ha deragliato» e si è trovato senza una strategia di ricambio, ennesima vittima dei danni collaterali dell’«affaire».
Anche la battaglia precongressuale non è stata il trionfo dell’eleganza. La segretaria ha scoperto che CohnBendit era in ritardo con il pagamento della tessera e l’ha fatto sapere alla stampa. Lui ha ribattuto di aspettare ancora il rimborso spese per le europee, più o meno equivalente, quindi che una mano lavava l’altra. «E allora ci faccia vedere le ricevute!», ha controribattuto un collaboratore di Duflot. Nuova rissa per la votazione sulle mozioni. Il partito ha deciso che non ci si poteva esprimere né per posta né su Internet e ha aperto i seggi solo in una ventina di grandi città. Risultato: appena il 46% degli iscritti è andato a votare, e quei pochi si sono lamentati: «Ho dovuto fare tre ore di viaggio all’andata e tre al ritorno. Non sfruttiamo la modernità», ha sbottato José Bové, il contadino antimondialista che sostiene Cohn-Bendit.
Così, quanto a voti, i verdi hanno lasciato Dany al verde. Lui assicura «di non essere di cattivo umore», ma di essersi stufato, sì: «Vogliono il Dany che gode di una certa aura nell’opinione pubblica ma, dentro il movimento, vorrebbero che segua il loro tran-tran andando sempre nella loro direzione». Probabilmente dietro il tramonto dell’ex carismatico trascinatore di studentic’è il fatto che, dopo quasi mezzo secolo, le epiche gesta alla Sorbona sono ormai sbiadite, una nota a piè di pagina nel manuale di Storia del Novecento.
Duflot è nata nel ‘75 e non ha nostalgie per il Maggio radioso e remoto. Lui, il vecchio giovane, è consapevole di avere un grande futuro dietro le spalle. Una volta gli scappò pure detto: «Il vertice della mia carriera è il suo inizio. Non ho quindi bisogno di fare progetti, non andrà mai più così bene». Un programma perfetto: ma per un pensionato, non per un politico.
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