Appello del Dalai Lama per i religiosi ribelli. Il suicidio di un novizio ha acceso la rivolta: si è dato fuoco per chiedere più diritti. L’esercito vuole fare irruzione nel tempio, ma i locali fanno da scudo al convento
Appello del Dalai Lama per i religiosi ribelli. Il suicidio di un novizio ha acceso la rivolta: si è dato fuoco per chiedere più diritti. L’esercito vuole fare irruzione nel tempio, ma i locali fanno da scudo al convento
pechino – Dal 19 marzo oltre duemila monaci buddisti sono sotto assedio dentro il convento di Kirti, nella regione sudoccidentale del Sichuan, in Cina. Esercito e polizia circondano l´antico complesso sacro ed impediscono i rifornimenti di cibo. Nelle ultime ore, dopo che le forze dell´ordine hanno tentato di fare irruzione nella parte del monastero dove si sono asserragliati i leader dei religiosi, migliaia di persone della contea di Aba, Ngaba in lingua tibetana, hanno a loro volta circondato le milizie per impedire che i monaci possano essere portati via. Testimoni oculari hanno riferito che i soldati hanno reagito aizzando cani contro la folla e picchiando gli abitanti radunati lungo le mura. Ci sarebbero decine di feriti gravi e nuovi scontri sarebbero in corso. A denunciare l´assedio di Kirti, che riporta a tecniche di battaglia medioevali, è stata l´associazione International Campaign for Tibet, basata negli Usa. Gli scontri sono stati confermati da Thubten Samphel, portavoce del governo tibetano in esilio a Dharamsala, in India, e dal superiore del monastero, Losang Tsering. Il Dalai Lama ha rivolto ieri un appello alla comunità internazionale affinché convinca la Cina «a usare misura e moderazione». «Un giro di vite – ha detto – potrebbe essere esplosivo e avere conseguenze catastrofiche. Invito i monaci a non fare nulla che possa essere usato come pretesto per una pesante repressione». All´origine delle violenze c´è il misterioso suicidio di un giovane monaco di 20 anni, di nome Phuntsog, che il 16 marzo si è dato fuoco per protestare contro la repressione di Pechino ai danni del popolo tibetano e contro la cinesizzazione culturale della regione himalayana. Erano i giorni dell´anniversario della conquista di Lhasa da parte dei rivoluzionari comunisti di Mao, nel 1951, e delle sommosse sedate nel sangue nel 2008. Al suicidio del monaco sono seguite manifestazioni anti-governative da parte dei confratelli, che hanno invocato il ritorno del Dalai Lama nelle regioni cinesi del Tibet storico. La zona è stata bloccata dall´esercito e ora la contea di Aba è inaccessibile. Ogni porta del convento è sorvegliata da una decina di militari. Il superiore del monastero gemello di Kirti, a Dharamsala, ha dichiarato che numerosi monaci negli ultimi giorni sono scomparsi e che sono stati rinchiusi in campi del partito per seguire corsi di «rieducazione patriottica». Tra questi ci sarebbe anche il fratello del religioso che s´è dato alle fiamme. A chi è barricato nel complesso viene invece impedito di pregare, cantare, lavorare la terra e muoversi liberamente. «Poco meno di 2500 religiosi – ha detto Losang Tsering – vivono come prigionieri e ormai i viveri scarseggiano». Rivolta e assedio sono smentiti dal governo cinese. Il ministero degli Esteri ha dichiarato di non esserne al corrente, mentre il portavoce del partito comunista di Aba ha detto che «la polizia sta effettuando normali pattugliamenti, passando pertanto anche nelle vicinanze del monastero». Gli abitanti dei villaggi vicini confermano invece che Kirti è «circondato e isolato» e che i militari ogni giorno «costringono la popolazione a partecipare a manifestazioni pubbliche per inneggiare a favore delle autorità e del partito». Nella zona la tensione sale da tre anni perché Kirti, dopo la repressione a Lhasa, è diventato l´epicentro della rivolta contro quella che i tibetani vivono come la colonizzazione da parte dell´etnia han. Pechino è accusata di emarginare economicamente e socialmente i tibetani, minacciandone lingua e fede. Le autorità cinesi rispondono con investimenti miliardari in infrastrutture ed edilizia e assicurano che la maggioranza dei tibetani è loro riconoscente per lo sviluppo degli ultimi anni. La sommossa nel Sichuan segna una fase di alta tensione nel Paese. Una violenta ondata repressiva, innescata dall´incubo di importare il virus delle rivoluzioni nordafricane, si è abbattuta su ogni forma di dissenso politico e centinaia di oppositori sono stati arrestati.
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