Mai più paura: uno slogan per libertà  e democrazia

 «Plus jamais peur» di Mourad Ben Cheikh

 

 «Plus jamais peur» di Mourad Ben Cheikh

 

CANNES – Tra i 15 documentari presentati nelle sezioni ufficiali del festival Mai più paura, del giovane tunisino Mourad Ben Cheikh, meritava un’esposizione più coraggiosa da parte di Fremaux e una attenzione della stampa interazionale più appassionata. Soprattutto dopo le preoccupanti dichiarazioni del ministro degli interni tunisino, il magistrato Farhat Rajhi, sulle voci di un colpo di stato nel caso di un successo del partito islamista alle elezioni del 24 luglio prossimo. Che i tanti giovani critici qui presenti abbiano meno spina dorsale dei loro colleghi scomparsi o in pensione? Eppure i teenager e i rapper e i facebooker e i gay che in questi giorni in Spagna insorgono contro la disoccupazione e le caste feudali d’Europa non sono i primi seguaci naturali e i fratelli di sangue (anche se più lenti e meno coraggiosi) dell’occidente arabo che ha imposto il suo potere costituente? 
Non ci insegnano i loro coetanei maghrebini, di impeto e saggezza politica roosveltiani, come si può difende la dignità dei cittadini e imporre la giustizia e l’eguaglianza sociale perfino a un potere autoritario e poliziesco che ha trasformato metà del paese in spie, adottato il «metodo Diaz» tutti i giorni, 24 ore su 24, e ha saputo sciogliere l’associazione magistrati nel 2004 senza bisogno di strepitare tanto e invano come da noi? E che si può vincere contagiando e entusiasmante l’intera società civile, primi tra tutti i minatori di Gafsa o l’incredula sinistra narcotizzata da ortodossia demodé, e confondendo riflessi e sistema nervoso dell’integralismo anti-consumista e sessuofobo rappresentato dal partito Ennadha, usato strumentalmente in questi 20 anni di dittatura come spauracchio repressivo costante? 
Eppure la sala Bazin è semi vuota…
L’interesse del film non è invece solo nel suo tempismo giornalistico, sottolineato dal titolo originale, La Khaouafa Baada Al’Yaoum, uno degli slogan più ritmati e danzati nella recente rivoluzione «per la libertà e la democrazia» che ha cambiato irreversibilmente la storia della Tunisia, qualunque esito istituzionale avrà. 
Ben Cheik ha iniziato le riprese il 14 gennaio 2011, mentre Ben Alì scappava, ma non ha fatto solo un reportage degli scontri, dal suicidio del venditore ambulante di Sidi Bouzid alla conquista, pacificamente armata, di avenue Burghiba, il cuore di Tunisi, al controllo dei quartieri dalle provocazioni fasciste di ergastolani prezzolati, attraverso i comitati di base, alla caccia attualmente in corso contro i resti (travestiti) dell’Rcd, il partito di Ben Alì tuttora legale. Anche se il puzzle che via via compone è completo e esauriente, Ben Cheikh ha scelto uno specifico angolo d’osservazione. E ha trovato tre personaggi emblematici della storia recente e passata, una donna, avvocato perennemente perseguitata e leader dell’associazione per i diritti umani, più volte in carcere e famosa per aver condotto un lungo sciopero della fame, in epoca Chirac, per salvare dalla tortura il marito, comunista tunisino. Una ragazza blogger, figlia di un prestigioso oppositore politico, che attraverso facebook racconta e organizza le manifestazioni e la controinformazione visto che non mancano nuove provocazioni contro i leader di piazza (come la perquisizione in casa di Khemais Ksila, numero due della lega tunisina per i diritti dell’uomo), e un giornalista indipendente, da sempre in prima linea nel raccontare i crimini delle tre-quattro famiglie che, coccolate dall’occidente europeo, hanno da sempre dominato media, magistratura, banche e esercito. Tutto questo dà sfondo e sostanza conoscitiva alta a una lotta che viene da lontano, più lontano ancora delle violente manifestazioni della metà degli anni ’80, quando tutto il paese insorse contro l’aumento del prezzo del pane. Non a caso un braccio destro del Nuovo Destour, il partito socialista di Burghiba, Caid Essebsi, il provvisorio capo dello stato, 85 anni, stile autoritario e interventi disastrosi, sta soffiando sul fuoco delle «turbolenze anarchiche», incolpando i partiti di estrema sinistra di finanziare i misteriosi «casseurs», che hanno messo a ferro e fuoco qualche giorno fa Siliana. 
Ogni polizia ha i suoi «anarchici insurrezionisti» da usare al momento giusto.

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