Ci ho messo un poà a scrivere questa introduzione, o come la vogliamo chiamare. Questo “qualcosa” che dia l’idea di quel che si troverà nel libro. Soprattutto per scaramanzia ho voluto aspettare di averlo tra le mani, “in carta e inchiostro”, quasi non mi pareva vero. Dopo mesi di lavoro e una lunga attesa il 15 marzo il libro “Quando lo Stato uccide” è arrivato in libreria.
Ci ho messo un poà a scrivere questa introduzione, o come la vogliamo chiamare. Questo “qualcosa” che dia l’idea di quel che si troverà nel libro. Soprattutto per scaramanzia ho voluto aspettare di averlo tra le mani, “in carta e inchiostro”, quasi non mi pareva vero. Dopo mesi di lavoro e una lunga attesa il 15 marzo il libro “Quando lo Stato uccide” è arrivato in libreria.
Si tratta di un libro-inchiesta sugli abusi commessi nel nostro Paese da chi veste la divisa. Ma non si tratta di un semplice elenco di misfatti, come nemmeno vuol essere una specie di dossier “a senso unico” sui crimini commessi da poliziotti o carabinieri. Così abbiamo voluto (il mio coautore, Tommaso Della Longa, ed io) approfondire la questione delineando prima di tutto il quadro giuridico, italiano e anche europeo, nel quale operano oggigiorno le forze dell’ordine, le leggi che permettono l’uso delle armi a chi ci deve proteggere. Le forze dell’ordine, nel nostro Paese (e in Europa), agiscono all’interno di un quadro legislativo “a maglie larghe” che, ieri per gli anni di piombo, oggi per il cosiddetto terrorismo internazionale, assegna un potere discrezionale che purtroppo, in alcuni casi, apre la strada a eccessi pericolosi. Poi li abbiamo intervistati, poliziotti e carabinieri. Non sarebbe stato serio né corretto fare un’inchiesta sugli abusi commessi dalle forze dell’ordine senza interpellare chi veste la divisa. E poi abbiamo cercato di mettere uno dietro l’altro i casi dei morti ammazzati degli ulti 10 anni. Ne abbiamo contati quindici, esclusi i quattro casi più “famosi” di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi, ai quali abbiamo dedicato un capitolo ognuno.
Chi può usare un’arma o comunque dispone di un potere coercitivo concessogli da un ruolo istituzionale, dovrebbe saper essere sempre nel giusto, irreprensibile, incorruttibile, equilibrato. Purtroppo – siamo tutti esseri umani, è vero – a volte non succede. Ci può stare: non è facile stabilire quel che giusto e quel che non lo è. Ma c’è una vasta zona grigia nella quale la legittimità dell’uso delle armi o di strumenti e pratiche coercitive sfuma nell’eccesso, la legittima difesa nell’omicidio. Una terra di nessuno legale e morale nella quale in certi casi si può insinuare il tentativo di insabbiamento. In cui ha la meglio la tendenza a permettere allo “spirito di corpo” di prevaricare la giustizia. A volte non è nemmeno necessario cercare di insabbiare casi scabrosi, basta un “non luogo a procedere” o un’archiviazione. In questi casi la giustizia ha la g minuscola, soprattutto perché va contro la Costituzione, per la quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Per troppi magistrati, infatti, chi veste una divisa è “più uguale degli altri”.
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