«Se mantieni il segreto, hai già  vinto metà  della battaglia». La pensava così Saloth Sar, più noto come Pol Pot, dittatore e architetto di un incubo che, tra il 1975 e il 1978 sterminò un terzo della popolazione cambogiana. Un segreto che in parte resiste: pochissime le fotografie, pochi i documenti, nulle le ammissioni di responsabilità . ">

Cecità  intellettuale in Cambogia

«Se mantieni il segreto, hai già  vinto metà  della battaglia». La pensava così Saloth Sar, più noto come Pol Pot, dittatore e architetto di un incubo che, tra il 1975 e il 1978 sterminò un terzo della popolazione cambogiana. Un segreto che in parte resiste: pochissime le fotografie, pochi i documenti, nulle le ammissioni di responsabilità .

«Se mantieni il segreto, hai già  vinto metà  della battaglia». La pensava così Saloth Sar, più noto come Pol Pot, dittatore e architetto di un incubo che, tra il 1975 e il 1978 sterminò un terzo della popolazione cambogiana. Un segreto che in parte resiste: pochissime le fotografie, pochi i documenti, nulle le ammissioni di responsabilità .

L’attuale Cambogia è uno Stato di quindici milioni di abitanti che non hanno memoria di uno dei genocidi più duri del ’900, governata da ex membri dei Khmer rossi – il gruppo politico di Pol Pot – che non hanno interesse a scavare nelle ombre del passato. Al contrario, lo svedese Peter Fröberg Idling, autore di un romanzo-inchiesta, Il sorriso di Pol Pot, tradotto da Laura Cangemi per Iperborea, su quelle ombre ha cercato di gettare nuova luce. Dopo avere studiato la cultura khmer, si è messo sulle tracce di una delegazione di pacifisti svedesi che, proprio mentre si consumava uno dei maggiori genocidi del XX secolo, si recarono in Cambogia. Cosa videro? O meglio: cosa non videro i quattro svedesi, guidati dallo scrittore JanMyrdal, ancora oggi molto impegnato in campagne antimilitariste? Qual è la sua valutazione della Cambogia contemporanea? È un paese povero, paralizzato dalle devastazioni che si sono succedute tra il ’70 e il ’98. Sulla carta è una democrazia, ma se ci limitassimo a leggere un paese come si legge un «testo», commetteremmo un grave errore.Nella realtà, direi che le sue strutture politiche la fanno sembrare più simile a uno Stato mafioso. Il paese vive comunque una notevole crescita economica, il che consente a molte persone di riprendere a nutrire speranze per il futuro. Si è avviata una fase di modernizzazione e se nulla di inatteso accadrà, la Cambogia si avvia a diventare un paese prospero, sul modello thailandese. Cosa conoscono i cambogiani della loro storia recente? La conoscenza di Pol Pot è limitata. Il regime dei Khmer Rossi è a tutt’oggi una «questione sensibile» per il governo: molti degli attuali ministri, infatti, hanno iniziato la propria attività politica come Khmer rossi, prima di riparare in Vietnam. Nulla viene insegnato a scuola su queste vicende, che secondo una logica aberrante,macomprensibile, potrebbero destabilizzare il paese. I giovani sanno ciò che hanno appreso da genitori e nonni ma anche loro, che hanno vissuto il periodo, non conoscono a fondo il quadro complessivo della storia della Cambogia, almeno dal 1975, quando Pol Pot prese il potere. Crede che in Europa si sappia di più su queste vicende? Dipende dal paese e dall’età degli europei a cui si chiede.Main generale, i giovani non conoscono il dramma cambogiano e considerano Pol Pot un dittatore di secondo ordine, un po’ nell’ombra. Lui stesso, d’altronde, ha vissuto gran parte della sua vita protetto da un’impenetrabilità sconcertante. Eppure, c’è stata una fase, neppure troppo lontana, in cui gli intellettuali europei salutavano la presa del potere da parte dei Khmer Rossi come un balzo in avanti nella storia del progresso democratico… Malafede? Non credo che quegli intellettuali mentissero.Era abbastanza facile ingannarli. Imilitanti che in Europa inneggiavano alla Kampuchea Democratica – il nomeche la «dittatura» si diede tra il ’76 e il 1979 – erano parte di una percezione ottica collettiva. Si cercava una terza via, arrivarono i Khmer rossi proprio alla fine della Guerra del Vietnam, e gli intellettuali che allora si dicevano «impegnati » finirono per vedere i Khmer rossi esattamente comequesti volevano essere visti, piuttosto che come erano realmente. Gli intellettuali cercavano un movimento popolare, la lotta per l’indipendenza nazionale e per una società egualitaria basata su un modello diverso da quello capitalistico occidentale e quando Pol Pot affermò che dopo secoli di repressione feudale per la Cambogia aveva inizio unanno «zero», quegli intellettuali caddero nel tranello. Una cosa tragicamente ingenua, se vogliamo,ma è così che funziona: bianco o nero,mai nessuno che si soffermi sui dettagli, sulle sfumature. Eppure, come dicono gli inglesi, il diavolo sta nei dettagli… Come ha ricostruito i dettagli di questa allucinazione collettiva? Hoimparato la lingua khmer, ho studiato e ho speso tanta fatica nella mia scrittura. Come giornalista, in un certo senso, devi usare dei cliché. Un autore invece può inventare sempre da capo il suo linguaggio. E vorrei aggiungere che non pretendo di scrivere la «verità » circa i Khmer rossi,ma la mia verità soggettiva, che è la verità di uno sguardo individuale. Ciò non toglie che una vicenda complessa si possa semplificare al punto da diventare oggettivamente sbagliata. Lei, in fondo, è anche un giornalista specializzato in questioni asiatiche, non solo uno scrittore. Ho due questioni aperte con il giornalismo. La prima nasce dalla tendenza a semplificare ogni cosa, trasformando questioni complesse in conflitti tra il bene e il male. Non è per forza colpa dei giornalisti: lettori e spettatori esigono un prodotto da consumare in treminuti. Eppure, proprio per questa «esigenza» l’Occidente non è stato in grado di comprendere i Khmer rossi. Un terzo della popolazione cambogiana massacrato in pochissimo tempo, mentre in Europa si tessevano gli elogi della rivoluzione. Seconda questione, a noi più contemporanea, avendo a che fare con internet: oggi tutto deve essere pubblicato immediatamente, senza lasciare abbastanza tempo per l’analisi. Questo radicalizza le opposizioni tra bianco e nero. Semplificare il problema, significa semplificare le soluzioni. Ma le soluzioni semplici, il più delle volte, sono soluzioni sbagliate.

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