Norman Manea: «Gli intellettuali dellàEst europeo oggi sono irrilevanti»
Norman Manea: «Gli intellettuali dellàEst europeo oggi sono irrilevanti»
NEW YORK — È stato definito l’erede di Kafka e Musil, il massimo interprete contemporaneo dell’esilio vissuto non come scelta ma come condanna e condizione ancestrale. «L’utero materno è l’unico luogo in cui l’individuo non è in esilio — spiega Norman Manea —, dalla nascita in poi, tutta la vita è un lungo e interminabile confino, verso luoghi, lingue e culture a noi estranei» . La sua drammatica biografia ne è testimone. Nato il 19 luglio 1936 in Romania, nel 1941, all’età di cinque anni, Manea viene deportato con la sua famiglia e il resto della comunità ebraica nel lager ucraino di Transnistria su ordine del dittatore fascista romeno Antonesu, alleato dei tedeschi. «Il mio primo esilio» racconta. Il secondo avviene nel 1986, quando, a 50 anni, la dittatura di Ceausescu lo costringe ad abbandonare il suo Paese, rifugiandosi a New York. Da allora l’ex ingegnere in fuga perenne si trasforma nello scrittore romeno più premiato e tradotto. Candidato fisso al Nobel, i suoi romanzi sono osannati da luminari quali Imre Kertész, Philip Roth, Günther Grass, Orhan Pamuk, Cynthia Ozick e Octavio Paz che ne elogiano il rigore morale prima, durante e dopo il crollo del comunismo. Lo stesso rigore che troviamo nella sua ultima opera, Il rifugio magico (Il Saggiatore, traduzione di Marco Cugno), la storia del Professor Gora, un espatriato romeno che dopo il crollo del Muro si vede arrivare a New York l’ex moglie Lu col giovane cugino e amante, Peter Gaspar, figlio di ebrei comunisti sopravvissuti all’Olocausto. Inviso a Gora, Peter riceve minacce di morte, che sospetta provenire dagli stessi espatriati romeni di estrema destra che, alcuni anni prima, hanno assassinato un altro intellettuale romeno. Il passato improvvisamente torna a perseguitare Gora nella sua nuova patria, superficiale ma insieme piena di energia. Per sfuggire ai vecchi fantasmi a Gora non resta che rintanarsi tra i suoi libri, l’unico rifugio (vizuina in romeno, dal titolo originale del libro) possibile. «I libri sono gli amici che ti seguono ovunque, anche dopo che hai perso tutto — racconta l’autore —. Grazie a loro puoi riscattare il tuo passato e ritrovare le tue radici, rincontrando gli eroi e le storie che hai amato di più da giovane, nella tua terra d’origine» . Tra questi c’è La montagna incantata che Gora rilegge quando scopre un forte parallelo tra Peter e il Mynheer Peeperkorn del romanzo di Thomas Mann. Nel libro l’esilio si trasforma in «trauma privilegiato» perché porta con sé anche tante cose positive. «Ti costringe a imparare a un’età in cui di solito ci si arrende. Ti fa incontrare persone nuove e interessanti quando vorresti rinchiuderti. Ti catapulta in una cultura più moderna, dinamica e stimolante» . Ma la libertà, mette in guardia Manea, è «un privilegio ricco d’insidie» . «La storia ci insegna che talvolta anche le rivoluzioni più nobili sortiscono l’esito sbagliato — spiega —. È successo in Iran, dove una dittatura è stata sostituita da un’altra, peggiore dittatura. Vedo lo stesso rischio nella primavera del mondo musulmano che, a differenza di quello giudaico-cristiano, non ha vissuto un’era di riforme e non si è mai potuto adeguare all’era moderna» . Ecco perché è difficile vedere paralleli tra la primavera araba e quella dell’ex blocco sovietico. «Nonostante quarant’anni di oscurantismo comunista, l’Europa dell’Est in passato aveva fatto parte della grande tradizione democratica europea e il suo scopo era riconquistare l’antico e meritato posto in un’Europa libera e unita. Il continente arabo è rimasto invece fermo all’oscurantismo medievale» . In un articolo intitolato «Le Ombre della Rivoluzione» pubblicato di recente sul sito web del Project Syndicate Institute for Human Sciences, Manea affronta il tema della «nostalgia atavica» che spinge le giovani democrazie dell’Europa orientale a desiderare un irrazionale ritorno al passato. «Sono inorridito di fronte alla Chiesa Ortodossa russa che torna a mettere al bando Tolstoj, tacciandolo assurdamente di comunismo — spiega —. Ma anche la Romania di oggi, dove il 70%della gente rimpiange la morte di Ceausescu, non è certo un paradiso» . Lo corso anno Manea fu invitato a partecipare a un programma culturale televisivo dove l’intervistatore difese Corneliu Zelea Codreanu, leader della famigerata «Guardia di Ferro» , l’organizzazione estremista e terrorista degli anni precedenti alla guerra, definendolo «un eroe romantico» . «Oggi c’è chi sostiene che anche Hitler e Mussolini furono eroi romantici» , puntualizza. Ma il Paese che lo preoccupa di più oggi non è la Romania ma la vicina Ungheria. «L’estrema destra ungherese è la più organizzata e pericolosa d’Europa, con una vera branca militare e una forte tendenza anti-occidentale e retrograda» . I motivi di questo trend restano per lui un mistero. «Solo gli ungheresi possono capire e descrivere il buio dentro la loro anima» , afferma. «Durante una conferenza sull’Est Europa a San Sebastian, in Spagna, ho ascoltato lo scrittore ungherese László Krasznahorkai parlare con rabbia, dolore e vergogna del Paese dove non può più vivere. László non è ebreo, russo, americano e neppure pazzo ma un vero ungherese e va ascoltato» . Anche se più liberi, molti intellettuali dell’Europa orientale continuano a sentirsi esuli in patria. «Un tempo venivano sbattuti in prigione per i loro libri. Oggi ciò che hanno da dire non importa più a nessuno, sono diventati invisibili e irrilevanti. Soprattutto in America lo scrittore, come figura sociale, non esiste più: le star di Hollywood hanno molto più potere. Per questo Gora e Peter si rifugiano nei libri, realizzando tragicamente che nessuno ha più bisogno della loro voce» . La vera sfida, oggi, è un’altra: resistere agli impulsi commerciali. «È il nuovo eroismo dell’intellettuale e dell’artista, davanti alle pressioni fortissime per vendere milioni di libri anche se mediocri e quindi arrendersi. Il romanzo è diventato un prodotto, come le scarpe. Una svolta devastante se si pensa che i grandi capolavori dell’arte sono sempre stati controcorrente e alternativi» . Naturalmente c’è chi riesce ancora a difendersi, senza scendere mai a compromessi. «Saul Bellow non si è mai venduto. E neppure Claudio Magris, Antonio Tabucchi, Cynthia Ozick, Don DeLillo, Philip Roth, Ian McEwan, Mario Vargas Llosa, Muñoz Molina. E tra i giovani metterei anche Jonathan Franzen, che è tornato a una narrativa classica, coraggiosa e all’antica» .
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