Bobbio, straniero in Patria

È in libreria “L’Italia delle idee” di Angelo d’Orsi (Bruno Mondadori, 23 euro – 360 pagg). Di seguito un estratto dell’ultimo capitolo

È in libreria “L’Italia delle idee” di Angelo d’Orsi (Bruno Mondadori, 23 euro – 360 pagg). Di seguito un estratto dell’ultimo capitolo

La cifra essenziale dell’Italia degli anni Novanta e poi dei primi due decenni del Duemila è il manicheismo. O con me, o contro di me. Anche se può esser vero che il nostro è stato sempre un paese diviso, o comunque portatore di concezioni politiche e visioni ideali fortemente oppositive, per la prima volta dopo il 1948, in un crescendo impressionante, e in modo unilaterale, si giungeva a una situazione che si avvicinava a quelle che preludono o addirittura accompagnano una guerra civile. Era una «Italia contesa», in cui i due campi erano diventati due eserciti, uno dei quali all’attacco, da posizioni di vantaggio, l’altro sulla difensiva, con forte inferiorità di armi, e soprattutto con assenza di figure carismatiche capaci di contrastare l’irruento, irrefrenabile, ora scherzoso, ora aggressivo Berlusconi. […]
VI SONO stati contravveleni in questa Italia videocratica, iperconsumistica, postdemocratica e troppo prona ai dettami vaticani? Vi sono stati, e vi sono: certamente un nucleo importante, forse il principale, fu, ancora una volta, collocato sotto la Mole, terreno fecondato dal liberalismo, dal cattolicesimo sociale, dall’azionismo, dal gramscismo. Norberto Bobbio, innanzi tutto, pur negli ultimi suoi anni. Grande sistematizzatore, eccellente analista, seppe, con tutti i suoi limiti – teoretici e legati ai comportamenti politici – cogliere quasi sempre il punto decisivo delle questioni filosofico-politiche, mentre il versante giuridico andò lungo i decenni riducendosi, pur senza venir meno. Il che se da un lato lo aiutò nel fare chiarezza, dall’altro poté talora indurre ad errori di giudizio che ebbe, quasi sempre, l’onestà di ammettere, ex post. Così, i suoi giudizi sulle guerre del mondo post-bipolare, a cominciare dalla prima, quella del Golfo, dell’inizio del 1991, definita improvvida-mente “giusta”, o quella della Nato (del ’99), contro la Repubblica Jugoslava, etichettata addirittura come “etica”. Bobbio, d’altronde, non fu un esponente del pacifismo, ideologia che in Italia non ha avuto grande fortuna, ma aveva dimostrato apertura e sensibilità alla tematica, sia grazie a rapporti umani e politici, per esempio con Aldo Capitini (a cui ho fatto riferimento), sia per incontri intellettuali, come quello con Günther Anders, che gli fece scoprire, nei primi anni Sessanta, la “coscienza atomica”, e per cui scrisse la Prefazione all’edizione italiana di quel bellissimo diario di viaggio nelle città giapponesi martiri della “bomba”. Altrettanto intenso, e più convincente, il dialogo di Bobbio con la politica interna, e totale la sua ripulsa delle nuove (o presentate come tali) ideologie, espresse in individui e movimenti, presto trasformatisi in partiti.
CON SOBRIETÀ , che a qualcuno poteva sembrare esitazione, Bobbio monitorò criticamente l’Italia degli anni Novanta, ultimo suo decennio di vita, mentre portava avanti una dolente riflessione sulla vecchiezza. E in parallelo all’inesorabile avanzare dell’età, alla perdita di amici e familiari, si definiva il sentimento di crescente estraneità a quella Repubblica, che, accanto a tanti altri, intellettuali e politici, militanti e combattenti, egli aveva contribuito a costruire. Quell’Italia accesa dalle grandi speranze resistenziali, e poi l’Italia della ricostruzione , quella che scopriva il significato della gramsciana “ri-succedersi di illusioni e disillusioni”, agli occhi del vecchio filosofo appariva trasformata nel suo contrario: l’Italia del malaffare giunta, trionfalmente, al potere, dopo che, per un momento, era parsa sconfitta e messa alla gogna davanti a una pubblica opinione infine ridestata da un lungo sonno… Questa Italia angosciò l’estrema vecchiezza di Norberto Bobbio, contribuendo a togliergli la voglia stessa di far udire ancora la sua voce, resa più flebile e stanca dal carico degli anni. Soprattutto quella sensazione che egli aveva riassunto nell’espressione “straniero in Patria”, di certo alleviò Bobbio nell’abbandono della scena: l’Italia impersonata dal cavalier Berlusconi, non era l’Italia del professor Bobbio; un’Italia, lontana incommensurabilmente dalla sua rimpianta e forse sognata “Italia civile”, che era ormai un paese a cui egli si sentiva profondamente estraneo e dal quale non dovette dispiacergli troppo uscire per l’estremo viaggio.

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