C’erano una volta i comunisti a Milano

La mostra “Avanti popolo” alla Triennale Bovisa : settant’anni di politica, sogni e scontri targati Pci.  Fra teche e totem multimediali spiccano gli autografi dei “Quaderni del carcere” di Gramsci In vetrina anche la targa smurata della storica federazione di cui facevano capo Vittorini, Albe Steiner, Treccani 

La mostra “Avanti popolo” alla Triennale Bovisa : settant’anni di politica, sogni e scontri targati Pci.  Fra teche e totem multimediali spiccano gli autografi dei “Quaderni del carcere” di Gramsci In vetrina anche la targa smurata della storica federazione di cui facevano capo Vittorini, Albe Steiner, Treccani 

È una storia del secolo scorso che ha attraversato le cronache politiche dell´Italia liberale, del ventennio fascista, della Resistenza, fino alla Costituzione e alla Repubblica. È la storia del Partito comunista italiano, nato il 21 gennaio 1921 a Livorno, che avrebbe oggi novant´anni se in una fredda giornata di febbraio del 1991 a Rimini il suo ultimo segretario, Achille Occhetto, non avesse deciso fra le lacrime di intraprendere una trasformazione ancora in corso. Quella storia racconta Avanti popolo , la mostra che apre oggi alla Triennale Bovisa dopo le tappe di Roma, Livorno e Genova e prima di quelle in programma a Bologna e Torino. In un allestimento che, ai materiali tratti dagli archivi delle fondazioni Gramsci e Cespe, affianca, nel racconto di Milano e della Lombardia, quelli della Fondazione Quercioli e dell´Isec di Sesto San Giovanni.
Da dove spunta, darwinianamente, anche la foto del primo comunista milanese, Bruno Fortichiari, proveniente dalle fila socialiste e destinato, come tanti altri dopo di lui, all´espulsione dal partito dove tornerà solo all´indomani della Liberazione. Una vicenda politica che richiama alla mente quella di una milanese di adozione come Rossana Rossanda, radiata con il gruppo del Manifesto nel novembre del 1969, che nel suo La ragazza del secolo scorso, ricordando la fine del partito al quale aveva dedicato la propria giovinezza, annota amaramente: «È come se fosse sprofondato il continente dei comunisti che non andarono mai al governo, che fino a tardi ebbero poche e vaghe idee del primo stato socialista, che con tessera o senza hanno sempre perduto e furono determinanti della fisionomia del Novecento». Una “damnatio memoriae” annunciata con caustica ironia anche da Altan nello scambio di battute tra gli operai di carta Lamprazzi e Cipputi: «Secondo loro il partito deve cambiare nome e prepensionarsi – Così non ci pagano i contributi».
I contributi resteranno largamente inevasi, ma resta l´imponente documentazione di settant´anni di vita di partito indissolubilmente collegati con storia d´Italia lungo un percorso cronologico, suddiviso in sei sezioni, ciascuna organizzata su parole chiave. Fra teche e totem multimediali spiccano gli originali autografi dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci e documenti fra i più importanti della storia del Pci, dal manoscritto sulla questione meridionale dello stesso Gramsci ad autografi di Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer e verbali delle riunioni dei vertici del partito. E poi i filmati, quelli di propaganda realizzati dalla Sezione stampa ma anche quelli di avversari come i Comitati civici, o i cinegiornali della Settimana Incom, alcuni programmi Rai e le foto: delle piazze, dei vertici nella vecchia Urss, dei comizi e dei personaggi che hanno segnato la storia del comunismo in Italia.
Nella cascina ristrutturata della Bovisa che ospita ora la seconda sede della Triennale, fra i segni di una Milano industriale in ristrutturazione si ritrova anche la targa smurata da via Volturno 33, la storica sede della Federazione Provinciale di Milano e del Comitato regionale lombardo. Quella cui facevano capo intellettuali come Elio Vittorini, Albe e Lica Steiner, Piero Bottoni, Ernesto Treccani, per citarne solo alcuni. Ma anche, e soprattutto, il popolo delle sezioni. Come la “Antonio Gramsci”, che nel 1949 contava 632 iscritti di cui ci si offre anche lo spaccato sociologico: 73% operai, 15% intellettuali, 14% impiegati, 13% pensionati e poi artigiani, studenti e casalinghe. Un collettivo capace di diffondere 12.014 copie dell´Unità (ma solo 141 di Rinascita), e di assicurare allora il 25% dei voti preparando il balzo al 33% del 1975. Malgrado Enrico Berlinguer ammonisse «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e clientela» . E anche il Pci, naturalmente, lo era, pur coltivando la sua “diversità” nei passaggi più bruschi come quello portò Armando Cossutta alla segreteria milanese dopo la rigida direzione di Giuseppe Alberganti. Un percorso, quello del dibattito interno del Pci, di cui la mostra può dare solo cenni o immagini (riservando a una serie di incontri l´approfondimento critico), come quella dell´ultimo segretario milanese Barbara Pollastrini e slogan che suonano ancora familiari: «Noi proponiamo un governo di collaborazione. Cosa propone la Dc?». Erano gli anni del compromesso storico, quando però si scriveva anche: «Occupiamoci del futuro. E là che dovremo passare la nostra vita».
Avanti Popolo. Il Pci nella storia d´Italia – Triennale Bovisa, via Lambruschini 31, 16 giugno-10 luglio 2011 da martedì a domenica 11.00-21.00, giovedì fino alle 23. Ingresso libero

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