C'era chi teneva un profilo basso e chi fu poi accusato di collaborazionismo. Un saggio racconta la vita degli intellettuali in Francia durante l'occupazione Tra mondanità  e drammi 
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Picasso e Cocteau, la cultura al tempo dei nazisti

C’era chi teneva un profilo basso e chi fu poi accusato di collaborazionismo. Un saggio racconta la vita degli intellettuali in Francia durante l’occupazione Tra mondanità  e drammi 

C’era chi teneva un profilo basso e chi fu poi accusato di collaborazionismo. Un saggio racconta la vita degli intellettuali in Francia durante l’occupazione Tra mondanità  e drammi 

Chantons sous l´Occupation era un boicottatissimo film parigino di un figlio del celebrato maestro barocco Max Ophüls. Un montaggio delle «actualités» documentarie sulle mondanità invariate e immutabili nella capitale francese occupata dai tedeschi hitleriani in un susseguirsi di feste e pranzi e prime teatrali in abiti da gran sera e gioielli fulgidi. E una quantità di personaggi poi proclamatisi «resistenti». Ma allora mondanissimi, fra eleganti uniformi della Wehrmacht, con mucchi di loro berretti militari accumulati nei guardaroba dell´Opéra, della Comédie Française, di Chez Maxim´s. E minutamente ripresi dai cinegiornali Gaumont. Analoghi ai nostri del Giornale LUCE prima, e della Settimana INCOM in seguito. Pieni di rovine e macerie praticamente neorealistiche, però. Come quella nostra letteratura piena di morti e feriti e macerie, prima del “boom” ottimistico, e senza esempi di “oralità” alternative. Una marchesona milanese, per confortare la servitù atterrita in cantina, mentre sopra le teste crollavano bombardate la Scala e Brera: «Curagg, curagg, à la fin ghe daran la Corsica!». O una contessona veneziana internata dagli inglesi, ma visitata da un ufficiale della Real Casa britannica a causa di parentele: «Saluto al Duce!». E il responso: meglio lasciarla lì ancora un pezzo.
Nei primi anni Cinquanta, allievo della Facoltà parigina di Sciences-Po con accesso alla biblioteca per gli interni, mi interessavano, prima ancora del documentario di Marcel Ophüls, principalmente le riviste illustrate – dunque fotografiche e realistiche – di quella Parigi così sfavillante e intellettual-salottiera, mentre Milano era bombardata e affamata, Roma naturalmente «città aperta» per definizione, e tutto il resto (inclusi noi) tra lutti e distruzioni e coprifuochi e tessere del pane. Ma intanto i parigini in abiti da sera e gioielli applaudivano senza problemi le “prime” di Sartre e Camus e Anouilh: Les mouches, Huis clos, Le malentendu, Antigone. Accanto a Giraudoux e Cocteau, eccetera. Né gli occhiuti censori vi ravvisavano aneliti di Libertà, di Ribellione, di Resistenza. Come nelle Vedove Allegre o Belle Otéro o Beauharnais o Messaline o Merveilleuses cariche di lustrini tra le Fontane Viventi alle Folies Bergère. O nelle molte canzoni disperate tipo «Je suis seule ce soir» o «Que reste-t-il de nos amours», analoghe a «Sola in una notte di tormento» o «Lili Marleen». E ai successivi successi di Juliette Greco o Edith Piaf nelle caves esistenzialiste e all´Olympia.
Ecco dunque, oltre un mezzo secolo dopo e dunque fuori da ogni mêlée impegnata o decostruzionista, And The Show Went On di Alan Riding (Knopf), lungamente capufficio parigino del New York Times, e continuamente studioso della vita culturale parigina sotto l´occupazione nazista. Avrà inevitabilmente sfogliato le stesse riviste che consultavo nella biblioteca di Sciences-Po in rue St-Guillaume. E i risultati sono documentatissimi. Come in quel remoto film, come nei tanti studi cinefili su quegli anni, e come nella mostra volentieri ignorata ma recente dello scultore «di regime» Arno Breker (a Schwerin), mentre nel 1942, alla Orangerie, vi fu una sua trionfale esposizione alla presenza del «tout Paris»: Arletty, Guitry, Lifar, Cocteau, Cortot, Maillol, Giraudoux…
Picasso conservava un profilo bassissimo, perché naturalmente Franco avrebbe potuto chiedere una sua estradizione a Pétain. Però, mentre Matisse e Bonnard e Rouault e Dufy si stabilivano nel Sud della Francia, il suo spettacolino Le Désir attrapé par la queue veniva interpretato nell´appartamento di Michel Leiris da Sartre, Beauvoir, Queneau, Dora Maar, e Camus: che intanto era un habitué del Café de Flore e un resistente col soprannome di Albert Mathé e un membro del comitato di lettura dell´editore Gallimard (come quasi tutti). E Samuel Beckett: «Preferisco la Francia in guerra all´Irlanda in pace». Ma dopo l´Occupazione, parecchi scrittori furono giustiziati o imprigionati a causa dei loro scritti. E Cécile Sorel settantenne, alla Liberazione venne condannata alla dégradation nationale, mentre altre signore della scena e dello schermo (Mireille Balin, Ginette Leclerc, Corinne Luchaire, Alice Cocéa, Michèle Alfa, e la somma Arletty) condivisero in mesi di carcere la pena di molte donne francesi per la collaboration horizontale con l´odiato ma avvenente nemico. E qui torna alla memoria un bimbo di conoscenza che venne inviato dai partigiani a spiare i tedeschi sulla via Emilia, e tornato in montagna, alle ansiose domande tipo «ma come sono?», rispose con innocenza: «belli e cattivi».
220 film vennero girati in Francia sotto l´Occupazione, per lo più negli studios della Victorine presso Nizza; e fra questi, due sensazionali successi di Marcel Carné, Les visiteurs du soir e Les enfants du paradis. Quanti saranno stati in coproduzione con l´Italia? Ricordo ancora sensazionali paginate della Scalera Film con decine o centinaia di titoli in programma, sui nostri quotidiani d´allora. Riding sottolinea che i tedeschi fondarono Continental Films, a Parigi, con intenti lussuosi e programmi di svago e diversivo. Così, ad ogni accenno di nazionalismo, Goebbels si arrabbiava: «Ho chiaramente ordinato che i francesi debbano produrre solo commedie vacue, leggere e possibilmente kitsch». Benissimo, allora, L´éternel retour di Cocteau e Delannoy, con i biondissimi Jean Marais e Madeleine Sologne.
Pullulavano parecchi cine-settimanali con le celebrità dello schermo nella sfavillante vita notturna parigina. Trionfi per Danielle Darrieux (sposata a Porfirio Rubirosa), Micheline Presle, Arletty, Suzy Delair, Martine Carol, Marie Déa, e l´allora comparsa Simone Signoret, accanto a Jean-Louis Barrault, Jules Berry, Pierre Fresnay, Alain Cuny, Fernandel. Mentre debuttavano giovani registi quali Clouzot, Bresson, Becker, Autant-Lara, accanto a veterani come Gance, Christian-Jaque. Anche con guai durante l´epurazione.
Canzoni di Tino Rossi ed Henri Salvador, orchestre da ballo di Django Reinhardt, petits rats all´Opéra, fra cui Roland Petit e Jean Babilée e Juliette Gréco… Trionfi del giovane Karajan all´Opéra e al Palais de Chaillot, e di Serge Lifar con prime ballerine quali Yvette Chauviré, Ludmilla Tchérina, Janine Charrat, Zizi Jeanmaire… Gay bars di successo per i giovani occupanti in divisa… Alla Comédie Française, al posto di Copeau e Bourdet, toccò a Jean-Louis Vaudoyer mantenere il prestigio della tradizione “nazionalista” di Molière e Racine e Corneille. Commissionò tragedie a due celebrità “omo” quali Montherlant e Cocteau, e qualche anno dopo (come amico di Diego Valeri, e come lo stendhaliano Henri Martineau, vecchio patron di «Le Divan») mi riceveva con una moglie elegantissima, in un sontuoso appartamento sui lungosenna, parlando dei sommi francesi in Italia. Ma non solo Chateaubriand e Musset e Stendhal. (Col personaggio della Sanseverina «copiato dal Correggio»). Anche il cardinal Fesch, zio materno di Napoleone. E i sovrani francesi discesi da noi, Carlo VIII e Luigi XII a ventiquattro e ventisei anni, mentre Leonardo da Vinci muore tra le braccia di Francesco I ventunenne…
Accanto allo sfavillio, i veri drammi. Max Jacob, poco dopo una visita dell´amico Picasso, viene arrestato dalla Gestapo, manda una furtiva lettera a Cocteau perché intervenga con Guitry presso il plenipotenziario Otto Abetz, ma prima di venir liberato muore di bronchite in carcere. Picasso non firmò la petizione perché (si disse poi) sarebbe stato controproducente. Aveva anche complicati rapporti con Dora Maar e Marie-Thérèse Walter e Françoise Gilot, all´epoca. Qualcuna minorenne? Ma l´Aragon che nel dopoguerra denunciava Gide per aver scritto nel Journal che è inutile sbatter la testa contro le sbarre, quando si è in gabbia, anni o decenni dopo non era già più un temibile carnefice ideologico tipo Thorez ed Eluard e Jean Kanapa. O curatore della propria immagine come André Malraux, dapprima incerto se fare letteratura o cinema o arti o «entrare in azione», ma poi entrando dalla Riviera alla Resistenza nel momento giusto e al “top” dei contatti gollisti. Aragon era diventato un vecchietto frivolo e civettuolo tra boy friends tutti arredamento e sartoria. Altro che gli stalinismi alla Zdanov. Vestiva da Saint-Laurent.
Così, magari, varrebbe la pena di tornare ai diari insospettabili (data l´epoca) di Paul Léautaud e di Enrst Jünger a Parigi. E magari al sempre valido Herbert Lottman (non citato da Riding) circa la rive gauche parigina dal Fronte Popolare e la Guerra Fredda? (Con ricchi e analoghi e confrontabili indici dei nomi…).

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