Karl Marx. Le pagine viventi di un’opera aperta

Pubblicata da Bompiani una nuova edizione dell’«Ideologia tedesca» introdotta da Diego Fusaro. Un testo che mantiene intatta la sua rilevanza nonostante venga letto rimuovendo i nodi teorici lì affrontati

Pubblicata da Bompiani una nuova edizione dell’«Ideologia tedesca» introdotta da Diego Fusaro. Un testo che mantiene intatta la sua rilevanza nonostante venga letto rimuovendo i nodi teorici lì affrontati

 Nella ripresa di interesse anche editoriale attorno al pensiero di Karl Marx, una recente iniziativa merita senz’altro di essere segnalata: si tratta della nuova edizione della Ideologia tedesca, con il testo originale a fronte, che Bompiani ha appena pubblicato a cura di Diego Fusaro (pp. 1694, euro 35).

L’impegno editoriale non è da poco: il volume infatti consta di circa millesettecento pagine, di cui poco meno di trecento sono occupate dal saggio introduttivo del curatore. Insomma, si tratta senz’altro di una pubblicazione di un certo peso, dalla quale vale la pena di partire per chiedersi quale significato e quale valore possa avere rieditare e rileggere oggi quello che a me è sempre parso uno straordinario testo marxiano. Un testo, peraltro, che non sembrava così fondamentale al suo autore; Marx, infatti, non solo lo aveva lasciato inedito ma dichiarava anche di averlo offerto senza rimpianti alla corrosiva critica dei topi.
Quella dell’Ideologia tedesca, insomma, è una lunga storia. Marx ed Engels la scrissero, tra il 1845 e il 1846, per fare i conti non solo con la loro «anteriore coscienza filosofica», ma soprattutto con i filosofi critici e ipercritici che allora dominavano il dibattito tedesco (Feuerbach, Bauer, Stirner, al quale sono dedicate centinaia di pagine). Poi, dopo esserci chiariti le idee, abbandonarono il manoscritto al suo destino. Ora, è vero che il testo era senza dubbio poco appetibile dal punto di vista editoriale, appesantito com’era da polemiche sarcastiche e interminabili che alla fine non potevano che risultare noiose. Sta di fatto però che la mancata pubblicazione dell’Ideologia Tedesca ebbe una conseguenza rilevante: per quasi un secolo i lettori, e in particolare i marxisti, ignorarono quello che era di fatto l’unico testo dove era stata realmente sviluppata la cosiddetta «concezione materialistica della storia». E dovettero accontentarsi di leggere, su questa concezione, il densissimo riassunto che Marx ne dette in una sola pagina della prefazione che antepose, nel 1859, ad uno dei pochi libri che effettivamente pubblicò, Per la critica dell’economia politica.
Oltre la filologia
È ovvio però che, essendo accessibile solo attraverso questo riassunto, la concezione materialistica venne piuttosto irrigidita e dogmatizzata. Anche dopo la morte di Marx, Engels continuò a ritenere inutile la pubblicazione dell’Ideologia tedesca (come ricorda Fusaro) che dovette aspettare il 1932 per essere finalmente edita (anche se qualche parte era stata già pubblicata separatamente) nell’ambito delle opere complete di Marx coordinate da Rjazanov. Un ritardo che a me sembra abbastanza stupefacente, considerata l’importanza e la ricchezza di motivi che il lavoro incompiuto del 1845-46 comunque conteneva.
Tanti però erano anche i problemi editoriali, nel render disponibili questi lavori del giovane Marx; infatti i manoscritti relativi al cosiddetto primo capitolo, quello più rilevante dedicato a Feuerbach, sono stati dai diversi editori disposti in modi differenti; e proprio per questo il volume curato da Fusaro include due versioni del primo capitolo: quella compresa nelle opere di Marx (MEW, edite da Dietz, Berlino 1969) e quella che apparve nel 1966 sulla rivista «Deutsche Zeitschrift für Philosophie». L’introduzione di Fusaro non si sofferma però sul più recente lavoro filologico che si è dispiegato attorno all’Ideologia tedesca: l’orientamento attuale, che è alla base dei due volumi di testi dell’Ideologia tedesca pubblicati dal Marx-Engel-Jahrbuch nel 2004, e della edizione critica inclusa nella nuova serie delle opere (MEGA2) che dovrebbe uscire quest’anno, è infatti piuttosto quello di disarticolare il testo del primo capitolo come lo conosciamo, e di presentare i manoscritti di Marx ed Engels così come sono, come una serie di pezzi separati disposti cronologicamente. Dal punto di vista filologico, insomma, l’Ideologia tedesca continuerà a impegnare i topi di biblioteca, ponendo nuovi problemi che l’edizione di Fusaro ancora non affronta.
Ma, al di là delle diatribe filologiche, come rapportarsi oggi ai contenuti di filosofia e di teoria sociale di cui l’Ideologia tedesca è così ricca? Dal mio punto di vista, si impone innanzitutto una considerazione preliminare: Marx non può più essere letto oggi come lo è stato nell’epoca dei marxismi e dei comunismi, quando costituiva un riferimento in fondo abbastanza sacralizzato che veniva usato e rielaborato senza però metterlo veramente in discussione. Oggi, dopo tutto quello che è cambiato sul piano storico, Marx si è conquistato finalmente il diritto di essere letto in modo critico e scientifico, come si leggono Kant o Hobbes, sezionandoli analiticamente e ricercando nei loro testi brillanti argomentazioni ma anche aporie e contraddizioni. È vero che Marx ci parla ancora del nostro mondo più di quanto altri classici non facciano, ma questo significa solo che dobbiamo farne una lettura a più livelli, il primo dei quali resta comunque l’indagine critica e rigorosa sulla coerenza o le contraddizioni dei suoi testi. In una certa misura, il lavoro di Fusaro va già in questa direzione, poiché indaga senza pregiudizi su alcuni problemi che il lettore dell’Ideologia tedesca non può non porsi.
In primo luogo, la questione della periodizzazione dell’opera di Marx. Questo tema è stato, a partire soprattutto da Louis Althusser, uno dei tormentoni del dibattito marxista. E, proprio per questo, è stato spesso affrontato in modo fuorviante perché, distinguendo in Marx una fase matura da una che tale non era, si finiva in realtà per far opera di dogmatismo, cioè per sostenere che c’era da una parte un Marx fasullo e ideologico (per Althusser il teorico dell’umanismo, dell’essenza umana, ecc.) dall’altra un Marx gloriosamente incamminato verso la vera scienza. Le cose ovviamente non stanno così, e Fusaro fa bene a ricordarlo, e a mostrare come non si possa tagliare il filo che lega la giovanile critica dell’alienazione con il feticismo delle merci di cui (a un più alto livello di consapevolezza scientifica) si discute nel Capitale. Ma se non vi sono rotture nel senso di Althusser, ciò non vuol dire però che, nell’itinerario marxiano, l’Ideologia tedesca non segni un essenziale scatto in avanti: è qui infatti che prendono corpo per la prima volta concetti che, come quelli di forze produttive e rapporti di produzione, costituiranno l’ossatura di una nuova comprensione della storia e della società.
E veniamo così a quello che è uno dei principali nodi problematici che Fusaro mette in risalto: una delle tesi sostenute da Marx nell’Ideologia tedesca sembra essere quella che, a differenza di quanto fanno i suoi ex amici della sinistra hegeliana, è necessario, se si vuole guadagnare una effettiva comprensione della realtà, lasciarsi alle spalle il discorso filosofico (che è inevitabilmente «ideologico») ed entrare in un nuovo spazio teorico, quello della conoscenza scientifica della storia. Dove scientifica vuol dire innanzitutto che la storia va studiata lasciandosi alle spalle sia i grandi disegni aprioristici delle filosofie della storia, sia un empirismo puramente narrativo: si tratta insomma di dar vita, per dirlo con parole nostre, a una sorta di sociologia storico-critica. Questo discorso marxiano, però, sembra essere insidiato da una aporia: se si sviluppa un ragionamento per sostenere la tesi che il vero sapere non si trova lungo le strade della filosofia, ma su quelle della conoscenza scientifica della storia, qual è lo statuto di questo ragionamento? Ovvero, qual è lo statuto della perorazione per il superamento della filosofia che Marx propone nell’Ideologia tedesca? È evidente che, in quanto discorso metodologico preliminare, questa non è ancora la scienza positiva della storia. Ma allora, la tesi che bisogna abbandonare la filosofia per passare a un altro terreno, non è essa stessa ancora una tesi filosofica? La critica della filosofia non è essa stessa filosofia? Qui c’è effettivamente un nodo problematico del ragionare marxiano, che è stato messo in risalto nello studio di Paolo Vinci su La forma filosofia in Marx ( manifestolibri) e che giustamente Fusaro riprende e rielabora: non ha torto dunque quando sostiene che, nel Marx della Ideologia tedesca, ci troviamo di fronte a una «anti-filosofia in sé filosofica». Ma ciò non configura forse una aporia del discorso marxiano?
Un altro aspetto aporetico sul quale Fusaro insiste parecchio (anche nel suo precedente studio Bentornato Marx!, uscito presso Bompiani nel 2009), è che, sebbene Marx pretenda di superare la filosofia della storia di Hegel e dei suoi epigoni, in realtà finisce spesso per ricaderci. La pretesa è quella di costruire, della storia, una comprensione scientifica; ma nei fatti Marx la leggerebbe come un percorso teleologicamente orientato verso un fine in qualche misura predeterminato (l’avvento del comunismo) e mitizzerebbe l’attore storico cui tocca il compito di realizzare questo fine, cioè il proletariato. La critica di Marx come filosofo della redenzione storica non è certo una novità, e infatti Fusaro stesso ricorda che uno dei sostenitori più nitidi di questa critica fu Karl Löwith, che vedeva nel pensiero marxiano una secolarizzazione della visione escatologica giudaico-cristiana. E sicuramente in questa critica ci sono degli elementi di verità.
In marcia verso la redenzione
Rispetto a tutta questa impostazione di lettura, un problema si pone: ammettiamo pure che in Marx, per varie ragioni (non ultima quella di offrire una sorta di garanzia al processo di liberazione che egli vedeva faticosamente mettersi in movimento), ci sia un discutibile retaggio che si può chiamare filosofico o che, più esattamente, si dovrebbe definire ideologico; concediamo pure che ci sia l’idea di un storia che, attraverso le contraddizioni, marcia trionfalmente verso la realizzazione di qualcosa di simile al paradiso in terra; ma tutto ciò è davvero uno degli aspetti più interessanti del discorso di Marx? Sono proprio questi i punti su cui vale la pena di fermare l’attenzione critica? La mia impressione è che le cose non stiano così. Per carità, è giusto ricordare questi limiti e rileggere Marx anche a partire da vecchi dibattiti. Però sarebbe più interessante concentrare maggiormente l’analisi su quegli aspetti del discorso marxiano che lo proiettano in avanti, e non indietro.
La visione materialistica della storia, dopo tutto, col suo approccio sistemico alla società, con la teoria dei modi di produzione, con i tanti spunti che se ne possono trarre per ragionare sui processi di legittimazione, è una delle fonti principali della sociologia moderna, cioè dei tentativi di costruire una comprensione scientifica della società. L’approccio di Marx è caratterizzato da una serie di scelte molto precise, per esempio dall’insistenza sui vincoli che gli assetti produttivi pongono a tutte le altre dimensioni dell’intero sociale, oppure dalla tesi che i mutamenti nelle sfere ideali (filosofia, politica, religione) sono strettamente condizionati da quelli che si generano a livello della base produttiva. Qui Marx, anche con le sue unilateralità, è un interlocutore ineludibile della scienza sociale moderna; e allora ciò che di Marx andrebbe discusso ed esaminato a fondo, parlando dell’Ideologia tedesca, sono anche, o soprattutto, i nodi di teoria sociale che in essa vengono enunciati. Per esempio: come vengono pensati, in Marx, i rapporti di interazione reciproca tra i diversi sottosistemi sociali? Qual è l’esatto significato del rapporto di condizionamento che si stabilisce tra la sfera della produzione e le altre? Come va pensato il nesso tra il dominio economico che una classe esercita nella società e la sua supremazia (o egemonia) politica e ideologica? L’Ideologia tedesca è un testo fondamentale soprattutto perché pone (non dico affatto che li risolva) tutti questi problemi. E dunque andrebbe criticato e misurato soprattutto su questi nodi, più che non sul retaggio di coscienza filosofico-ideologica ottocentesca che, un po’ come una zavorra, si porta dietro.

**************************
Un romanzo marxiano

 L’adolescenza di Karl Marx è stata spesso definita come tranquilla. Solo recentemente sono emersi i conflitti che ebbe con il padre, che mal tollerava l’irrequietezza di Marx e la sua decisione di non intraprendere la professione da lui stesso tracciata. Alcune biografie di Marx hanno anche sottolineato che il giovane era attratto dalla poesia. Ora gli Editori internazionali Riuniti hanno ripubblicato un romanzo che Marx scritte in gioventù e che inviò al padre («Scorpione e Felice, pp. 162, eru 9,90). Testo umoristico, viene definito, a cui l’amico Engels, dopo averlo letto, lo integrò di disegni e caricature. La sua lettura fa conoscere un giovane sarcastico, irriverente e trasgressivo.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password