Sono in trappola, mi hanno venduto

  Il 10 luglio 1944 è un lunedì. Ho appuntamento con dodici persone in dodici punti diversi di Parigi: stazioni della metropolitana, bar, angoli di strada, isolati, a seconda della tattica di ciascuno. Per quanto mi riguarda, visto che tutto sommato sono un nuovo arrivato dal momento che ho lasciato Londra solo in marzo, accetto la tattica degli altri senza fiatare: machiavellico con i machiavelli, audace con gli imprudenti. Me lo rimprovero.

  Il 10 luglio 1944 è un lunedì. Ho appuntamento con dodici persone in dodici punti diversi di Parigi: stazioni della metropolitana, bar, angoli di strada, isolati, a seconda della tattica di ciascuno. Per quanto mi riguarda, visto che tutto sommato sono un nuovo arrivato dal momento che ho lasciato Londra solo in marzo, accetto la tattica degli altri senza fiatare: machiavellico con i machiavelli, audace con gli imprudenti. Me lo rimprovero. Bisogna pur rimproverarsi qualcosa. Il decimo dei dodici appuntamenti è all’angolo fra boulevard Raspail e boulevard Édouard-Quinet. Lui è seduto a un tavolino. Vedendomi si alza, e un altro che non conosco imita il suo gesto, poi tutti e due entrano nella sala in fondo. Li seguo. «Greco, aiutami, ero nelle loro mani, è stato orribile, non ce la farei una seconda volta, la vasca da bagno… terribile. Sono riuscito a seminarli alla Gare de Lyon. Non ho più documenti, neanche un soldo, neanche una camicia. Questo è un mio vecchio amico, un compagno di prima della guerra che mi ha soccorso…» . È un ometto rotondo, con gli occhi ridenti: perché? Lo guardo, e non mi piace per niente, e neanche quello che parla mi piace, è eccessivo, impulsivo, tutte cose temibili in questa forma particolare di esistenza. Parlo. Bisogna pur parlare, ragionare, spiegare e dire: ecco che cosa farete. Luce bianca nella memoria, ma è solo un attimo di blackout. Sento la canna di una pistola contro le costole; vedo il ragazzo agitato, teso, tremante; lo sento sbraitare: mani in alto, muoviti. Il cambio di fase avviene senza strappi: si scivola da un piano all’altro, sono nelle loro mani. È semplicissimo: mi hanno venduto. Semplicissimo (…). Automobile della Gestapo che corre attraverso Parigi. Manette, odore di paura. La nostra paura e la loro, che si esprimono quasi nello stesso modo, con un atteggiamento brusco, il rifiuto di comunicare. Avenue Foch. A poco a poco l’irrimediabile si fa strada, ogni possibile via d’uscita si trasforma in un sogno, una chimera; crescita vertiginosa del prezzo delle cose semplici: strada, movimento, metropolitana. Sono in trappola. Ciò nonostante, l’espressione «mettersi l’animo in pace» è ancora priva di significato. Un solo concetto è ben chiaro: non può essere vero. Il corpo fa la propria parte, la mente la sua. Nausea nella zona del plesso solare, sudore alle tempie, turbinio assurdo degli eventi. Ad esempio, questo portone e questa scala di marmo appartengono a un mondo minaccioso, strano, ma per nulla «interessante» . Poi il corpo ritrova il suo equilibrio, respira in modo diverso, cerca il ritmo che impedirà alle gambe di cedere, che libererà la zona del cervello. Il corpo si adatta, la mente rimane stupita, incredula; la sua flessibilità è decisamente inferiore. Questo grasso signore dai capelli radi e il profilo da intellettuale indolente, che conduce l’interrogatorio, crede davvero al «fatto» ? Quale fatto? «Andiamo, è inutile negarlo, sappiamo che lei è Greco» . Il «fatto» è questo rapporto umano che richiede una risposta affermativa. Io sono Greco. Cosa gliene importa, a questo signore grasso? Potremmo parlare d’altro, di letteratura o di filosofia, per esempio. Potremmo stabilire rapporti di simpatia o antipatia, d’interesse, di noia. Del resto, indipendentemente da ciò che faremo, un rapporto si creerà comunque. Ma il «fatto» è che lui appartiene alla Gestapo e io alla Resistenza. Lui è a disagio tanto quanto me. La conversazione si snoda lungo binari così scontati! «Confessi» . «Ma io non ho niente da confessare» . «Non sia stupido» . «Non so di cosa stia parlando» . «Lei non è Greco? Ma per favore» ! «Greco? Ma cosa sta dicendo» ? E sotto sotto, avviene qualcosa di molto curioso. La «situazione» si definisce. Le frasi, gli atteggiamenti che si accumulano danno sempre più corpo all’ipotesi: sono in arresto, mi interrogano, per me è finita. Non posso continuare a negare il mio assenso. Al tempo stesso, il compito attuale di questa macchina semplicissima che io «sono» diventa chiaro: salvare il salvabile. Capito? Ma sorge subito un problema. Il salvabile. Bisogna solo riflettere e agire di conseguenza. Questo strano brivido, parente prossimo della voluttà, lo riconosco: è felicità. È troppo buffo. I ragionamenti seguono a ruota: si muore una volta sola, perché non adesso anziché fra trent’anni? Rimane una bella partita da giocare. Non ho alternative (…). Ho conquistato un punto morale parlando in tedesco con coloro che m’interrogano. Ho conquistato trenta ore fingendomi agente di collegamento. Sono riuscito a tirare dalla mia parte il grasso intellettuale indolente contro il piccolo maresciallo brutale. Litigano davanti a me. «Le dico che questo non è Greco. Il ragazzo non mente» . «Ma sì, è Greco. Tutti i suoi compagni lo hanno identificato» . Non riescono ad abituarsi all’idea che io capisca tutto ciò che dicono. A volte se lo ricordano e mi lanciano un’occhiata furiosa.

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