Dieci anni da Genova, la «caduta» dei no global

  Gli scontri del G8, i processi, le recriminazioni: così si è «infranto il sogno del movimento» In questo viaggio lungo dieci anni restano impresse soprattutto le facce. Nomi e volti di chi è stato testimone, talvolta inconsapevole, di una storia che forse ha avuto un esito imprevedibile ma ha comunque segnato le vite dei suoi protagonisti.

  Gli scontri del G8, i processi, le recriminazioni: così si è «infranto il sogno del movimento» In questo viaggio lungo dieci anni restano impresse soprattutto le facce. Nomi e volti di chi è stato testimone, talvolta inconsapevole, di una storia che forse ha avuto un esito imprevedibile ma ha comunque segnato le vite dei suoi protagonisti. Perché la ferita, il libro di Marco Imarisio, giornalista del Corriere della Sera, edito da Feltrinelli da oggi in libreria, racconta in maniera intensa e commovente, a tratti anche aspra, «il sogno infranto dei no global italiani» . Mette insieme ricordi e recriminazioni, cronaca e commento sugli episodi che hanno rappresentato l’evoluzione di un fenomeno, dal drammatico G8 di Genova del 2001 fino a oggi. E diventa un manuale prezioso perché intreccia l’analisi al resoconto delle manifestazioni di piazza, le voci di chi c’era a quella del narratore, consentendo così di vivere quasi in prima persona ogni episodio. Ci sono le facce note di Haidi e Giuliano Giuliani, i genitori di Carlo ucciso in piazza Alimonda il 20 luglio 2001, e quelle di Sandra e Marino, «reduci di Genova, ancora convinti che criminalizzare i no global fosse solo un modo per esorcizzare la paura che la gente potesse in qualche modo occuparsi dei problemi reali» . Ci sono le facce di Vittorio Agnoletto e di Luca Casarini e ci sono quelle dei ragazzi percossi, derisi e umiliati nella caserma di Bolzaneto. È la parte più cruda del libro con l’elenco impietoso degli abusi subiti da chi era arrivato nel capoluogo ligure per manifestare contro i potenti della terra e si ritrovò sbattuto nella cella di un carcere in balia di agenti penitenziari trasformati in aguzzini. Però è anche una delle più efficaci con quell’elenco di soprusi che lentamente si trasforma in una dolorosa e terribile litania. Comincia da Genova il viaggio, e non poteva essere altrimenti. Comincia da quell’atmosfera spettrale dei giorni precedenti il vertice degli otto Grandi che Imarisio descrive perfettamente, quando ricorda «la città cambiata in una notte, all’improvviso» perché «in sole otto ore trascorse tra fragori di fonderia e autoarticolati in movimento, illuminata dal fuoco delle fiamme ossidriche, nasce la zona rossa» . E centra il problema quando ricorda come «la zona rossa deve durare solo tre giorni, ma è come se mettesse un’ipoteca sul futuro immediato» . In realtà l’ipoteca la mette sulla capacità del movimento di evolversi e rimanere in vita. Lo snodo della vicenda sono dunque gli appuntamenti successivi a quei tre giorni genovesi, con la protesta dei no global che alterna momenti di violenza cieca a riflessioni vere e profonde, come accade a Firenze nell’ottobre 2002 in occasione del Forum sociale. Ne la ferita Imarisio parla in maniera approfondita dei processi contro i poliziotti e i manifestanti, ma non indugia su questo aspetto pur evidenziando come siano proprio i dibattimenti a provocare comunque una frattura profonda e alla fine insanabile tra le diverse anime del Movimento. Perché, giustamente, si concentra sulle persone. E allora diventa struggente il capitolo dedicato a Filippo Lapi, uno dei poliziotti più esperti di ordine pubblico, che a Genova «comanda un plotone che dovrebbe gestire il deflusso» e si ritrova in mezzo alla furia dei black block. E che anni dopo, prima di morire per una malattia improvvisa, ancora si arrovellava nell’analisi degli errori commessi in quei giorni dalle forze dell’ordine. Sorprendente è invece la figura di suor Anna che viene messa in evidenza proprio per sottolineare come uno degli sbagli compiuti dai leader no global sia stato proprio «la costante sottovalutazione della componente cattolica, mai ascoltata nelle poche richieste per un percorso comune» . Tra loro ci sono i ragazzi, gli uomini e le donne che il 21 luglio 2001, ultimo giorno di manifestazioni, pensavano di poter avere la ribalta tutta per loro. Sono «i militanti veri, forse le prime vittime della violenza di Genova» . Altre facce, altri nomi, altre storie per un viaggio nella memoria che sembra non avere fine. E allora c’è Davide il commercialista, c’è Antonio l’allevatore sardo, c’è Anada studentessa perugina. Persone che non hanno mai potuto cancellare il ricordo di quei giorni terribili, perché lo porteranno nel cuore mescolato al rimpianto di quello che poteva essere il raduno di Genova. Perché è vero che forse tutto comincia a Napoli quattro mesi prima, quando il corteo contro il vertice Osce degenera in guerriglia tra manifestanti e poliziotti. È vero, come evidenzia Imarisio, che «l’aggressività nei toni usati durante tutto il negoziato tra no global e Viminale «è una reazione, quasi una forma di autodifesa» a fronte di quanto è già accaduto. Ma poi la cronaca dettagliata di quanto accadde quella mattina del 20 luglio, con i black block lasciati liberi di devastare senza che nessuno faccia neanche il tentativo di opporre resistenza, rivela la confusione e la catena di errori che trasformarono l’evento in disastro. Non c’è una tesi nel libro ed è questa la sua forza. Perché il collage di immagini e pensieri alla fine si trasforma in un turbine di emozioni. E si comprende come quanto è accaduto — dai cortei per scongiurare l’apertura della base militare di Vicenza, passando per i No Tav e arrivando agli scontri a Terzigno per la spazzatura— è stato inesorabilmente segnato da quei tre giorni di Genova. E da quella voglia mai confessata di fuggire da tutto quello che era stata quell’esperienza, «di rifugiarsi altrove» .

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password