I principini della Cina un clan venuto da Mao

Al governo, figli e nipoti dei fondatori del partito

Al governo, figli e nipoti dei fondatori del partito

Sembrano passati secoli dalle congiure di palazzo, spesso accompagnate a spargimenti di sangue sulle piazze, che segnarono il passaggio di potere da Mao Zedong a Deng Xiaoping. Giunta alla quinta generazione, l´oligarchia che governa la Cina ha imparato a gestire in modo ordinato e pacifico le successioni. Il prossimo passaggio delle consegne è stato annunciato con largo anticipo: il vicepresidente Xi Jinping, 57 anni, è stato incoronato come il successore di Hu Jintao al vertice della superpotenza asiatica. Nel marzo 2013 Xi sostituirà Hu alla presidenza della Repubblica. Il meccanismo è bene oliato. Pechino ha adottato un metodo di governo collegiale, le mediazioni tra le correnti di partito e i vari clan al potere si fanno in modo incruento, dietro le quinte. Al popolo si presenta una facciata di unità.

È una lezione che il regime ha tratto dalla rivolta democratica di piazza Tienanmen (1989): quel movimento di protesta fu incoraggiato dalle visibili divergenze tra i leader di allora. Della biografia di Xi due cose sono chiare. La prima è che il leader in pectore appartiene alla categoria detta dei “principini”: figli e nipoti dei fondatori del partito comunista, eredi biologici e consanguinei del gruppo originario raccolto attorno a Mao. 
I “principini” sono un´élite controversa. Loro si considerano i custodi di una tradizione, di un´etica dei padri della patria, e del primato del partito comunista. Chi non fa parte di questo clan li considera dei rampolli cresciuti nel privilegio, arroganti come tutte le nomenklature ereditarie. L´altro aspetto importante nel suo curriculum è che i suoi principali incarichi sono stati al governo di due province ricche, il Fujian e lo Zhejiang, più un periodo come segretario del partito comunista di Shanghai. Si è fatto le ossa nella Cina più avanzata e moderna, non nelle regioni povere. Con due conseguenze. Primo: è più sensibile alle aspirazioni e ai bisogni del ceto urbano medioalto e delle lobby industriali. Secondo: governando regioni sviluppate ha potuto scremare ricchezze personali da elargire a parenti, amici e alleati. 
Il dipartimento di scienze politiche dell´università di Singapore, autorevole osservatorio esterno sulla Cina, fa questa distinzione tra noi e loro: le liberaldemocrazie occidentali sono sistemi fondati sulle procedure (cioè le regole attraverso cui i cittadini selezionano i propri governanti), il sistema cinese è basato sulla performance. Non avendo un´investitura dal basso ma solo una selezione dei dirigenti per cooptazione, il regime di Pechino costruisce a modo suo una forma di consenso, e di legittimità dei suoi leader, in proporzione ai risultati – crescita, benessere economico – che garantisce alla popolazione. La stabilità è il suo obiettivo primario. 
Dopo che quel sistema ha retto meglio degli Stati Uniti la terribile prova della crisi economica nel 2008-2009, Xi e i suoi sono convinti che quel modello non ha nulla da invidiare al nostro. E tuttavia, il nervosismo con cui questi leader hanno reagito alle rivolte del mondo arabo, con un inasprimento della censura su Internet e della repressione contro i propri dissidenti, indica che l´autocrazia cinese si considera meno forte e meno stabile dell´immagine che proietta all´esterno.

 

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