Aspettando la «primavera europea»

Gli «indignados» di Madrid decidono di non smobilitare, in 40mila occupano piazza Syntagma ad Atene Segnali di «democrazia insorgente» di giovani che si riprendono gli spazi pubblici. Accadrà  anche in Italia?

 

Gli «indignados» di Madrid decidono di non smobilitare, in 40mila occupano piazza Syntagma ad Atene Segnali di «democrazia insorgente» di giovani che si riprendono gli spazi pubblici. Accadrà  anche in Italia?

 

Talvolta le cose appaiono incredibili. Finché non accadono. Dovremmo tutti averlo capito, da quando la gente cominciò a riempire le piazze tunisine, egiziane, libiche, siriane, yemenite… Nessuno l’aveva previsto, pochi sembrano aver capito la lezione. Si è parlato e scritto di «primavera araba», di società che non potevano non esplodere, in un modo o in un altro, dopo decenni di dittature mascherate da democrazie, con una pressione demografica travolgente, un numero di giovani disoccupati impressionante, e così via. Chi si aspettava che i regimi autoritari amici dell’Occidente sarebbero stati travolti da un’ondata islamista o integralista è rimasto con un palmo di naso. Nessuno dei sindacati o partiti di sinistra, né in quei paesi né in Europa, ha avuto una vera importanza negli eventi. La conclusione – consolatoria e un po’ vile – è stata: chissà come andrà a finire. Come se la rivoluzione francese, cui tutti dobbiamo tutto, non fosse finita in Napoleone e in restaurazione: ma il mondo era stato nel frattempo sconvolto nelle sue fondamenta.
La novità è che ora sta accadendo in Europa. In Spagna i socialisti al governo perdono disastrosamente le elezioni amministrative e nello stesso momento un imprevedibile movimento di «indignados» occupa la piazza più importante di Madrid, la Puerta del Sol, e poi la piazza più importante di Barcellona, quelle di Siviglia, Valencia, Toledo. ecc. Come scrive El Pais, decidendo domenica sera di non smontare l’accampamento madrileno, dopo due settimane, grazie a un voto per alzata di mano in una gigantesca assemblea, «la indignación del movimiento no se curó con las elecciones». Né con altre armi di distrazione di massa, come la vittoria del Barcellona nella finale della Champions league. Gli stessi Mossos d’Esquadra, la polizia di Barcellona che aveva sgomberato violentemente gli «indignados» da Placa de Catalunya, si è congratulata con loro per aver contribuito a smorzare gli eccessi di un festeggiamento calcistico di massa: sì, perché la piazza è stata ripresa.
Nel frattempo, il contagio della «spanishrevolution» si allarga, anche grazie ai social network, ai siti, alle webcam puntate sulle piazze. Un migliaio di persone aveva tentato di montare tende della simbolica Place de la Bastille, a Parigi, e la polizia è intervenuta con molta energia. Però in decine di città francesi, da Lione a Marsiglia, si sta tentando di fare lo stesso. Accade in Portogallo, a Lisbona, Coimbra o Porto: anche lì tende e assemblee. E in Grecia, nel cuore di Atene, piazza Syntagma, domenica sera erano in 40 mila.
Gli iperrealisti diranno: fuochi di paglia, senza organizzazione e senza un qualche rapporto con la politica si spegneranno presto. Forse andrà così (e ci sarà da rimpiangerlo). Ma gli «acampados» di Madrid hanno concluso, domenica sera, che sì, vogliono «quedarse» nella piazza, ma a patto di risolvere problemi organizzativi come l’elettricità, il cibo, la protezione delle persone e perfino la tutela degli interessi dei commercianti della zona, ovviamente danneggiati nelle vendite. E quanto alla politica, sabato scorso ci sono state – riferisce sempre El Pais, fonte non sospetta di simpatia per i 15-M, 15 maggio, data della prima manifestazione – 121 assemblee in diversi quartieri di Madrid e municipi della regione, cui si calcola abbiano partecipato più di 20 mila cittadini. Per che scopo? E come? L’idea, all’ingrosso, è quella di organizzare una auto-rappresentanza, con portavoce delle singole «asambleas vicinales» rigorosamente a rotazione, più o meno sul modello di quel che accadde a Buenos Aires, nel 2002, con il crollo del liberismo locale. Insomma, dare una continuità al movimento e, in tendenza, organizzare quel che noi – la rete di Democrazia chilometro zero – chiameremmo una «democrazia insorgente»: non nel senso dell’insurrezione, ma in quello della crescita dal basso di una piena sovranità cittadina. Lontano e fuori da partiti ed elezioni.
È sintomatico che il movimento nasca in paesi dove le rispettive destre politiche sono molto robuste: Zapatero è a fine corsa; in Portogallo si stringe la cinghia per obbedire a Unione europea e Fondo monetario sul debito pubblico; in Grecia a organizzare la macelleria sociale è il partito socialista, che non si sa in cosa sia diverso dalla destra; in Francia il principale candidato socialista alle presidenziali è stato abbattuto da uno scandalo sessuale. Da mettersi le mani nei capelli, a guardare lo stato delle sinistre politiche. Gli «indignados» balzano su dall’apparente nulla di una società atomizzata e piegata dalla crisi. «Tous ensemble», come dicono i parigini, giovani e non giovani stanno cercando un futuro che non potrà esistere se non si scardineranno le dittature economiche travestite da democrazie. E certo i giovani in Spagna sono molti di meno che in Egitto, e stanno relativamente meglio, ma è evidente che l’oppressione di un sistema che non offre alcuna opportunità pesa come un macigno, e non solo sugli studenti o i precari. Il muro che si è alzato tra sistemi politici incapaci di interpretare questo intollerabile malessere sociale e le aspirazioni dei cittadini – a costruirsi letteralmente la vita, e a conquistare un «green side», come diceva un cartello parigino, ossia un ambiente sano – è sempre meno valicabile. Un moderno Muro di Berlino.
Così, i cittadini disillusi ricominciano dal grado zero della politica. Il luogo, innanzitutto: la piazza centrale della città, che in generale è stata negli ultimi decenni trasformata in un centro commerciale dalla privatizzazione degli spazi urbani, e che invece viene riconquistata, anzi ri-abitata: con la loro presenza a oltranza, dormendoci e vivendoci, i cittadini dicono «questo luogo è nostro». Il metodo: quello della orizzontalità radicale, dove nessuno rappresenta nessuno, e quindi (di conseguenza) si coltiva il rifiuto della prevaricazione, dell’imposizione di una leadership o di una «linea», di tutto ciò che potrebbe ostacolare il dialogo con l’insieme della società, e non è un caso che scioperi generali e manifestazioni di massa, in Grecia, si siano negli ultimi mesi conclusi immancabilmente con scontri e bottiglie molotov, mentre domenica sera in piazza Syntagma si ballava e si cantava. Infine, gli obiettivi: semplicemente, spazzare via disoccupazione e corruzione, ovvero ottenere che l’interesse pubblico abbia sempre, in ogni campo, il predominio su quello della finanza, dei famosi «mercati», la «debtocrazia» (diceva un cartello alla Puerta del Sol). Gli «indignados» percepiscono con chiarezza che uno dei punti più deboli di istituzioni e partiti nazionali consiste nel fatto che l’avversario del benessere sociale è altrove, nell’iper-spazio della globalizzazione.
Sarà una «primavera europea»? Non lo sappiamo, però i segnali sono forti. Le rivoluzioni del terzo millennio – che capiremo quando si saranno compiute, bene o male – avvengono evidentemente così: singoli cittadini, o piccoli gruppi, apparentemente isolati tra loro, magari appartenenti a aggregazioni sociali o politiche di cui hanno sempre meno fiducia, un bel giorno producono tutti insieme la miscela chimica giusta, e si materializzano – da fantasmi consumatori, elettori e telespettatori – come persone reali capaci di cooperazione e dotate di immaginazione, di colpo libere dalla condanna per la quale non potrà che continuare così, e quindi si salvi chi può.
Ma in questa epifania sociale manca qualcuno. Lo dicevano domenica i greci di piazza Syntagma: gli spagnoli hanno svegliato noi, ora noi dobbiamo svegliare gli italiani. Perché in Italia non accade (ancora)? Certo, il voto di Milano, Napoli, Cagliari ecc. ha rappresentato una speranza. I referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento sono pur sempre vie istituzionali di cambiamento delle cose. E i No Tav resistono alle truppe dello «sviluppo». C’è stato un grande sciopero generale, all’inizio di maggio, e gli operai di Fincantieri sono mobilitati. Ma le piazze restano vuote, ossia si riempiono ciclicamente di popoli differenti, dopo di che si torna a casa. Niente tende, niente assemblee, niente «italianrevolution», niente grado zero della politica (se non a macchie, com’è appunto il caso dei valsusini). Quando e come accadrà, se accadrà?

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