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L’ambigua democrazia di Internet Come i «social media» modificano i rapporti fra culture e individui

L’ambigua democrazia di Internet Come i «social media» modificano i rapporti fra culture e individui

La tecnologia ci avvicina e ci allontana, nel bene e nel male. È più facile uccidere sparando da un aereo o con una baionetta? Secondo gli studi sullo stress post-traumatico, i piloti ne sono meno affetti rispetto alle truppe di terra perché queste ultime vedono il nemico da vicino. Contrariamente alle aspettative, anche chi uccide manovrando da chilometri di distanza i droni— gli aerei senza pilota — resta traumatizzato, perché guarda spesso foto ravvicinate degli «obiettivi» , prima e dopo averli colpiti. Il paragone viene usato da Zeynep Tufekci, un’esperta di reti sociali (online e offline) dell’Università del Maryland a Baltimore, per illustrare la differenza tra la diffusione di notizie via Twitter rispetto al giornalismo televisivo. Nel primo caso, ci troviamo a distanza di baionetta (o di drone) dall’altro, «un rapporto umano, immediato, viscerale» , con effetti positivi e negativi: sui social media il racconto degli avvenimenti si sviluppa in tempo reale, con la diffusione di immagini personali a volte atroci, senza filtro, con emotività e opinioni forti. «La tv, invece, ci pone su un jet che vola a ventimila piedi sopra le rovine, impersonale, distante, impassibile» . Presentatore seduto, tono e abiti neutri, pubblicità. Alla settima edizione del «Festival Vicino/lontano, Premio letterario internazionale Tiziano Terzani» , sono previsti diversi dibattiti su Internet, «il più ampio spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto» . Dalle rivolte in Medio Oriente e Nord Africa a Wikileaks, la domanda di fondo è «quanto e a quali condizioni possa divenire reale e concreta la libertà che il mito della rivoluzione digitale promette» . Il dibattito su Internet e democrazia è dominato in questi mesi dal tema «social media» . A sentire Tufekci e Clay Shirky, docente alla New York University e autore di «Here comes everybody» , una delle bibbie sul tema, le connessioni dirette tra (molte) persone e il passaggio rapidissimo di informazioni aumentano la libera espressione e la consapevolezza condivisa. E se Malcolm Gladwell sul New Yorker ha argomentato che, favorendo «legami deboli» tra individui, i social media siano meno adatti ad un «vero» attivismo (come quello del movimento dei diritti civili di Martin Luther King), Tufekci afferma che «le persone hanno più mezzi per esprimersi l’uno con l’altro e con il mondo; sono certi che i loro bisogni non saranno seppelliti nel pozzo della censura, il che necessita di un appoggio che va al di là degli stretti legami con famiglia e amici» . Nessuno di questi studiosi, comunque, crede nell’automatica equivalenza tra Internet e libertà. Lo stesso Shirky ha ammesso di aver sopravvalutato il peso dei social media nel coordinamento delle rivolte arabe («funzionano per portare la gente in strada solo se è il risultato di un lungo processo» come in Egitto; in Sudan Facebook è stato usato dalle autorità per «radunare la rivolta contro se stessa» , con arresti di massa). Se il dittatore non cade, per i dissidenti i benefici sono spesso superati dai «costi» come la facilità di essere identificati. Una nuova generazione di terroristi, poi, usa oggi gli stessi mezzi: John Robb in «Brave New World» li chiama «guerriglieri open source» . E accanto alle opinioni e riflessioni libere, anche le nostre informazioni private diventano pubbliche. «Google organizza i risultati delle ricerche sulla base di ciò che abbiamo cercato in passato, la nostra identità Facebook può “viaggiare”su siti diversi» , osserva Evgeny Morozov. «Non è difficile pensare ad un sistema di censura basato sulle pagine da noi visitate e sul tipo di persone con cui siamo amici sui social media» . Perché la libertà possa divenire reale e concreta, insomma, forse alcuni miti legati a Internet devono venire meno. Tufekci ha osservato studiando Twitter che «i social media non solo non impediscono, ma potrebbero facilitare l’emergere di oligarchie e di autorità carismatiche. Le reti diffuse possono facilmente evolvere in gerarchie, non nonostante ma proprio a causa della loro natura aperta» . Mantenere una «struttura diffusa e partecipatoria» di governo in Egitto, ad esempio, è possibile, sostiene, ma «implica una consapevolezza di come i network funzionano, mettendo da parte presupposti ingenui che le strutture che consentono un raggruppamento orizzontale faciliteranno un futuro non gerarchico e partecipatorio» . Come nel caso di Twitter rispetto alla tv, anche Wikileaks — l’organizzazione dell’ex hacker Julian Assange che ha reso pubblici documenti riservati del Dipartimento di Stato Usa — ha influenzato la distinzione tra «facciata» e «dietro le quinte» : e secondo alcuni sociologi, più che rivelare effettivi segreti, il peso è stato proprio quello di denunciare l’abitudine del potere a parlare con voci diverse – agli altri stati, al pubblico, e agli «insider» . Ma non è solo la «Rete» ad aver portato a tali rivelazioni (criticate come una minaccia alla sicurezza dagli Usa): i giornali le hanno contestualizzate e diffuse (anche online). Il dipartimento di Stato Usa ha imparato alcune lezioni, dice al Corriere Alec Ross, consulente per l’innovazione di Hillary Clinton. «La natura del potere sta cambiando: i social network lo tolgono alle istituzioni e lo danno agli individui» , afferma, citando, nel bene e nel male, per gli interessi Usa, gli aiuti via sms per Haiti da una parte e Wikileaks dall’altra. Clinton ha fatto della «libertà di Internet» , un obiettivo di politica estera. Internet è diventato «sociale» , con implicazioni di economia, politica e «spirituali» , afferma Morozov. E, sottolinea Alec Ross, vince chi lo usa in modo più sofisticato

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