La «rivolta del Venerdì Santo» Strage di dimostranti in Siria

 Oltre 80 i morti. Monito di Usa e Francia: «Inaccettabile»

 Oltre 80 i morti. Monito di Usa e Francia: «Inaccettabile»

GERUSALEMME — «Non avrete altre scuse per protestare» , aveva avvertito l’altro ieri il presidente siriano Bashar Assad nel firmare l’abolizione delle leggi di emergenza in vigore da 48 anni nel suo Paese. Ma migliaia di siriani hanno dimostrato ieri di volere di più: sono scesi in piazza in molte città, nelle prime manifestazioni coordinate su scala nazionale. Hanno sfidato una repressione durissima: gli attivisti contavano ieri almeno 80 morti. Le proteste sono state battezzate su Facebook le «rivolte del Venerdì Santo» . Il logo raffigura una croce e due minareti, per sottolineare che musulmani e cristiani sono uniti e che le manifestazioni contro il regime non sono «un’insurrezione armata» dominata da estremisti salafiti, come dice il governo. La Chiesa ortodossa ha annullato ieri le processioni, e ha sottolineato d’essere dalla parte di Assad. Stati Uniti e Francia seguono preoccupati gli avvenimenti. «Basta con le violenze— ha ammonito la Casa Bianca —. È ora di attuare le riforme promesse» . Nella notte il presidente Barack Obama ha accusato Assad di «cercare l’aiuto iraniano nel reprimere la libertà dei cittadini siriani» . Da Parigi un altro monito: «Le autorità siriane devono rinunciare all’uso della violenza contro i propri cittadini» . Di fronte alle manifestazioni scoppiate il 18 marzo nel Paese, il presidente siriano, che ha ereditato il potere dal padre 11 anni fa, ha alternato le promesse di riforma alla repressione (oltre 200 morti secondo gli attivisti). L’altro ieri è stata abolita – come richiesto dalla piazza— la Corte speciale per la sicurezza dello Stato, e in precedenza è stato formato un nuovo governo. Per alcuni manifestanti sono conquiste importanti ma il merito non è di Assad bensì delle proteste. Per altri è troppo poco: il presidente controlla tutte le leve del potere. Un esempio: ora i cortei sono consentiti, ma — in virtù di una nuova legge approvata l’altro ieri— solo previa autorizzazione del ministero dell’Interno. Il primo cittadino che ha chiesto il permesso per un corteo è stato arrestato. I manifestanti chiedono la fine degli arresti, un’inchiesta sulle morti dei manifestanti, il rilascio di tutti i prigionieri politici, la fine del monopolio del partito Baath, la riforma della Costituzione. Gli slogan non chiedono più riforme, ma la fine del regime. Le proteste di ieri sono iniziate dopo la preghiera musulmana di mezzogiorno. Decine di migliaia i manifestanti in tutto il Paese: nei sobborghi di Damasco come Duma e Barzeh e (in numero ridotto) nel cuore della capitale; a Homs, nel centro del Paese; a Banyas, sulla costa; a Latakia, dove pure Assad ha molti sostenitori; nella città di Hama – dove Hafez Assad, il padre, represse nel sangue le proteste della Fratellanza musulmana nel 1982; nel Nord curdo, nonostante Assad abbia concesso la cittadinanza dopo decenni a molti abitanti; e nella provincia di Deraa, a Sud, dove le rivolte sono iniziate. Non appena i manifestanti cercavano di marciare in corteo, gli agenti li disperdevano: secondo gli attivisti avrebbero sparato sulla folla in modo indiscriminato. In alcuni video diffusi su YouTube si sentono gli spari, si vedono manifestanti in fuga e feriti. La tv di Stato sostiene che le vittime sono invece gli agenti, che usando lacrimogeni e cannoni ad acqua cercavano di «impedire gli scontri tra manifestanti e cittadini» . «Datemi nomi e cognomi» , ha chiesto la portavoce del ministero dell’Informazione a chi le dice che ci sono stati dal 18 marzo oltre 200 morti. L’opposizione replica di avere i nomi, a partire da Anwar Moussa, a Ezraa nel Sud. «Colpito da un proiettile alla testa. Aveva 11 anni» .

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