In vista dei funerali il governo russo ha aumentato i controlli sui gruppi dissidenti. Yelena Bonner aveva 88 anni, 22 anni fa la morte del Nobel con cui divideva l'impegno  ">

Addio alla vedova di Sakharov una vita in lotta per la libertà 

Dall’Urss a Putin contro il Cremlino, che ora la teme anche da morta. In vista dei funerali il governo russo ha aumentato i controlli sui gruppi dissidenti. Yelena Bonner aveva 88 anni, 22 anni fa la morte del Nobel con cui divideva l’impegno 

Dall’Urss a Putin contro il Cremlino, che ora la teme anche da morta. In vista dei funerali il governo russo ha aumentato i controlli sui gruppi dissidenti. Yelena Bonner aveva 88 anni, 22 anni fa la morte del Nobel con cui divideva l’impegno 

MOSCA – Non ci saranno soldati armati nascosti nel bosco del cimitero di Vostriatkovskoje come quella sera di ventidue anni fa in una Mosca ancora sovietica che dava l´ultimo saluto al dissidente Premio Nobel per la Pace Andrej Sakharov. Ma l´ordine di stretta sorveglianza è già stato diffuso. I prossimi funerali di Yelena Bonner, vedova e compagna di lotta di Sakharov, e icona della sparuta e perseguitata opposizione russa, preoccupano non poco gli uomini della polizia politica.

Yelena Bonner, 88 anni, morta sabato pomeriggio in un ospedale di Boston, doveva conoscere bene il potenziale immenso della sua immagine se pochi mesi fa aveva scritto in un messaggio ai manifestanti contro il governo Putin: «Non sono più in grado di muovermi. Ma fate conto che sia tornata, ancora una volta per difendere il mio Paese». Era brava, la vedova Sakharov, a toccare le corde giuste. «Molto più brava dello stesso Sakharov – racconta adesso la coetanea Ljudmila Alekseeva che continua a Mosca la sua attività di opposizione – Il marito era il simbolo, l´uomo conosciuto in tutto il mondo, che metteva in soggezione lo stesso Gorbaciov. Ma ai pensieri lucidi di Andrej, lei riusciva a mettere l´anima». E proprio di questo devono aver paura i funzionari addetti alla “lotta all´estremismo” che da ieri tengono d´occhio i leader del Movimento Solidarnost di Boris Nemtsov, i comunisti di Limonov e perfino quegli Automobilisti Organizzati che in altre parti del mondo sarebbero considerati una nota di colore ma che qui attaccano ogni giorno il volto più autoritario del governo. Il governo non si fida neanche da morta di una donna che sfidò il terrore staliniano, contestò pure il Gorbaciov della perestrojka, ruppe con Eltsin per i massacri in Cecenia e che fino a poco tempo fa firmava documenti intitolati «Putin devi andartene».
Il carisma da dissidente, Yelena Bonner, cominciò a costruirselo sin da neonata nel reparto di maternità dell´ospedale di Merv nella repubblica socialista sovietica del Turkmenistan nel febbraio del 1923. La mamma, sposata a un pezzo grosso del Comintern, dovette fuggire subito dopo il parto temendo un attacco dei gruppi islamici ostili ai comunisti. Ma essere comunisti era, in quei tempi, un´arma a doppio taglio. Nelle famose purghe del 1937 il padre fu accusato di un non meglio precisato «complotto contro lo Stato» e fucilato. La madre invece condannata a 13 anni di lavoro forzato. Fu allora che Yelena fece la scelta più coraggiosa e ribelle assumendo il cognome da ebrea della madre in un periodo in cui le cose cominciavano a mettersi male anche per gli ebrei sovietici. È l´inizio di una contestazione continua che la danneggerà nel suo lavoro da pediatra, che addirittura farà fallire il suo primo matrimonio con un uomo che non reggeva le continue visite degli agenti del Kgb, le minacce e le emarginazioni riservate ai dissidenti. Poi l´incontro decisivo con Andrej Sakharov, il fisico nucleare tra i creatori della bomba all´idrogeno sovietico. Uno scienziato autorevole deciso però a contrastare il regime e i suoi piani bellici. La loro casa nel centro di Mosca diventò la sede di riunioni notturne e rifugio di perseguitati. Fino all´arresto, nemmeno formalmente motivato, di Sakharov e il suo confino nella città chiusa di Gorkij. Poi la riabilitazione da parte di Gorbaciov, l´elezione a deputato, i contrasti sempre più duri con Eltsin, poi con Putin. La vedova di Sakharov, ufficialmente rispettata e intoccabile, riceveva lettere minatorie, controlli della polizia. Come ai tempi dell´Urss ma in un clima più ambiguo e davanti a un Occidente molto più distratto. Questo le fece decidere l´esilio volontario negli Stati Uniti pur mantenendo i contatti con i compagni di lotta di un tempo. Adesso a Sakharov è intitolato un grande viale di Mosca ma della sua figura si sa sempre meno. Molti giovani non lo conoscono nemmeno. In un sondaggio, equivocando sul significato russo del nome, qualcuno ha detto che «potrebbe essere un grande produttore di zucchero». E nella sottile campagna di discredito mai interrotta si fa largo la voce che il fisico fosse una vittima della moglie “pasionaria” e ribelle. «Tutte balle – taglia corto l´ottantenne Sergej Kovaliov che negli anni Settanta a casa Sakharov scriveva i samizdat, i bollettini clandestini dell´opposizione – erano una coppia perfetta. La loro è una storia di passione civile senza pari ma anche una meravigliosa storia d´amore».

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