I poteri forti contro Mussolini ecco le prove del golpe mancato

L’entrata in guerra fermò il piano che affascinava anche il Vaticano e la famiglia Agnelli 

L’entrata in guerra fermò il piano che affascinava anche il Vaticano e la famiglia Agnelli 

E se davvero Mussolini fosse stato fermato di fronte all´abisso della guerra con la Germania nazista? Come è fin troppo vano ripetere la storia non si fa con i se, e ancora meno la storiografia. Eppure, l´irresistibile tentazione del periodo ipotetico è tale proprio perché, evocando l´impossibile, sembra correre più spedito al cuore degli eventi e anzi ne approfondisce il senso, non di rado anticipandone gli esiti reali e possibili.
Ecco, lunedì prossimo su Raitre alle 21,10, per la serie La Grande Storia va in onda il documentario Verso la guerra-fermate Mussolini di Nicola Caracciolo che appunto documenta, con inedite fonti e testimonianze, come tra il 1938 e il 1940 la quasi totalità di quelli che oggi si chiamerebbero “poteri forti” – casa regnante, aristocrazia, stati maggiori, grande industria, chiesa, alti gradi della burocrazia e della Pubblica sicurezza – non solo fossero dubbiosi, scettici o contrari rispetto all´alleanza con Hitler, ma in qualche modo cercarono anche di ostacolare a più riprese l´avvio dell´avventura bellica attraverso una specie di cospirazione. Un colpo di Stato latente che, con le dovute complicità in alcune figure di spicco del regime fascista (l´anglofilo Dino Grandi, il vanesio delfino Galeazzo Ciano e Italo Balbo, temuto dal Duce come “l´unico che potrebbe uccidermi”), certamente prefigura l´esito del 25 luglio.
Il programma di Caracciolo, che dura quasi due ore, è al solito ben fatto e avvincente – configurandosi La Grande Storia come una piccola oasi di serietà nel gran deserto della tv svampita e generalista. I testi si avvalgono di inediti report del Foreign Office, molti dei quali scovati negli archivi di Kew Gardens da Mario J. Cereghino (Archivio Casarrubea). Le immagini sono ricche, nitide e ben scandite; il ritmo narrativo non ostacola lo spessore degli argomenti che rifuggono scorciatoie sensazionaliste. In un presente dominato dal visivo, l´ineluttabilità della guerra appare tutta nella forza delle sequenze: le signore eleganti alle sfilate, le uniformi sempre più ricercate del Duce e del Führer, le manovre militari e spettacolari, lampi botti fumi, il trionfalismo delle riprese che indugiano sui corridoi vuoti dei palazzi del potere, i pavimenti lucidissimi, la rapidità degli assistenti che passano il tampone di carta assorbente dopo la firma di trattati che porteranno alla più immane catastrofe del secolo scorso.
Ma il cuore vero e anche la novità del programma sta negli sforzi, tanto ragionevoli quanto misteriosi, per evitare quella tragedia. Tutto ruota già allora attorno a Maria Josè. Se ne trova traccia nei documenti della diplomazia britannica recuperati da una studiosa, Donatella Bolech. Nel settembre del 1938 l´ambasciatore di Sua Maestà al Cairo, Miles Lampson, che ha sposato una italiana e il cui suocero è medico curante dei Savoia, avvisa il suo governo che nella tenuta di Racconigi la principessa di Piemonte ha incontrato segretamente il generale Badoglio e un misterioso avvocato antifascista di Milano per delineare un progetto che prevede, dopo l´arresto di Mussolini, l´abdicazione del Re, la rinuncia di Umberto e il trono al piccolissimo Vittorio Emanuele, con la reggenza di Maria Josè.
Nei mesi seguenti gli inglesi continuano a non capire cosa abbia in testa il Duce che rispetto a Hitler e alla guerra gioca col fuoco, gioca a poker, gioca di prestigio ora esaltandosi, ora presentandosi come uomo di pace, ora facendo la faccia feroce. «L´Italia fa il doppio gioco – è l´impietoso commento dell´ambasciatore a Roma Percy Loraine – il che le riesce naturale».
In realtà, se il conflitto al fianco dei nazisti è ormai posto sul piano inclinato, sono parecchi quelli che a cominciare dal Duca d´Aosta e proseguendo con il ministro degli Esteri Ciano vi si oppongono in modo più o meno latente o strisciante che sia. A costoro si aggiungono, sia pure tenuti lontani da Roma o dal potere, Balbo e Grandi; ma una decisa avversione, che trova sbocco nella speranza che il vecchio re neutralista e antitedesco trovi il coraggio di rovesciare la politica estera mussoliniana, esiste nei palazzi Apostolici, dove è cominciato il regno di Pio XII, e presso il senatore Agnelli.
Così nel marzo del 1940, quando le mire espansionistiche del Fuhrer paiono ormai senza freno, prende corpo la seconda cospirazione che muove più o meno dagli stessi ambienti e personaggi, ma appare più seria per la presenza del capo della Polizia, Arturo Bocchini. Quest´ultimo, documenta l´inchiesta di Nicola Caracciolo, è in contatto con Maria Josè e con un avvocato, Carlo Aphel, che è anche il fiduciario di casa Agnelli e nella cui abitazione si ritrovano i congiurati. L´ipotesi di massima va nella direzione di un governo moderatamente fascista, ma che soprattutto tenga l´Italia fuori dalla guerra. Ipotesi di lì a tre mesi sopraffatta da uno schianto che solo in una dittatura, e cioè nel potere assoluto di uno solo, trova la sua dannatissima giustificazione.

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