Autoritarismo e spazi di liberazione

Non è poi così difficile sapere che forme ha – sottili e violente – l’autoritarismo; è molto più difficile sconfiggere la sua cultura, però è ancora più difficile sapere dove sta la libertà  quando l’autoritarismo sarà  stato sconfitto. Non sono sicuro, infatti, che aver battuto l’autoritarismo significhi di per se aver in mano la libertà , o meglio tutte le libertà . Mi pare che prima si debba pensare molto, che molte cose siano da preparare, molte da modificare, consapevolezze da (ri)conquistare, linguaggi da rinnovare, strutture, metodi, processi da (re)inventare, distanze da prendere e vicinanze da sopportare.

Non è poi così difficile sapere che forme ha – sottili e violente – l’autoritarismo; è molto più difficile sconfiggere la sua cultura, però è ancora più difficile sapere dove sta la libertà  quando l’autoritarismo sarà  stato sconfitto. Non sono sicuro, infatti, che aver battuto l’autoritarismo significhi di per se aver in mano la libertà , o meglio tutte le libertà . Mi pare che prima si debba pensare molto, che molte cose siano da preparare, molte da modificare, consapevolezze da (ri)conquistare, linguaggi da rinnovare, strutture, metodi, processi da (re)inventare, distanze da prendere e vicinanze da sopportare.
Credo che siamo a questo punto: a cercare spazi di liberazione, muovendoci in quegli ambiti stretti, quasi rarefatti, e perché no, ambigui, lasciati liberi da chi i suoi giochi li ha fatti, tutti con determinazione, con metodo e, soprattutto, con decisioni che lasciano ben poco alla solidarietà, alla dignità, al sogno. Mi vengono in mente, tra i tanti ultimi, gli immigrati, i barboni: questi Signori del tempo e dello spazio che, costretti a rovistare tra le immondizie, alla fine cercano, secondo me, innanzitutto quei valori di umanità che la nostra, sempre più intollerabile, società organizzata ha dimenticato, ma forse non ha neanche considerato. La verità è che essa non ha trovato il luogo dove inserirli all’interno dei suoi meccanismi asfittici ed ineluttabili di consumo, tra l’altro, anche della stessa esistenza degli uomini: questi ultimi appaiono ora sempre più incapaci di neutralizzare la soffocante presunzione tecnologica e, dunque, di sottrarsi con la rivendicazione e la pratica della libertà alle leggi dei cosiddetti sistemi avanzati.
E, invece, libertà e dignità possono essere difese proprio rivisitando e rivalutando, prima di tutti con noi stessi, quelle zone della cultura della modernità divenute marginali, cioè a dire quei comportamenti e quelle concezioni esistenziali sinceramente vicine alle ragioni dell’uomo. E non è un caso che tali concezioni risultino particolarmente invise alla tracotante, superficiale, banale cultura del centro, degli affari, del consumo, dell’oscurantismo, delle troppe convenzioni sociali insopportabili. Esse risultano quotidianamente squalificate, se non addirittura rifiutate con aggressività, tanto grande è il timore che quelle zone, le culture dei margini, possano nascondere energie in grado di mettere in pericolo assetti opprimenti di potere e la loro insolente sicumera. Sono convinto che quelle zone di riscatto siano molto più ampie di quanto ora appaia e, comunque, valga la pena di andarle a (ri)scoprire per riprendere il cammino verso l’utopia concreta e, così, stare almeno in pace con la nostra coscienza.
* Ordinario di Diritto penale all’Università Federico II di Napoli

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