I nuovi capitalisti, figli del web

  «Da luogo di libertà  a macchina di sfruttamento: la parabola della rete. Il saggio di Carlo Formenti analizza il lato oscuro della trasformazione digitale

  «Da luogo di libertà  a macchina di sfruttamento: la parabola della rete. Il saggio di Carlo Formenti analizza il lato oscuro della trasformazione digitale

Cos’hanno in comune Mark Zuckerberg e Rino Formica? Accostare il fondatore di Facebook all’esponente socialista che fu ministro negli anni Ottanta è certamente temerario. Ma Formica, oltre che per le sue invettive contro la «sinistra ferroviaria» e la «lite delle comari» con Nino Andreatta che fece cadere un governo, è passato alla storia per il suo «mettere la merda nel ventilatore» , espressione con la quale fotografò la capacità della politica non solo di produrre grandi quantità di fango, ma anche di schizzarlo ovunque nella foga della polemica.
Zuckerberg, 27enne creatore di una rete sociale di enorme successo, figlio di un’era e di una cultura completamente diverse, ordinando (o avallando) una campagna contro le presunte irregolarità commesse da Google (dopo che la stessa Facebook è stata sospettata di nefandezze di vario tipo), ha involontariamente messo in moto un meccanismo simile a quello descritto da Formica. Fin qui gli aspetti più controversi nell’attività dei grandi gruppi che animano l’economia digitale (smantellamento della «privacy» , scarso rispetto del diritto d’autore, uso spregiudicato del lavoro gratuito attraverso il «crowdsourcing» ) sono stati generalmente analizzati avendo in mente un pregiudizio benevolo: una presunzione d’innocenza di questi giovani imprenditori, spesso figli della cultura libertaria postsessantottina, ecologisti.
Veri «neoschumpeteriani» che distruggono il vecchio in nome di un nuovo capitalismo collaborativo e meritocratico, più moderno e più etico. di recente questa visione ottimista, disegnata anno dopo anno da intere schiere di intellettuali, ha cominciato ad essere sottoposta a revisione critica da vari studiosi. In Italia l’attacco più radicale è quello contenuto in Felici e sfruttati, un saggio al vetriolo di Carlo Formenti pubblicato da Egea. Qui la rappresentazione rassicurante di chi presenta la rete e l’economia digitale come nuovi paradigmi caratterizzati da un livello superiore di libertà viene sostituita da un quadro da incubo: dai collaboratori volontari del web che, in realtà, sono le vittime inconsapevoli di un processo produttivo fondato su nuove forme di «taylorismo digitale» , ai rischi di una deriva neototalitaria insita nel web 2.0.
La prospettiva è quella dell’ «annientamento totale del confine tra pubblico e privato» , con i consumatori che, scrive Formenti citando studiosi come Michel Foucault e Nello Barile, diventano vittime di un «meccanismo della confessione» (per il quale l’autore evoca l’immagine del «fascismo emozionale» ) basato su una relazione asimmetrica di potere nel quale «l’istanza di dominazione non è dalla parte di colui che parla, ma da quella di colui che ascolta e tace» . Per arrivare fino all’invettiva contro le profezie sull’avvento di una condizione «post-umana» basata su un salto evolutivo dell’ «homo sapiens» che aprirebbe ai nostri eredi nuovi orizzonti di conoscenza: «deliranti idiozie» , taglia corto Formenti. Che è un accademico passato al giornalismo e poi tornato all’università, ma sempre con la passione del dibattito e della discussione polemica. Ciò lo ha spinto a produrre un saggio al quale, come lui stesso avverte fin dalle prime pagine, ha dato il passo del «pamphlet» provocatorio.
Un libro scritto per sfogare due emozioni forti, indignazione e irritazione: irritazione per alcuni pentimenti tardivi, per l’atteggiamento degli «utopisti in buona fede del web, dei nostalgici di una cultura hacker ormai emarginata o riassorbita dal sistema» e indignazione «per la faccia tosta dei guru della “new economy”con le loro profezie sul futuro liberato dal principio di scarsità» e il cinismo col quale «esaltano il modo in cui le “dot. com”hanno imparato a sfruttare il lavoro non retribuito di milioni di “prosumer”» , la «foglia di fico che copre il più colossale processo di concentrazione monopolistica della storia del capitalismo» . Giudizi drastici e un quadro cupo che susciteranno reazioni di fastidio, se non addirittura di rigetto, in chi crede, senza porsi troppe domande, che non solo la rete ma anche tutti i suoi principali protagonisti siano fattori di progresso.
Tanto più che Formenti usa Marx (il suo metodo filosofico, non l’ideologia marxista) per analizzare le conseguenze socioeconomiche della trasformazione in chiave digitale del sistema produttivo. Arrivando fino a criticare un «mostro sacro» , assai rispettato a sinistra, come Manuel Castells, usando il metodo gramsciano. Ma per chi si interroga sul futuro del web, sui suoi effetti su economia e società, Felici e sfruttati offre, oltre a interpretazioni assai polemiche, un’utile antologia delle posizioni emerse in questo dibattito negli Stati Uniti e in Europa: dai teorici del «tutto gratis» — Shirky, Tapscott, Benkler, Anderson, ora costretti a rivedere le loro teorie man mano i «giardini recintati» delle applicazioni spezzano la prateria della rete — ai Lanier, Turkle, Nicholas Carr e a economisti e sociologi italiani come Enzo Rullani e Aldo Bonomi.
Con le analisi di questi ultimi due usate da Formenti per una revisione critica della nuova figura del «capitalista personale» . Un libro a tinte forti, a volte forse eccessivo ma anche coraggioso, che solleva una questione — le distorsioni del lavoro digitale — difficile da archiviare come una polemica basata su una visione obsoleta dopo che, ad esempio, il nuovissimo «The Huffington Post» è stato contestato dai suoi moderni fornitori di intelligenza gratuita per il metodo piuttosto vecchio— sfruttamento del lavoro altrui per costruire un prodotto poi rivenduto con enorme profitto — adottato da Arianna Huffington.

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