Modelli neoliberali per il volto totalitario dello Stato-nazione

Gli Stati Uniti sono un «totalitarismo rovesciato ». Esordisce così il libro del filosofo politico Sheldon Wolin Democrazia Spa. Stati Uniti: una vocazione totalitaria (Fazi editore, pp. 491, euro 24).

Gli Stati Uniti sono un «totalitarismo rovesciato ». Esordisce così il libro del filosofo politico Sheldon Wolin Democrazia Spa. Stati Uniti: una vocazione totalitaria (Fazi editore, pp. 491, euro 24).

Per l’autore, infatti, la democrazia liberale è una forma elitaria ed oligarchica di un governo iper-capitalistico della società, mentre la difesa dei diritti umani è solo una variabile dipendente degli interessi strategici ed economici di Washington. Così riassunto questo libro sembrerebbe una versione «filosofica» dei film di Michael Moore o dei pamphlet di Noam Chomsky.

In realtà, la tesi della democrazia totalitaria nasce dall’idea che la storia costituzionale americana è figlia di una controrivoluzione contro il potere dei colonizzatori inglesi,ma anche contro le tendenze democratiche e populistiche che sono tornate a farsi sentire durante il New Deal.Oggi, come non mai, questo sistema elettorale e politico esclude che il popolo abbia la competenza per comandare e il potere di curare i propri interessi. È su questa base che il sistema americano ha maturato le sue inclinazioni anti-democratiche.

Wolin si sofferma inoltre sui meccanismi accademici, culturali e sociali di formazione dell’élite intellettuali, conservatrici e democratiche, storicamente schierate contro la democrazia, impegnati nell’instancabile lavoro di giustificare l’esistenza di una «democrazia asimmetrica» e di creare il consenso ad un programma violentemente anti-popolare. Il totalitarismo non è dunque l’opposto,ma il rovescio della democrazia.

Rispetto a questo pensiero tremendo che perseguita da sempre la storia della democrazia, Wolin trascura il fatto che tutti i totalitarismi hanno spesso avuto un consenso popolare. E che anche ilmodello neo-liberale, attraverso il quale si esprime il «totalitarismo rovesciato », nell’ultimo trentennio ha avuto un diffuso consenso. Il problema è radicale e deriva dalla costruzione di un’egemonia che risale alla metà degli anni Sessanta, quando – Kennedy era stato appena ucciso – il liberalismo timidamente socialdemocratico perse l’ultima occasione di trasformare il patto con il capitalismo in senso redistributivo.

La sinistra è stata tramortita dalla «rivoluzione manageriale » avviata da Ronald Reagan e che oggi ha saldato il neo-conservatorismo con il capitalismo. Non si spiega altrimenti l’esistenza di una base sociale favorevole ai «Tea party» o alla trinità pseudo-religiosa Dio-Patria-Famiglia delministro italiano dell’economia Giulio Tremonti. Negli Usa, come in Italia, il vangelo che predica la negazione della giustizia sociale viene recitato nelle università dove la formazione professionale delle élite è stata affidata alle supercompetitive e meritocratiche scuole postlauream.

La creazione dell’egemonia neo-conservatrice prosegue schierando il fiore rancido di questa intellighenzia contro i Sixties e lo Stato sociale che restano i capri espiatori di chi vuole cancellare la formazione politica delle masse e l’emancipazione degli individui. E poi si passa alle retorica delle «riforme».

Ovunque fare politica significa «fare riforme» come il taglio del welfare (sanità, previdenza sociale) o il patto consociativo tra le élite esistenti. Egemonia «neo-con» significa dunque deregolamentare la democrazia, indebolire gli elettori meno abbienti, spoliticizzarli, rafforzare il rapporto tra le élite e lo Stato.Quella in corso è anche una rivoluzione elitaria che restringe l’accesso alle risorse ai pochi e ai meritevoli, alimenta una guerra civile delle élite contro il popolo e fa la gioia del capitalismo finanziario perché lo Stato paga i debiti delle banche e non fa politiche di sviluppo. Contro questa rivoluzione si sta infrangendo il sogno obamiano e non è escluso che, approfittando della crisi, le destre europee mettano a segno il colpo definitivo. Il potere di un’egemonia culturale risiede nella sua indiscutibilità e nell’apparente mancanza di un linguaggio alternativo. Anche chi si ostina a dimostrare che il mondo è ancora in ostaggio dell’«egemonia della sinistra» sta celebrando il baccanale del dispotismo.

Bisognerebbe al contrario evitare che la democrazia si chiuda nel suo incubo totalitario, aprire i suoi margini esterni e i suoi interstizi interni, liberando le energie «demotiche» che permettono al demos di governare la propria vita, rifiutando che qualcuno che lo faccia al suo posto. Per farlo non occorre un vasto programma. Basta smettere di desiderare ciò che desiderano le élite.

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