Lo scontro interno alle destre europee, con il governo italiano preso tra l’incudine del suo elettorato e il martello dellàEuropa di Merkel e Sarkozy, indica sia la deriva populista che l’ipocrisia della solidarietà alle rivolte del Maghreb.
Lo scontro interno alle destre europee, con il governo italiano preso tra l’incudine del suo elettorato e il martello dellàEuropa di Merkel e Sarkozy, indica sia la deriva populista che l’ipocrisia della solidarietà alle rivolte del Maghreb.
Un futuro di pace e cooperazione (comunque si intendano questi termini) nell’area euro-mediterranea non può prescindere da una specifica declinazione del desiderio di libertà e della pretesa di dignità di queste popolazioni. L’alternativa la conosciamo: è la prosecuzione della guerra contro donne e uomini migranti che ha trasformato il mediterraneo in un cimitero. Ci si affanna in questi giorni a cercare intese con il governo tunisino e a prefigurarne con il futuro governo libico. Si rende omaggio alla “libertà” recentemente conquistata e si preme sui nuovi governi “democratici” per stipulare trattati che reintegrino i loro Paesi nel posto che da anni occupano nel regime europeo di controllo dei confini esterni dell’Unione e dunque delle migrazioni. Gli si chiede (e non mi pare siano in molti, nell’opposizione, a mettere in dubbio la ragionevolezza di questa richiesta) di continuare a funzionare come dighe, a contenere (possibilmente con le buone maniere, aggiungono alcuni) la pressione dei “clandestini” – siano cittadini del loro Paese o profughi e migranti provenienti da Sud. E’ evidente la contraddizione tra questa insistita richiesta e l’omaggio reso alla nuova stagione di democrazia ritrovata nel Maghreb. Prendo come riferimento la definizione più banale e corriva di democrazia: il regime politico in cui il governo dipende dal voto dei cittadini. Perfino l’Italia di questi anni è senz’altro una democrazia, in questo senso. Ecco: ve lo immaginate il governo italiano che manda l’esercito al Brennero e a Ventimiglia per arginare un eventuale esodo di massa di cittadini italiani? Non che nella storia non vi siano stati, e che non vi siano nel presente, regimi che lo hanno fatto: ad esempio la Germania dell’Est negli anni del Muro di Berlino o la Corea del Nord oggi. Difficile definirli regimi democratici nel senso banale appena indicato. Il punto è molto semplice, anche se nessuno lo dice: l’Italia e l’Europa non vogliono regimi democratici sulla sponda sud del mediterraneo, li temono come i giapponesi temono oggi lo tsunami (per usare in modo un po’ più appropriato questo termine di cui si è ampiamente abusato in questi giorni a proposito dell’afflusso di profughi e migranti da Tunisia e Libia). L’Italia e l’Europa desiderano regimi almeno moderatamente autoritari, perché è con quei regimi che si stipulano gli accordi che li obbligano a svolgere la funzione di gendarmi per conto d’altri. È un desiderio inconfessato e forse (in questi giorni) inconfessabile, ma in fondo il desiderio lo è spesso per sua natura. Se poi evoca fantasmi un po’ imbarazzanti (come ad esempio l’idea che per gli arabi la democrazia sia poco adatta), diventa ancora più difficile confessarlo. Toccherebbe a noi fare emergere in piena luce questo presupposto implicito di una discussione pubblica che in Italia, in questi giorni, è ancora più grottesca del solito – anzi, è davvero sconvolgente se solo si pensa a quanto avviene attorno e soprattutto nel Mediterraneo. La contraddizione tra il desiderio di libertà dei giovani ribelli del Sud (questo sì pienamente confessato e agito!) e la Realpolitik europea risulterebbe ancora più plateale, così come la fragilità della seconda. E daremmo forse un piccolo contributo all’apertura di spazi in cui immaginare e costruire una diversa area euro-mediterranea
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