Da Terni a Rieti, da Arezzo a Padova, da Ivrea ad Avellino sono arrivati in tanti a Roma per chiedere niente meno che un nuovo modello energetico. Che a sua volta è la porta d'ingresso per un nuovo modello di sviluppo per uscire dalla crisi. I lavoratori occupati nella produzione di apparecchiature per il fotovoltaico hanno fatto ieri il loro primo sciopero generale contro il minacciato decreto del governo che, se diventasse realtà , taglierebbe le gambe a una filiera che coinvolge oltre centomila lavoratori, di cui ventimila diretti. ">

L’energia operaia in piazza per un modello rinnovato

Da Terni a Rieti, da Arezzo a Padova, da Ivrea ad Avellino sono arrivati in tanti a Roma per chiedere niente meno che un nuovo modello energetico. Che a sua volta è la porta d’ingresso per un nuovo modello di sviluppo per uscire dalla crisi. I lavoratori occupati nella produzione di apparecchiature per il fotovoltaico hanno fatto ieri il loro primo sciopero generale contro il minacciato decreto del governo che, se diventasse realtà , taglierebbe le gambe a una filiera che coinvolge oltre centomila lavoratori, di cui ventimila diretti.

Da Terni a Rieti, da Arezzo a Padova, da Ivrea ad Avellino sono arrivati in tanti a Roma per chiedere niente meno che un nuovo modello energetico. Che a sua volta è la porta d’ingresso per un nuovo modello di sviluppo per uscire dalla crisi. I lavoratori occupati nella produzione di apparecchiature per il fotovoltaico hanno fatto ieri il loro primo sciopero generale contro il minacciato decreto del governo che, se diventasse realtà , taglierebbe le gambe a una filiera che coinvolge oltre centomila lavoratori, di cui ventimila diretti.

In diverse centinaia hanno manifestato davanti alla sede del ministero dello sviluppo economico con striscioni e bandiere sindacali per denunciare che già ora molte anziende di un settore strategico come quello delle energie rinnovabili stanno soffrendo la crisi e la cassa integrazione si estende, figuriamoci cosa succederebbe se il governo decidesse di tagliare con la mannaia gli incentivi. «Il testo del decreto – dice Vittorio Baldi della Fiom – è pessimo. Se si può discutere sulla riduzione graduale degli incentivi, che in Italia sono tra i più alti del mondo al punto che non mancano le speculazioni, quel che è inaccettabile è il tetto massimo di potenza energetica incentivabile. È più interessante il sistema tedesco, in cui il sostegno pubblico diminuisce con la crescita della produzione, favorendo l’avvio di nuove aziende per poi progressivamente ridurre le agevolazioni. Quel che abbiamo chiesto al ministero nell’incontro è chiarezza sulle scelte, vogliamo capire se si scommete o no su un diverso modello energetico. Noi abbiamo le nostre idee, rappresentiamo esperienze e professionalità e vogliamo contribuire a trovare soluzioni ambientalmente e socialmente positive. Ma il primo passo che ci aspettiamo dal ministro è il blocco del decreto e la conferma, almeno fino a dicembre, del sistema di incentivi vigenti. L’abbiamo detto ai funzionari del ministero e ora ci attendiamo una risposta politica». Lo sciopero di tutto il settore delle rinnovabili – sindacalmente frantumato in diverse categorie: metalmeccanici, commercio, energia – non è l’unica novità di ieri: per la prima volta i lavoratori e praticamente tutte le associazioni ambientaliste hanno manifestato insieme. Segno, dice ancora Bardi della Fiom, che «se l’obiettivo è la modifica del modello energetico e di sviluppo del paese è possibile costruire importanti alleanze sociali». Insomma, se si immagina un’uscita dalla crisi rovesciando imodelli sociali e produttivi che l’hanno generata, anche l’antico conflitto lavoro-ambiente può trasformarsi in notore di uno sviluppo alternativo. E in molti, ieri, hanno collegato l’impraticabilità della scelta nucleare con la scommessa delle rinnovabili: basterebbe trasferire le risorse. L’incertezza e l’ambiguità della scelte del governo in materia energetica produce danni seri all’occupazione, che invece potrebbe crescere sensibilmente come avviene in paesi come la Germania che scommettono sulle rinnovabili. E rallenta processi interessanti di riconversione produttiva da settori energivori a settori che al contrario intervengono positivamente sulla qualità delle fonti. Come nel caso dello stabilimento Electrolux in Toscana, trasformato al termine di un lungo e proficuo confronto sindacale, da fabbrica di elettrodomestici in fabbrica di apparecchiature per le energie rinnovabili. Ma non sono soltanto gli operai del settori a essere preoccupati per le politiche governative: anche gli imprenditori hanno preso la parola e l’hanno gridata, sempre ieri, nel corso di un sit-it davanti a Montecitorio insieme a gruppi di lavoratori e associazioni ambientaliste.

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