Anche io, come molti, sono rimasto piuttosto allibito leggendo l’articolo di Asor Rosa, non per la parte di analisi critica di cui dirò,ma per alcune sparate propositive che sono poi quelle che hanno offerto l’offa alle critiche e la polvere da sparo alla truculenza delle bombarde di Ferrara.
Anche io, come molti, sono rimasto piuttosto allibito leggendo l’articolo di Asor Rosa, non per la parte di analisi critica di cui dirò,ma per alcune sparate propositive che sono poi quelle che hanno offerto l’offa alle critiche e la polvere da sparo alla truculenza delle bombarde di Ferrara.
Dico subito che il tono di alcune critiche e soprattutto gli insulti rivolti ad Asor Rosa sono davvero intollerabili, ma esiste un problema serio di responsabilità individuale, sopratutto da parte di un intellettuale che dovrebbe essere avvertito più degli altri del peso che hanno le parole. Se si va in giro promettendo bastonate, come spiegava nel ’21 Bombacci che pure non era un santo, poi non ci si può lamentare che le bastonate te le diano gli altri; se si grida per mesi «fascisti, borghesi, ancora pochi mesi» e poi quelli sono ancora lì dopo anni si può solo masticare amaro. Se si promette la «transizione con elementi di socialismo» nel periodo di massima espansione del sistema capitalistico del dopoguerra poi bisogna stare zitti per un bel po’. Vuol dire che chi doveva vedere non ha visto. Ed è questo il punto.
Io, come molti, coltivo da tempo le preoccupazioni che da ultimo esprime con forza(esagerata) anche Asor Rosa, sullo snaturamento della democrazia liberale e parlamentare operata dal berlusconismo in combutta con la Lega, ma non vedo come si possa suggerire un ricorso alla forza, soprattutto da parte di chi questa forza non controlla.
La democrazia rappresentativa è fatta di hardware, elezioni, rappresentanti, parlamento e così via: quell’hardware oggi ce l’hanno tutti gli stati o quasi, escluso lo Stato teocratico dispotico che occupa il centro di Roma.
Ma la democrazia, per funzionare, ha anche bisogno di software sotto forma di regole, pratiche, istituzioni di controllo e credenze condivise sul patto associativo.
Un parlamento in cui i membri non sono scelti dal popolo, ma dai segretari di partito, e in cui il 20% occupa posti rubati dalla “maialata” di Calderoli, è fuori da quella democrazia liberale di cui cianciano onesti bolscevichi come Ferrara o radicali liberi come Quagliariello: è fuori da qualsiasi altra forma di democrazia conosciuta,ma fa parte di una mutazione profonda, che è già avvenuta in Italia (nel XX abbiamo regalato il fascismo e nel XXI il berlusconismo, siamo sempre i primi). Nel mio Gli italiani sono fascisti ma (forse) non lo sanno ho cercato di disincagliare l’analisi della situazione attuale dalla meccanica riproposizione del termine fascista, con cui pure esistono grandi continuità, per cercare di indirizzare l’analisi verso una reale comprensione di questa nuova forma politica che esce dagli schemi, in parte intersecantesi, della politologia novecentesca di Totalitarismo-NaziFascismo- Comunismo-Autoritarismo e Liberalesimo. Personalmente penso che siamo in una nuova forma originale di democrazia autoritaria e manipolata che io chiamo MAD, Manipulative, Authoritarian, Democracy (DAM in italiano) cioè una forma innegabile di democrazia, nel senso che cerca la sua legittimità nel voto popolare (finché fa comodo, almeno) ma investe quasi tutte le sue risorse di controllo nella manipolazione mediatica sostenuta da tecnologie che hanno ridotto a irrilevanti tempo e spazio, e sulla figura patriarcale e paternalistica del Capo, cui tutto è permesso purché ci sia (il «meno male che Silvio c’è» è l’invocazione di un bambino, non la constatazione di un cittadino) e che decide di autorità.
Se noi non spingiamo con decisione la nostra analisi verso la comprensione di questo fenomeno con categorie nuove, non riusciremo mai a contrastarlo seriamente.
Per esempio: quando per anni autorevoli leaders della sinistra, da ultimo non molto tempo fa Veltroni, che pure è competente in materia, hanno recitato il mantra che «non si vincono le elezioni con la televisione» c’è davvero da domandarsi cosa significhi una frase del genere, oppure se viviamo in due parti diverse della Luna.
Il problema dei limiti della democrazia nella difesa di se stessa è un problema serio e fu già posto da Hans Kelsen nei suoi scritti pubblicati in italiano del Mulino nel 1955. Ma non si può risolvere con una boutade, tantomeno da parte di chi aspiri a una autorevolezza intellettuale che non può essere forfetizzata per un titolo di quotidiano.
E qui veniamo al ruolo di quei maestri del pensiero di cui Asor Rosa lamenta con disperazione la scomparsa nel suo libro, e che forse hanno solo cambiato casa. Io penso che il compito degli intellettuali sia quello di illuminare le persone, non quello di aizzare le folle. Quando Asor Rosa descrive la sua proposta non fa solo una affermazione sopra il rigo, ma avanza un suggerimento operativo piuttosto circoscritto, che non è una semplice riflessione ma una indicazione politica.
Trascurando gli effetti negativi di una tale proposta, che verrà rigirata in tutte le salse dai berlusclones, dimostra di non conoscere bene le regole del mondo politico-mediatico in cui siamo immersi- e non possiamo fare finta di nulla- oppure di conoscerle fin troppo bene e di volerle usare a suo esclusivo vantaggio. L’esasperazione può anche essere emotivamente giustificata (e ce n’è per tutti, in abbondanza),ma perdere la testa non è una buona ricetta, mai.
Chi ha tempo per osservare e pensare, e passione civile per voler dedicare questo tempo non a coltivare i gerani, ma a contribuire al bene pubblico, deve anche farlo, come raccomandava Renato Treves, con spirito critico e abbandonando lo spirito dogmatico. Quello lasciamolo ai Ferrara che lo fanno di mestiere e a cui non vedo proprio ragione di regalare materiale per una puntata della sua traballante trasmissione.
Tanto più che i soldi poi li prende Ferrara, non il manifesto.
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