L’Europa boccia il carcere per i migranti irregolari che non rispettano un ordine di espulsione, un colpo al cuore inferto alla Bossi-Fini e al suo articolo 14, che prevede la prigione per un periodo da uno a quattro anni.
L’Europa boccia il carcere per i migranti irregolari che non rispettano un ordine di espulsione, un colpo al cuore inferto alla Bossi-Fini e al suo articolo 14, che prevede la prigione per un periodo da uno a quattro anni.
Maroni non ci sta a incassare lo schiaffo e contrattacca: «Ci sono altri paesi europei che prevedono il reato di clandestinità e non sono stati censurati. L’eliminazione del reato accoppiata a una direttiva europea sui rimpatri rischia di rendere impossibili le espulsioni». Il ministro parla di «reato di clandestinità»mentre la Corte prende di mira la Bossi-Fini, per il carcere, ma anche perché è quella la norma chemanda in corto circuito il sistema delle espulsioni, contravvenendo agli obiettivi della direttiva rimpatri del 2008. La Bossi-Fini, modificata dal pacchetto sicurezza del 2009, non prevede infatti il rimpatrio volontario, anzi lo impedisce perché agli irregolari spetta l’ingresso nei Cie, l’ordine di lasciare entro 5 giorni l’Italia, altrimenti si va al processo penale. E così dopo 5 giorni si configura il reato di clandestinità e scatta il carcere: un sistema perverso che invece di privilegiare e promuovere il rimpatrio volontario, ha riempito le galere. Proprio il contrario di quanto prevede l’Europa con la direttiva rimpatri, non certo un bel testo (peraltro approvato sotto il governo Berlusconi), macomunque meglio della Bossi-Fini. La norma Ue punta infatti sul rimpatrio volontario e solo alla fine, come extrema ratio, prende in considerazione la detenzione per i migranti irregolari e comunque in centri appositi. «La direttiva – si legge nella sentenza di ieri – persegue dunque l’obiettivo di limitare la durata massima della privazione della libertà nell’ambito della procedura di rimpatrio e di assicurare così il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini dei paesi terzi in soggiorno irregolare». L’aggravante per l’Italia è che quella direttiva non è stata ancora recepita, anche se andava fatto, come sottolineano ancora i giudici comunitari. I termini per la trasposizione sono scaduti il 24 dicembre 2010. Intanto, rileva la Corte, gli Stati «non possono applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da privare quest’ultima del suo effetto utile». In sostanza il diritto comunitario prevale su quello nazionale, anche quando si parla di diritto penale, che è di competenza degli Stati membri, ma, rileva la Corte, solo «in linea di principio». Gli Stati, scrivono ancora i giudici, «devono comunque fare in modo che la propria legislazione rispetti il diritto dell’Unione». Se questo è il quadro di fondo, nello specifico i problemi rilevati dalla Corte sono concentrati sul carcere. «Gli Stati membri – si legge nella sentenza – non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, una pena detentiva, come quella prevista dalla normativa (italiana, ndr) solo perché un cittadino di un paese terzo (…) permane in maniera irregolare ». Quindi niente prigione: «una tale pena detentiva, infatti, (…) rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali». Tutto è iniziato da un ricorso presentato da Hassen El Dridi, un algerino entrato irregolarmente in Italia nel 2004 e condannato a fine 2010 a un anno di reclusione per non aver rispettato l’ordine di espulsione. Il 31 marzo i giudici di Trento si sono rivolti a quelli del Lussemburgo che hanno deciso di analizzare il caso con la procedura d’urgenza.Meno di un mese ed ecco la sentenza che avrà non pochi effetti pratici: «il giudice nazionale, incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni, ndr) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri». Quindi si apriranno le porte delle carceri, per chi in carcere non ci sarebbe nemmeno dovuto andare.
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