Il rap della rivolta

Hamada Ben Amor, in arte «El General», ha dato con le sue canzoni di denuncia i ritmi alla rivoluzione dei gelsomini. Incontro con il rapper che il Time ha messo al 74° posto tra le persone più influenti del mondo

Hamada Ben Amor, in arte «El General», ha dato con le sue canzoni di denuncia i ritmi alla rivoluzione dei gelsomini. Incontro con il rapper che il Time ha messo al 74° posto tra le persone più influenti del mondo

 Il 5 gennaio all’alba – racconta il rapper El General – una quarantina di poliziotti in tenuta antisommossa ha fatto irruzione in casa della mia famiglia. Cercavano proprio me. Per quale motivo? ha chiesto mio fratello, e loro, indicandomi, hanno risposto: lui lo sa». È cominciata così, in Tunisia, l’avventura giudiziaria di Hamada Ben Amor, 21 anni, in arte El General. «Poi – ricorda ora – mi hanno portato per tre giorni al ministero degli Interni, a Tunisi. Mi dicevano: non fare più testi contro Ben Ali e la famiglia Trabelsi, e smettila con il rap. Io non rispondevo. Ero sotto inchiesta, poteva finire male». Intanto, brani come Rais Le Bled, Allah Akbar o Tounes bledna , diffusi via internet, stavano diventando la colonna sonora della «rivoluzione dei gelsomini». «Presidente, il tuo popolo sta morendo, scendi per strada e guarda… La gente impazzisce e i poliziotti diventano mostri, legge e costituzione rimangono sulla carta…Scendi per strada e guardati intorno, le persone vengono trattate come bestie, i poliziotti manganellano le donne col velo».

Parole di fuoco al ritmo delle piazze che, il 14 gennaio hanno cacciato dal paese il presidente-generale Zine el Abidine Ben Ali. Rais Le bled ha fatto il suo primo ingresso in rete il 7 novembre 2010, giorno della festa del Cambiamento. Ventitré anni prima, Ben Ali aveva mandato a casa il vecchio e malato Habib Bourghiba con un «golpe medico» favorito dall’Italia. Oggi, Rais Le Bled viene considerata una delle 5 canzoni di protesta più efficaci e riuscite. Il generale in divisa contro «El general» in musica. In Tunisia come il Egitto, la protesta ha corso sul web. «Non parlo di me, sono i miei pezzi che parlano di me e combattono i nemici al posto mio», scrive sul suo blog il giovane musicista. Lo liberano dopo tre giorni. «Nel frattempo – ricorda ancora Hamada – molti amici si erano mobilitati, in molti mi avevano sostenuto, c’era stata una petizione internazionale». Dopo l’arresto, i contatti sul suo profilo Facebook passano da 3 500 a oltre 20.000 in soli due giorni. «Ho cominciato molto presto col rap, la musica è cresciuta con me, con la sofferenza del mio popolo e la voglia di verità che si faceva strada soprattutto a partire dal 2008», spiega adesso.
«In Tunisia – dice El General – ci sono grandi sofferenze e molti problemi sociali, la situazione è molto dura per la gente, i miei testi hanno cercato di interpretare i problemi, la sofferenza e la rabbia del mio popolo. Per anni, le cose sono andate sempre peggio. A un certo punto, abbiamo detto basta. Nel 2010, anch’io sono andato a manifestare. Nella mia città, a Sfax, sono scese in piazza oltre 100.000 persone. Da noi come in tutte le altre rivolte della regione, la comunicazione web è stata determinante». Nel 2011, la rivista americana Time ha classificato El General al 74° posto fra le persone più influenti al mondo («una cosa che mi inorgoglisce»). Ma prima di diventare famoso e richiesto sui palchi di mezzo mondo, Hamada è stato uno dei tanti diplomati senza prospettive. Eppure ha studiato a Sfax, seconda città più importante del paese, dove si trova anche uno dei licei più prestigiosi della Tunisia. Dopo l’indipendenza dalla Francia, nel ’56, il governo ha puntato molto sull’istruzione. Il paese (la metà della popolazione oggi ha fra i 15 e i 30 anni) ha raggiunto livelli di scolarizzazione elevatissimi. Uno slancio che si è infranto nell’impatto con la crisi economica globale e nell’acquiescenza ai dettami neoliberisti dimostrata dal sistema di potere di Ben Ali. L’altissimo indice di disoccupazione ha colpito soprattutto i giovani diplomati e laureati e ha costituito uno dei principali inneschi delle proteste. Anche Mohamed Bou Azizi, l’ambulante che si è dato fuoco il 17 dicembre a Sidi Bouzid aveva un diploma, ma era costretto a sopravvivere vendendo carabattole al mercato. E quando i poliziotti gli hanno sequestrato la merce e lo hanno picchiato, si è cosparso di benzina e si è ucciso. Un gesto – presto seguito da altri suicidi – che «ha scosso le coscienze», dice Hamada. I rapper gli hanno reso omaggio, moltiplicando il ritmo della rabbia. «Siamo figli del difetto in un mondo sbagliato», canta El General. Tounes bledna, «La Tunisia è il nostro paese» viene messa sul web il 2 gennaio: «La Tunisia – recita – è il nostro paese, la riprenderemo con la politica o con il sangue». Sfax è uno degli epicentri della rivolta, preannunciata anche dal rap «impegnato» come quello di El General: una voce diretta e ben impostata che propone testi poetici e duri e a volte canta un islam della protesta, sull’eco dell’hip pop dei ghetti americani. «Io credo nell’islam – dice – ma non nel terrorismo». La parità formale raggiunta per legge dalle donne tunisine? «Sono d’accordo – dice ancora Hamada – ma fino a un certo punto: ci sono dei limiti». E quali? «Il rispetto della morale, la decenza nel vestirsi, cose così. Tra uomini e donne ci sono delle differenze… perché noi siamo musulmani».
Un rap di resistenza ibridato anche a sonorità più tradizionali, che esprime la rivolta giovanile per come oggi si presenta: da Tunisi, al Cairo, a Gaza assediata, dove la produzione rap ha una crescente e travagliata vivacità. «Il mio ultimo lavoro – dice ancora El General – s’intitola Direzione Palestina. I popoli arabi devono dar luogo a una nuova unità araba che metta al centro l’indipendenza della Palestina, una questione fondamentale per tutti noi che siamo scesi in piazza». Fra i temi del rapper, anche i muri di cemento della «fortezza Europa», le barriere che impediscono la libera circolazione delle persone. «L’Europa fa male a chiudersi – dice Hamada – l’incontro fra persone diverse è una ricchezza, e comunque se le cose migliorano nei nostri paesi nessuno fuggirà più perché ha perso la speranza». Nel gruppo di rapper «impegnati» che animano i concerti con El General, vi è chi protesta contro il «complotto sionista-americano che si allunga sulle rivolte arabe». Anche per El General, questo «complotto esiste per quanto riguarda alcuni paesi. A me sta bene – dice – cacciare Gheddafi – ma non perché si allunghino le mani sul petrolio libico e sull’autonomia dei popoli».
Quanto al presente della «rivoluzione dei gelsomini», il rapper dice che in Tunisia, oggi, «le cose non sono cambiate molto. A Tunisi c’è ancora il coprifuoco, il personale di Ben Ali ha mantenuto i suoi posti di potere. Intanto abbiamo lanciato un messaggio di speranza: è possibile liberarsi dai raìs. Ora, però, c’è bisogno di una seconda rivoluzione. I giovani continuano a manifestare, il popolo continua a tenersi pronto». È possibile liberarsi dai raìs. Un augurio che El General ha già rivolto e tornerà a rivolgere anche «a un popolo fratello come quello italiano».

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