La nuova risoluzione dell'Onu sulla Libia crea una “situazione di ulteriore incertezza e volatilità  sul terreno”. Prego? Sì:”volatilità  sul terreno”. Eà scritto nero su bianco in una nota che questa mattina il  “Capo Servizio Stampa della Farnesina” Maurizio Massari ha inviato via mail ai direttori dei giornali e ai capiredattori per invitarli a ritirare giornalisti dalla Libia ed in ogni caso a non inviarli.

">

Stiamo entrando in guerra

Stiamo entrando in guerra

La nuova risoluzione dell’Onu sulla Libia crea una “situazione di ulteriore incertezza e volatilità  sul terreno”. Prego? Sì:”volatilità  sul terreno”. Eà scritto nero su bianco in una nota che questa mattina il  “Capo Servizio Stampa della Farnesina” Maurizio Massari ha inviato via mail ai direttori dei giornali e ai capiredattori per invitarli a ritirare giornalisti dalla Libia ed in ogni caso a non inviarli.

Stiamo entrando in guerra

La nuova risoluzione dell’Onu sulla Libia crea una “situazione di ulteriore incertezza e volatilità  sul terreno”. Prego? Sì:”volatilità  sul terreno”. Eà scritto nero su bianco in una nota che questa mattina il  “Capo Servizio Stampa della Farnesina” Maurizio Massari ha inviato via mail ai direttori dei giornali e ai capiredattori per invitarli a ritirare giornalisti dalla Libia ed in ogni caso a non inviarli.

Insomma già alle 8,34 del mattino alla Farnesina sapevano che l’Italia avrebbe deciso di entrare in  guerra con Gheddafi e quindi si premurava di mettere in guardia i giornalisti: “Le formulo un coloroso invito dall’astenersi dall’inviare personale……”.

La lettera, che pubblichiamo per intero qui sotto perché segna una svolta, l’ennesima, nella storia del giornalismo e nei rapporti tra giornalismo e istituzioni (e quindi il potere), chiede in pratica ai direttori di cambiare mestiere e li solleva da un problema non da poco per la loro coscienza, perché mandare un giornalista in zona di guerra significa mettere anche in conto la sua morte.

Quando i giornalisti vivevano dentro Sarajevo assediata erano perfettamente consapevoli che ogni ora di vita era regalata. A Pristina sotto i bombardamenti Nato furono i serbi a cacciar via i reporter. A Belgrado nessuno andò via, se non coloro ai quali il governo di Milosevic ritirò l’accredito. A Baghdad fu la stessa cosa, anzi gli americani appena arrivati in città preso a cannonate l’albergo dove vivevano gli inviati, ammazzandone alcuni. I giornalisti hanno la convinzione che raccontare sia un po’come mediare. Forse sono troppo presuntuosi. Eppure è accaduto che il racconto della guerra abbia fatto riflettere le cancellerie e i governi, i nemici e gli amici. Dovrebbe valere anche per la Libia, per Gheddafi e per la “coalizione di volonterosi” che si sta formando.

Invece si ha l’impressione che anche i giornalisti debbano parteciparvi alla coalizione, applaudire e astenersi dal racconto dei fatti. La “volatilità sul terreno” sarebbe insomma troppo difficile da raccontare. O sarebbe addirittura meglio che nessuno la raccontasse. La nota della Farnesina invita a riflettere sull’ “opportunità” di esercitare il diritto di cronaca. Ma la questione è posta in modo perentorio: riflettere, ma in ogni caso astenersi dall’andare e dal restare. Fine della storia e fine del giornalismo.

Ciò che si chiede è la fiducia assoluta nella bontà delle scelte dei “volonterosi” e nelle loro azioni. Purtroppo oggi i giornalisti sono diventati, molto più di qualche anno fa, parte del conflitto e non semplici testimoni, come dovrebbero essere. E’ accaduto soprattutto dopo l’ 11 settembre. Le responsabilità sono complesse e investono i giornalisti e il potere. E’ inutile discutere sull’obbiettività e la verità che a volte può essere una menzogna abilmente travestita. Bisogna discutere sull’onestà, quella che ci impone di andare, vedere e raccontare, rispettando i fatti e le persone, quelle buone e quelle cattive, e indicando al lettore il punto di vista dal quale si osserva. Restare, andare o tornare è una scelta dei giornalisti e di chi i giornali dirige, che ha grave responsabilità e ben lo sa: quella di farsi girare il mondo in mano e di guardarci dentro per raccontarlo, anche se a volte e sempre più spesso il potere non vuole.

LA LETTERA

 

Caro Direttore,

le misure di ulteriore pressione sul regime di Tripoli (inclusa l’imposizione di una zona di interdizione area per i velivoli del regime) che sono state varate oggi dalla comunità internazionale nei confronti della Libia, e formalizzate nella Risoluzione appena approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, creano una situazione di ulteriore incertezza e volatilità sul terreno.

Il quadro di sicurezza per gli ormai  pochi cittadini occidentali rimasti in Libia assume ora caratteristiche di rischio inevitabilmente elevate, ed in una situazione di accentuata esposizione e vulnerabilità potrebbero venire a trovarsi in particolare gli esponenti dei media.

Ancorché, me ne rendo ben conto, la fase che oggi si apre accresca i motivi di interesse per reportages sul campo da parte di quanti meritoriamente esercitano il diritto di cronaca per soddisfare la domanda di informazione dei cittadini, debbo al contempo attirare la Sua attenzione sui  motivi di opportunità ed avvedutezza che sconsigliano fortemente la presenza di nostri giornalisti in Libia.

Le formulo quindi un caloroso invito ad astenersi dall’ inviare personale della sua testata in qualsiasi porzione di territorio libico, compresa Tripoli, o, qualora Suoi corrispondenti si trovino attualmente nel Paese, a farli rientrare quanto prima in Italia, contando sul sostegno che la Farnesina ed i nostri rappresentanti diplomatico-consolari operanti sul posto sono pronti a garantire per favorire il loro rientro.

Mi creda,

Con i miei saluti più cordiali,

Maurizio Massari

Capo Servizio Stampa Farnesina

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password